Sono maestri del cazzeggio, i Nobraino, come si può evincere dalle foto promozionali e dal teaser di presentazione del loro ultimo album, che si intitola… “L’ultimo dei Nobraino“. Nessuno stupore, per una band che ha esordito – era il 2006 – con un “The Best Of Nobraino” e che due anni fa ha scherzato sulla sua crescente notorietà pubblicando “Disco d’oro”: lo spirito ludico, peraltro affiancato a un’autorialità di spessore, è del resto impresso a fuoco nel corredo genetico di questi romagnoli, a volte non compresi appieno, se non addirittura fraintesi, ma anche in grado di suscitare genuine passioni. E il fatto che le loro fortune siano state costruite dal basso – dai primi CD autoprodotti al palco del Concertone del 1° maggio, passando per il salotto televisivo di Serena Dandini – e senza ricchi e potenti sponsor, la dice lunga sulla forza di volontà dei “ragazzi”. Una forza superiore ai mille problemi che di norma costellano le carriere dei cosiddetti alternativi nonché degli atteggiamenti un po’ controversi del frontman Lorenzo Kruger, personaggio carismatico tanto quanto spigoloso. L’ingresso nella scuderia della multinazionale Warner, ratificato proprio oggi dall’uscita de “L’ultimo dei Nobraino”, è il naturale punto di arrivo – meglio: di ripartenza – di un percorso molto interessante sul piano biografico così come sotto il profilo dei risultati artistici conseguiti. Potrà magari dispiacere il distacco da MArteLabel, la struttura indipendente che ha offerto un contributo determinante alla crescita del progetto, ma si sa che il mondo gira in una certa maniera.
A scanso di equivoci, ne “L’ultimo dei Nobraino” non si registra alcun sostanziale mutamento di rotta, a meno che non si voglia ritenere tale quel minimo di ulteriore perfezionamento formale che è conseguenza di un logico processo evolutivo (e, forse, di qualche euro in più da spendere in studio). I cinque continuano infatti a dar vita a un sound “colorato” e simpaticamente fuori dalle righe come gli abiti da loro indossati in copertina, un pop-rock eclettico e ben equilibrato fra vivacità e toni più pacati, fondato sulla sacra triade chitarra-basso-batteria ma aperto a contributi di altri strumenti (ad esempio, la tromba), nel quale si innesta il canto volutamente enfatico del leader. Per quanto concerne i testi, ovviamente in italiano, non si può non rilevare come la ricerca di un’espressione poetica comunque “alta” si sposi a un’ironia pungente che, sebbene sia a tratti un po’ sboccata, non riesce mai a risultare davvero volgare. Non mancano poi, espressi in modo mai sloganistico, i temi impegnati, oltre agli omaggi alla grande tradizione della canzone d’autore: l’esempio più brillante di come i due aspetti possano essere sviluppati assieme è forse “Miché”, che prendendo spunto dalla celebre “ballata” di Fabrizio De André narra la vicenda purtroppo realistica di un suicidio in carcere che suicidio non è. A prevalere è in ogni caso il desiderio di strappare sorrisi: si pensi a “Bella polkona”, che chiude la scaletta, frizzante omaggio alla terra dell’ensemble (“Romagna bella, ti voglio bene / sei la mia troia, sei la mia famiglia”), al singolo “Bigamionista” incentrato sulla doppia vita di un autotrasportatore in perenne movimento fra Marsiglia e Siviglia, a quella “Jacques Pérvert” che fa capire (quasi) tutto solo con il gioco di parole del titolo.
Rimane insomma una bella storia, quella dei Nobraino, che rappresentano – parole loro – “un cantautore che suona con una rock band, un incrocio fra Paolo Conte e Freddie Mercury”. Per toccare (o ritoccare) con mano, ci sono il nuovo album e soprattutto il tour che inizierà il 28 febbraio da Trezzo sull’Adda e si snoderà attraverso l’intera Penisola. Perché sul palco, c’è poco da fare, Lorenzo, Néstor, Bartok, Il Vix e David Jr. Barbatosta hanno sempre una marcia in più.