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Nino D’Angelo parla a Fanpage.it della depressione: “Colpisce anche i ricchi, serve lo psicologo”

Nino D’Angelo non ha bisogno di molte presentazioni. Tutti conoscono le sue due vite, quella col caschetto e quella senza, riabilitato all’intellighenzia nazionale da un intellettuale come Goffredo Fofi prima e Nicola Lagioia poi, che è anche autore della prefazione della sua autobiografia “Il poeta che non sa parlare”.
A cura di Redazione Music
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Nino D'Angelo non ha bisogno di molte presentazioni. Tutti conoscono le sue due vite, quella col caschetto e quella senza, quella in cui era considerato il nuovo cantore di una Napoli neomelodica (ma il termine è controverso per lui) e quello World, riabilitato all'intellighenzia nazionale da un intellettuale come Goffredo Fofi prima e Nicola Lagioia poi, che è anche autore della prefazione della sua autobiografia "Il poeta che non sa parlare" pubblicata da Baldini + Castoldi che assieme a un disco di inediti con lo stesso nome fa parte di un progetto più ampio in cui Nino D'Angelo torna a parlare della sua vita. Dall'infanzia in povertà ai primi successi, dalle delusioni e la depressione, fino alla riabilitazione e al successo di un cantautore che non ha paura di mettersi ancora una volta in gioco, parlando di razzismo (con Rocco Hunt) e delle fragilità dell'uomo, specie in un periodo di pandemia e solitudine, ma non rinuncia all'amore e a un mito come Maradona.

"Il poeta che non sa parlare" è il tuo nuovo lavoro, che è sfociato nella realizzazione di un album e un libro. Tra le altre cose, racconti della tua infanzia, scandita dalla povertà.

Quando ero piccolo mi vergognavo di essere povero. All'inizio non lo sapevo: lo scoprii un giorno nella chiesa di Padre Piscopo, quando andai a benedire le case vestito da chierichetto. Ho raccolto i soldi, li ho messi in una busta e ho detto: "Padre, questi sono i soldi che stavano nell'acquasantiera". Quando glieli consegnai, lui mi disse di portarli a casa; pensai subito che il prete fosse un "mariuolo". L'ho guardato in faccia e gli ho chiesto: "Padre, ma non sono per i poveri?", e lui mi rispose: "Perché, tu cosa sei?". Ricordo che tornai a casa con mio padre e iniziammo a litigare, perché non volevo essere povero, gli urlavo: "Papà, nun voglio essere povero! Nun voglio essere povero!". Papà mi fece preparare una valigia di cartone con i miei vestiti, la sistemò a fianco alla porta e mi disse: "Vattene dalla signora al piano di sopra, lei ha i soldi e ti ti vuole bene, vai". Ci ho anche pensato un po', a dire la verità, però poi il sangue mi ha fatto rimanere là.

Com'è nata l'idea di incidere un nuovo disco?

A dire il vero non volevo fare più dischi nuovi: ne ho già incisi troppi. Poi Jorit mi ha dedicato un murales bellissimo a San Pietro a Patierno, e quando l'ho visto mi sono commosso. La gente ha fatto addirittura una colletta per comprare i colori… ho pensato che dovevo dare ancora qualcosa. Poi, sai, la pandemia e il dover restare chiusi in casa hanno reso la realizzazione di questo disco più difficile del previsto. È un disco in cui si nota una certa sofferenza ma, allo stesso tempo, una voglia di uscire a vivere, di uscire fuori da tutto.

Tra le varie collaborazioni, c'è anche quella con Rocco Hunt, con cui hai scritto un pezzo contro il razzismo. 

Sì, diciamo che io avevo scritto il testo del brano e, all'inizio, avrei dovuto cantarlo da solo. Però Rocco mi chiedeva sempre: "Maestro, voglio fare qualcosa insieme a te". A un certo punto gli ho detto "Facciamolo, però dobbiamo fare un pezzo contro il razzismo, non è che possiamo fare una canzone d'amore". L'ispirazione per scrivere la mia parte di testo mi è venuta quando ho incontrato un ragazzo nero in un bar a Casoria. Ero da solo e sentii urlare "Gaetano! Gaetano!", ed era lui che mi chiamava, parlando perfettamente in dialetto napoletano. Mi ha raccontato un po' la sua storia, quella di un ragazzo il cui padre è venuto dall'Africa e si è innamorato di una donna di Porta Capuana (Napoli). Ho voluto raccontare la sua storia, dire a tutti: "Quello è come voi". Poi Rocco ha scritto la sua parte, quella rap.

Il tuo percorso ti ha portato anche a dare lezioni all'università. Cosa significa per te?

È un'emozione bellissima, perché io non penso mai a me – lo dico e mi commuovo -, penso sempre alle persone che vivono a San Pietro a Patierno, a Secondigliano, ad Afragola e che non saranno mai Nino D'Angelo, anche se magari sono bravissime. Io devo ringraziare il talento: senza il talento, ora non starei qui a parlare con te. Ho il dovere di raccontare che esiste gente molto povera e emarginata: sono figlio di persone che non contano, però ce l'ho fatta, e quindi devo parlare, devo dirlo.

Nel libro parli anche di depressione, un tema complesso e attuale di cui, forse, si parla troppo poco. 

La depressione bisogna farla capire alla gente, è una malattia patologica. Non si cura così, da sola, bisogna andare dallo psicologo e farsi curare. Tu puoi essere pure il più grande cantante, la depressione prende anche quelli che stanno vivono bene e hanno i soldi. Noi siamo arrivati alla depressione perché abbiamo perso dalle tasche il desiderio: se non desideriamo, ci dobbiamo deprimere per forza. La vita bella è desiderare, quando ti manca il desiderio non sei niente.

Parlando di te dichiari: "Sono un napoletano e faccio il cantautore, il primo neomelodico sdoganato". Ci spieghi cosa intendi?

Intendo dire che sono stati gli altri a decidere che sono un neomelodico. Io amo tutti i neomelodici, li amo perché sono i ragazzi di Napoli e tutti i ragazzi di Napoli sono figli miei; però io nasco col caschetto negli anni Ottanta e ho fatto una grande storia, ma ai tempi la parola "neomelodico" non esisteva quindi non potevo essere neomelodico. Oggi quella del "neomelodico" è diventata un contenitore in cui inserire ogni cosa. Io mi sono fatto un mazzo così per arrivare dove sono arrivato, e non posso essere confuso con tutte queste cose. Non è che voglio prendere la distanza, però io ho scritto "Senza giacca e cravatta", e vi chiedo: è una canzone neomelodica? "‘O pate" è una canzone neomelodica? "A storia ‘e nisciuno" è una canzone nemelodica? E poi sono pure vecchio, ho 64 anni, i neomelodici sono giovani. Troviamo un'altra parola, dai: "Veteromelodico".

Cosa ti aspetti per il futuro?

Mi piacerebbe fare in teatro Eduardo De Filippo, ovviamente con un grande regista che mi metta bene in scena.

(di Francesco Raiola con la collaborazione di Giuseppe Scaffidi)

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