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Nino D’Angelo ricorda Maradona: “Quelle sere tra spaghetti e tango a casa di Bruscolotti”

Nino D’Angelo ha rappresentato un pezzo di Napoli, quella degli anni 80 quando il Pibe del oro arrivò e lui era uno dei cantori della città. Si conobbero quasi per caso, ma l’amicizia continuò nel tempo, tra spaghetti e tango da Bruscolotti, fino alle traverse a porta vuota mentre giravano un film assieme: “M’emozionavo ogni volta che lo vedevo, era una leggenda”
A cura di Francesco Raiola
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C'è una foto che tutti i fan di Nino D'Angelo conoscono bene, quella in cui è raffigurato, ancora col caschetto biondo, assieme a un riccioluto Diego Armando Maradona. Una foto che a modo suo è uno dei simboli di Napoli di metà anni 80, quando in città arrivo un marziano, IL marziano, colui che avrebbe rivoluzionato per sempre Napoli, che in quegli anni si muoveva sulle note di uno scugnizzo col caschetto che si stava prendendo la città a suon di successi. Quella foto incastona il primo di una lunga serie di incontri tra Diego e Nino, due facce che hanno disegnato il volto contemporaneo di Napoli. Sono talmente legati i due nomi che al telefono Nino D'Angelo ci dice che ha dovuto staccare tutto. Quando si è saputo della morte di Diego, scomparso a 60 anni a causa di un attacco cardiaco, praticamente è stato sommerso dalle chiamate e dai messaggi: "Guarda, non mi era mai capitato, manco a Sanremo, forse manco per i 60 anni, praticamente facevo prima a fare una conferenza stampa. Quando è finito Maradona, mio figlio Vincenzo mi ha mandato la notizia e ho avuto una crisi esagerata, uno si emoziona, io mi sono emozionato, m'è caduto il mondo addosso, come se fosse caduto un monumento di Napoli, anzi no, quello è caduta proprio tutta Napoli".

Nino, e come mai ti hanno chiamato tutti? Perché tutti hanno pensato a te?

Forse perché rappresento gli anni belli di Maradona: quando venne a Napoli io ero nel periodo del boom, col caschetto. Pensa che il manager di Maradona un giorno chiamò il mo agente perché voleva sapere chi aveva messo dei manifesti in giro per Napoli che dicevano "A Napule tre cose ce stanno ‘e bello: Maradona, Nino D'Angelo e ‘e sfugliatelle". Io ovviamente non ne sapevo niente. Poi Diego volle conoscermi, mi chiese di andare allo stadio, all'epoca il Napoli si allenava proprio al San Paolo e io andai là. Praticamente andai per avere una cazziata e invece… Diego non sapeva che ero molto popolare, amato, lui non mi conosceva.

È l'incontro della foto famosa in cui avete la porta alle spalle, giusto?

Esattamente, c'eravamo io, lui, Raimondo Marino, un altro giocatore, che poi venne tagliato. Quello è stato il momento in cui andai in campo e ci conoscemmo.

È vero che quando ti chiamarono subito dicesti a tuo figlio: "Andiamo, andiamo, che ti faccio fare una foto con Maradona!"

Sì, ero con Tony, lui era piccolino, ovviamente i bambini all'epoca già impazzivano per Diego.

Beh, immagino fosse un'emozione pure per te…

Figurati, io sono un malato di calcio, ero io il primo a volerlo conoscere, diciamo che il passo l'hanno fatto loro, ma anche a me faceva piacere. Poi quando ci siamo conosciuti anche loro si sono innamorati un po' di me.

E l'amicizia dopo quel primo incontro come s'è sviluppata?

Guarda, ci vedevamo tantissime volte, quella è quello da cui è cominciata questa piacevole amicizia, la stima, la voglia di volerci bene.

C'è stato qualcuno che ha contribuito più di tutti a questa amicizia?

Eravamo entrambi amici di Bruscolotti, è casa sua il luogo in cui abbiamo stretto tanto, preso confidenza. C'era la moglie di Peppe, Mary che cucinava gli spaghetti aglio e olio, avevano una camera adibita a discoteca, Diego veniva con la moglie e mangiavamo, loro ballavano il tango argentino, Diego era un bravo ballerino.

In un'intervista ad Avvenire dicesti: "Con Diego ci accomunano le origini, il venire dal niente o dal poco: conosciamo bene le sofferenze e i sacrifici fatti per lasciarci alle spalle la povertà e vorremmo che la vita fosse un po’ più tenera e generosa con tutti".

Guarda, se mi chiedi cosa ci accomuna ti dico che certo le nostre storie hanno, in un certo senso, delle cose in comune – anche se il successo di Maradona è enorme, mondiale, incomparabile, non paragonerei mai me a lui -, però Maradona, come me, non riuscì mai a tirarsi fuori dalle sue origini. Io non posso essere in un altro modo, hai voglia a dirmi, da 30-40 anni, di cambiare, io sono sempre quello di San Pietro a Patierno, quella è la mia casa, e Diego era lo stesso, sempre lo scugnizzo di Villa Fiorito, che viveva nelle difficoltà, che aveva in testa il pensiero di amare la gente, i meno fortunati, ci accomunava, con le dovute proporzioni, il fatto di essere la voce di quelli che non ce l'hanno, che non possono andare sui giornali. Noi potevamo prestargli la voce, insomma, ci accomuna il vivere la povertà come una cosa bella.

Ricordi il sentimento che provasti quando andò via?

Provai tanta tenerezza, penso che Diego abbia pagato i suoi errori, ma chi è che nella vita non ne commette! Solo che nessuno ha detto che i suoi errori erano quelli di un uomo malato. Diego era tossicodipendente, ed è da malato che probabilmente ha fatto certi errori.

Sai che c'è sempre chi sottolinea proprio questa cosa?

Ma sì, ti dico questo anche per rispondere a chi adesso si accanisce contro di lui. Diego era un bravo ragazzo, che però era malato. Ora c'è chi dice che stiamo piangendo un diavolo, invece è uno che si è fatto male da solo, e chissà se tutti gli abusi non li abbia pagati con la vita.

Senti, chiudiamo con una cosa bella: cosa ti ha dato di bello Diego?

Diego me dev' ‘e bello a iss' ("Diego mi dava di bello se stesso"). Era lui il bello, era Maradona, chillo se chiamma pure Maradona: poteva chiamarsi Maradino, Maraduccio, no, Maradona, uno che si chiama così, uà, deve fare successo per forza. Di Diego ho tanti ricordi, quando girammo il film "Tifosi" – lui già stava male – è stato troppo bello, era carnale. Poi era veramente innamorato del pallone: un giorno andammo a fare lo spot del film vicino Roma e quello appena vide un pallone – comme a nu criaturo ca nun ave maje visto nu pallone (come un bambino che non aveva mai visto la palla), lo prese e si mise a palleggiare. Poi, beh, questa cosa è stata raccontata, ma è bellissima: mise la palla a terra e disse ‘Guarda cosa faccio!', solo che in porta non c'era il portiere e io dissi ‘Vabbè, Diego, ma pure io segno così, non c'è il portiere', e lui: ‘No, aspetta, c'è una differenza, io prendo la traversa' e prese la traversa tre volte consecutive! Era uno così e poi non si può dire una sola cosa di Diego, Diego era un libro, era Maradona, tutti noi volevamo farci la foto con lui. Io m'emozionavo ogni volta che lo vedevo, era una leggenda.

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