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Nuovo singolo per Ermal Meta: “Dobbiamo lavorare perché le donne non si sentano più in pericolo”

Si chiama Male più non fare il nuovo singolo di Ermal Meta che anticipa il suo nuovo album: a Fanpage ha parlato della canzone, dei cambiamenti e dell’impegno contro la violenza sulle donne.
A cura di Francesco Raiola
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Ermal Meta è tornato con Male più non fare, singolo che per la prima volta lo vede collaborare con Jake La Furia. Il cantautore pugliese regala un'anteprima del suo nuovo album che uscirà il prossimo anno e lo fa raccontando quanto bisogna fare attenzione a giudicare gli altri, usando un topos sempre più forte e attuale come quello del ballo. Raggiunto telefonicamente da Fanpage.it Meta ha raccontato la genesi della canzone, come è cambiata la sua vita nell'ultimo anno, ma anche il suo impegno contro la società patriarcale e la violenza sulle donne, senza negare il tentativo sanremese.

Come nasce l'incontro con Jake La Furia?

L'incontro con Jake, dal punto di vista umano e personale, è avvenuto all'inizio di quest'anno. Ci siamo conosciuti in una trasmissione televisiva e ci siamo stati subito simpatici o, almeno, lui mi è stato subito simpatico. Poi ho iniziato a lavorare al disco e quando stavo lavorando a questo pezzo mi sono reso conto che la canzone in sé necessitava di un apporto diverso, che avesse un punto di vista altro rispetto al mio, musicalmente parlando distante anche dal mio, e così l'ho chiamato e gli ho chiesto di rivederci in studio: gli ho fatto ascoltare quella che era l'idea originale del pezzo e lui ci è entrato subito, si è tuffato immediatamente all'interno della canzone e l'ha fatta sua scrivendo anche le strofe e lo special, quindi è stato immediatamente efficace, oltre che efficiente. Mi ha sorpreso molto anche la sua facilità di scrittura, che è una caratteristica dei rapper, poi io non mi ci ero mai trovato così a contatto durante la scrittura, e devo dire che mi ha sorpreso veramente molto.

E così è cambiato qualcosa.

Sì, ho visto che da quel momento il pezzo ha preso un carattere diverso, cioè era lo stesso, ma era diverso ed è stata una cosa molto bella.

Come nasce l'idea di questa canzone?

Noi viviamo nell'epoca dei giudizi, qualunque cosa fai sei sotto il grande occhio giudicatore. Alla fine questa canzone parla di libertà, dice "fai quello che ti pare, vivi la tua vita come come la intendi, al meglio, senza sconfinare nella libertà altrui, quindi senza arrecare un danno e fare male agli altri", il senso era questo.

E tu che frequenti molto X/Twitter, di tribunali social ne sai qualcosa…

X è un mondo strano, perché a volte leggi delle cose bellissime, anche molto delicate e in alcuni casi piene di luce, testimonianze eccetera, poi in altri casi va da sé che si scatenino delle bagarre mica da ridere.

“Non mi devi giudicare, non mi devi giudicare (…) Solo dio e il tribunale ti possono giudicare” è una speranza o cosa?

È un'affermazione, uno statement: non mi devi giudicare perché, come dicono i Depeche Mode, "Try walking in my shoes", prova essere al mio posto. È un discorso che vale in generale, non perché ci sia una difficoltà legata a essere me, te o chiunque altro: ciò che una persona ha dentro, ciò che vive, lo sa soltanto lui. Evitare di dare giudizi – che il più delle volte sono pure affrettati – secondo me è meglio, poi, naturalmente, nessuno di noi è immune a questo, quindi, alla fine, è anche una cosa rivolta a se stessi, cioè io non voglio essere giudicato, ma al contempo è anche un reminder, un modo per dire: ricordati che neanche tu devi giudicare.

"E chi fa grandi cose non muore mai" ha vari sensi, vale in generale per chi fa del bene, ma vale anche per chi fa musica: che rapporto hai con l’essere ricordato con le tue canzoni?

Restare nei ricordi delle persone è una cosa a cui tutti gli artisti ambiscono, scrivere e cantare delle canzoni che diventano parte del DNA delle persone. Ovviamente è un obiettivo altissimo che più che con la musica credo abbia a che fare con la spiritualità di una persona, entrare in connessione con gli altri e in qualche modo rimanerci. È un modo per auspicarsi di restare, però non è qualcosa che mi attanaglia.

Non è un'ossessione, insomma…

No, non sono minimamente ossessionato da questa cosa perché ritengo che, almeno per quanto mi riguarda, la strada sia ancora lunga e sono ancora a metà del viaggio, quindi di questa cosa probabilmente me ne preoccuperò dopo, però non ci ho mai pensato in questi termini, devo essere onesto.

