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Nick Cave con Ghosteen ci insegna ancora una volta come si trasforma il dolore in canzone

Nick Cave ci aveva dato solo una settimana di anticipo per prepararci al suo ultimo album con i Bad Seeds, “Ghosteen”. Una notizia buttata quasi per caso, data rispondendo a una domanda di un suo fan e diventata improvvisamente la notizia musicale del momento. Un album che elabora il lutto, parla di morte ma lo fa in maniera, pare, più pacificata.
A cura di Francesco Raiola
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Nick Cave (Photo by Kevin Winter/Getty Images)
Nick Cave (Photo by Kevin Winter/Getty Images)

Nick Cave ci aveva dato solo una settimana di anticipo per prepararci al suo ultimo album con i Bad Seeds, "Ghosteen". Una notizia buttata quasi per caso, data rispondendo a una domanda di un suo fan e diventata improvvisamente la notizia musicale del momento. Perché quello che succede quando Nick Cave pubblica è sempre un evento, e in molti si chiedevano quale direzione avrebbe preso il cantante australiano dopo "Push the sky away" e soprattutto dopo "Skeleton Tree", l'album uscito dopo la perdita del figlio Arthur, caduto da una scogliera nel Sussex. Un lavoro cominciato prima di quel tragico evento, ma terminato dopo e permeato comunque di quel senso si perdita: "You fell from the sky, crash landed in a field, near the River Adur" è, per dire, l'inizio di "Jesus alone", canzone che apre l'album.

La morte è da sempre un argomento che Cave racconta e né Skeleton Tree, né Ghosteen potevano fare eccezione: "Ho scritto molte canzoni dopo la morte di Arthur – dichiarò al Guardian, in una delle rare interviste concesse dopo la morte del figlio – ma sentivo come se fossero in qualche modo un tradimento di ciò che stavamo passando al tempo o, peggio, un tradimento ad Arthur stesso. Non possedevano il bisogno emotivo richiesto, quindi le misi da parte. Andrew Dominik però le trovò nel mio taccuino e la ha amate, usandole per la voce fuori campo di One More Time With Feeling" ovvero il documentario sul making of proprio dell'album. Insomma, se quell'album non era nato come un album sul figlio, ovviamente quell'evento non poteva non permearne il risultato finale e quel "I'm calling you" che ripeteva nella prima e nell'ultima canzone era un indizio in quella direzione.

"Ghosteen" prosegue quello che è il processo di elaborazione del lutto, ma almeno a livello sonoro sembra più pacificato rispetto al precedente, che usava chitarre, synth e batterie per creare un'atmosfera cupa e talvolta inquietante. Quest'ultimo album, che chiude la trilogia, suona, invece, più morbido. Lasciando da parte la copertina, che in qualche modo dà un'immagine paradisiaca, la batteria è sparuta, le distorsioni lasciano spazio al piano e alla voce di Cave che anche qui alterna il canto allo spoken word, ma non perde nulla della profondità che ha lo ha reso uno dei principali cantori dell'animo umano. Anche se con "Spinning Song" in qualche modo è come se in qualche modo si volesse riprendere da dove l'avevamo lasciato, "Bright Horses" cambia rotta e comincia a dare un nuovo percorso, col piano che si poggia su un tappeto di synth, accompagnato dalla voce di Cave.

In queste canzoni di Nick Cave ci sono cavalli d'amore dalle criniere infuocate, re e principi del rock ‘n' roll, lucciole che pulsano nel buio e galeoni che volano e cadono, "Jesus lying in his mother's arms, just so up on the wall" – e Gesù e la religione permeano un bel pezzo anche di quest'album -, e immagini di una poesia totalizzante. Poesia, appunto, nessun cedimento alla comprensione "facile", c'è bisogno di starci un po', starci e non capirle, starci e non capirle, starci e non capirle, starci e… e capirne solo qualche passaggio; passaggi che però ti strappano lo stomaco. Ci sono immagini totalmente astruse dalla moda del momento, un "waiting for you" continuo e ossessivo che cantato da lui assume una potenza che lascia senza fiato, la ricerca di una pace interiore che segue alla tragedia, e quella chiusura di speranza e attesa: "Everybody's losing someone Everybody's losing someone It's a long way to find peace of mind, peace of mind It's a long way to find peace of mind, peace of mind. And I'm just waiting now, for my time to come And I'm just waiting now, for peace to come For peace to come" ("Tutti stanno perdendo qualcuno, tutti stanno perdendo qualcuno, è un lungo cammino, la ricerca della pace mentale. È un lungo cammino, la ricerca della pace mentale ed io sto solo aspettando il giorno, sto solo aspettando che giunga la pace").

"Ghosteen" rientra in quegli album sulla perdita che ci hanno fatto struggere: lavori come "Carrie & Lowell" di Sufjan Stevens o, ancora di più, "A Crow Looked at Me" di Mount Eerie (ma anche "Folfiri e Folfox" degli Afterhours se non volete andare troppo lontano), che raccontano come affrontare il dolore della perdita (del figlio, della compagna, della madre e del padre). Bisogna starci un po' in quest'album, poi ti strazia e ti fa capire quanto è complesso scrivere e quanto è complesso comprendere, e quanto quello sforzo di comprensione sia una fiammella che ti tiene sempre un po' più vivo.

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