Nelle scorse settimane è andato in trend su TikTok la tua "Vietato Morire", per il suo messaggio contro i femminicidio: come l’hai presa?

Mi ha fatto un effetto strano e bello, nel senso che ho letto vari commenti di ragazzi e ragazze molto giovani, e uno in particolare diceva: "È la prima volta, da quando conosco questa canzone, che ne capisco il messaggio perché ero troppo piccolo quando l'ho sentita per la prima volta" e devo dire che è stata una cosa emozionante. Inutile dire che avrei preferito che questo non accadesse, perché avrebbe voluto significare che non ce ne sarebbe stato motivo, però sai, a volte alcune canzoni vengono riscoperte per delle casualità della vita, per degli avvenimenti. Ho provato emozione da una parte, ma dall'altra anche tristezza perché è una di quelle canzoni che sarebbe bello non fossero mai attuali.

Ti sei molto esposto sul tema della violenza contro le donne, anche dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin, ma qualcuno è riuscito ad attaccarti anche per questo. Come hai vissuto questo momento?

Il fatto di trovarsi sotto attacco quando ci si espone è qualcosa a cui ci si deve abituare, perché ogni volta che uno espone un proprio pensiero, anche una parola semplice o qualcosa di più complicato, vista la libertà degli altri di dire la propria, a volte è naturale essere criticati. Però mi piace pensare che quando mi espongo non lo faccio andando contro qualcosa, ma a favore di qualcos'altro: l'esposizione l'ho sempre vissuta come l'andare a favore di qualcosa, in questo caso delle donne, delle difficoltà che vivono e soprattutto della paura che vivono quotidianamente. La riflessione è sempre la stessa: io non ho paura di tornare alle due di notte a casa, invece la mia ragazza sì e già questo crea un grande divario nella vita delle persone. E penso che tutti insieme, come società, dovremmo fare qualcosa, impegnarsi ognuno nel proprio piccolo perché alla fine goccia a goccia diventa mare. Ognuno di noi si deve impegnare ad essere parte attiva per far sì che  questa paura sociale che le donne purtroppo vivono tutti i giorni sia eliminata. E purtroppo la cronaca ci mostra in maniera evidente e inequivocabile che queste paure non sono infondate: sono convinto che tutti insieme dovremmo impegnarci nella nostra quotidianità per far sì che la paura nella vita delle donne scompaia.

A inizio anno hai bloccato un tour per concentrarti sull'album, a che punto sei?

L'album l'ho finito, nel frattempo però sono cambiate tante cose, sia nella mia vita che dal punto di vista lavorativo, per esempio ho cambiato casa discografica, non sto più con la Mescal ma ora sono con la Sony. Durante quest'anno c'è stato un periodo di transizione che mi ha portato anche a dover rivedere alcune cose, poi all'esterno, nella vita di un musicista, si vedono soltanto alcune cose mentre altre non sono visibili. Sono particolarmente orgoglioso dell'album, penso che sia uno dei lavori migliori che ho fatto fino ad ora e non vedo l'ora di pubblicarlo. Questo singolo è stato soltanto un'anticipazione, poi ci sarà molto probabilmente un altro singolo e poi uscirà il disco, in modo tale da suonarlo d'estate perché poi alla fine l'attività principale per uno che ha la fortuna e il privilegio di fare questo lavoro è andare a fare dei concerti.

In che modo è cambiato quest'album durante la lavorazione?

C'è stato un approccio diverso, intanto ho avuto più tempo per lavorarci, l'ho fatto senza fretta: tutti gli altri quattro che ho fatto li ho portati al Festival di Sanremo quindi ci ho lavorato nel mese di dicembre-gennaio, sono sempre stati fatti in quel periodo, mentre questo è l'unico che non è stato fatto a dicembre, ma durante il corso dell'anno, con le mie pause e con i miei tempi.

Questo quinto volevi portarlo a Sanremo? Ho letto il tuo nome tra quello degli artisti che avevano inviato la canzone ad Amadeus.

Sanremo è una di quelle cose talmente belle, anche se faticose, è un'esposizione importante che ovviamente fa piacere andarci. A me piaceva anche quando veniva snobbato, quando non era ancora così cool, poi, insomma, la mia storia con Sanremo inizia veramente da lontano perché la prima volta che ci sono andato ero il chitarrista degli Ameba 4 e fu terrore puro, non mi aspettavo di avere tutta quell'ansia, ma avevo anche 24 anni e pochissima esperienza. Col Festival è stata una lunga storia d'amore, però questo non è il mio primo album ma il quinto, quindi sono ben felice anche di presentarlo in un altro contesto.

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