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Neffa racconta AmarAmmore e la sua eredità artistica: “Ho ispirato più gli artisti che il pubblico”

Raccontare un viaggio emotivo non è mai semplice, soprattutto se racchiude un tuo progetto musicale, ancor di più se è arrivato da un’elevazione emotiva non programmata. “AmarAmmore” è il nuovo progetto di Neffa, a sei anni da “Resistenza” e racconta la napoletanità dell’artista, tra le influenze di Murolo e Daniele e l’abbraccio con la sua terra.
A cura di Vincenzo Nasto
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L'intensità emotiva è il fulcro del racconto della produzione di "AmarAmmore", il nuovo progetto discografico di Neffa che, a sei anni dall'uscita di "Resistenza", racconta le sue origini campane e lo fa attraverso il dialetto di Pino Daniele e Roberto Murolo. Un progetto che, rispetto al passato, ha unito la sensazione d'ispirazione, ma anche la praticità e gli strumenti di chi fa musica da oltre 30 anni. Raccontare la propria visione di Napoli non è stato facile, così come non lo è stata la ricerca di una stabilità emotiva che potesse rasserenarlo. Poi il racconto della vita da studio e quell'eredità artistica che sempre di più si compone, e che sembra non esser ancora terminata: altro tipo d'eredità è quella che ha lasciato a molti artisti, ispirati dalle sue melodie.

A due mesi dall'uscita del disco, qual è la tua percezione sul disco e qual è stata la risposta del pubblico, a un progetto atteso da anni?

Per me il risultato era raggiungere un determinato tipo di pubblico, quello napoletano, nella maniera più intrinseca possibile, facendo in modo che lo sentissero loro. Ero curioso di comprendere come il pubblico reagisse a quelle canzoni, anche perché io non sono di lì, sono cresciuto al nord e non sono completamente pervaso di napolitaneità. Dopo due mesi ti posso dire che ho visto tanti messaggi, tante foto e video di persone a Napoli che ascoltavano la mia musica. Dall'altro lato, sapevo che per chi non fosse napoletano non sarebbe stato difficile da digerire.

Come hai approcciato a questo disco?

Questo disco l'ho approcciato come fosse una conversazione, come se stessi parlando. Mi sono posti obiettivi artistici, sentivo che sarebbe stato il mio preferito. So che in molti potrebbero dire che "l'ultima creatura è sempre quella preferita", ma so che per me non è così, so che io non sono così. Valuto ogni disco in base alle sensazioni che mi ha dato durante la produzione, e ciò che ho vissuto con questo disco è stato incredibile, mai avuto un processo così.

Qual è l'aspetto emotivo che ti ha colpito di più in quel momento?

C'è stato un momento preciso, in cui tutto ciò che dovevo fare è lasciarmi andare alla scrittura e alla produzione. Ho cercato di incanalare questa energia in una direzione, datami anche dall'esperienza nel fare musica.

Fujevo. Scappare, ma da cosa?

Fujevo è stata una delle ultime canzoni che ho scritto, dopo quel periodo di due mesi in cui ho avuto questa linea d'ispirazione incredibile. Ero alla fine di questo viaggio emotivo in cui le canzoni venivano fuori in un paio d'ore, mentre adesso non riuscirei a farlo nemmeno in una settimana. Credo nell'istantaneità di un brano, che non superi le sei ore di produzione. Fuggivo da una stabilità sentimentale in passato, il brano racconta la mia voglia anche di essere meno inquieto, in un rapporto.

Dopo aver corso così tanto, cosa ti ha tenuto fermo, cosa ti ha convinto nella stesura di "Amarammore"?

In questi anni ho sempre fatto musica, e ho cercato di farla nella maniera più "artigianale", qualcosa che avesse senso. Mi sono reso conto negli ultimi anni che tutto ciò che avevo scritto non avesse una dimensione da progetto, e dall'altro lato non sono un amante di tutto ciò che è laterale alla musica. Non sono uno che vive per la carriera, e non sono neanche un amante della riproduzione dal vivo.

Perché?

Credo sia sempre la stessa manfrina, che devi impegnarti a farla sembrare diversa in ogni concerto, sapendo che devi impressionare quel pubblico che verrà a vederti in quella data. Non è sempre facile far sembrare la tua musica viva, attraverso te. Io vado pazzo per la vita di studio e avevo bisogno di qualcosa di veramente forte.

Cosa è arrivato in quel momento?

Sapevo che non potevo presentare qualcosa di già fatto, avevo voglia di qualcosa di nuovo, qualcosa che mi stimolasse come non mai. Il napoletano, la lingua, mi ha attratto, quasi nel subconscio, come se mi stesse ricordando la mia infanzia. Quando ho cominciato a scrivere i pezzi da solo, ho notato che il processo era diverso. In pochi giorni è venuto fuori "AmarAmmore" che è stata la prima canzone che ho scritto e pian piano le altre. Quel momento è stato l'intuizione superiore, un'elevazione che mi ha trasformato.

Era la prima volta che ti succedeva?

Non era la prima volta che mi succedeva, ma sicuramente è stata la volta in cui questo momento mi è durato di più. Mi accorgevo di avere un piglio diverso, una voce diversa, gli occhi diversi. Una sorta di realtà aumentata. Quando ho sentito che stava arrivando questo momento, questa volta avevo tutti gli strumenti necessari per non inquinarlo.

Come in passato.

Sì, per esempio nel progetto "Molto calmo". Avevo questo momento e scrivevo e producevo, ma poi perdevo tempo a missare la traccia. Mi son reso conto di aver sprecato molto, perché poi quando le muse vengono così, incredibilmente da sole, sei un cretino se le lasci andare. Partendo da quest'ottica, c'è stato un periodo in cui uscivano canzoni ogni giorno, però onestamente adesso, quando ci penso, mi chiedo: come facevo a scrivere un giorno "N'abbraccio" e quello dopo "Piccerè"?

Come ti ha cambiato questo stato mentale?

Mi ha completamente trasformato, poi c'è stata di mezzo la pandemia, che ha cercato di contrastare questa mia elevazione. Tutto questo mi ha lasciato un album, ma anche le cose attorno al disco, rispetto al passato, sono andate in maniera diversa. Tutti i collaboratori che hanno toccato la storia di questo disco, lo hanno fatto con armonia e semplicità. In passato c'erano state copertine, che dopo tante prove, erano state scelte anche senza tanta convinzione, invece questa volta si sono allineate le visioni. Sai quando ti escono le cose fatte bene al primo colpo? È stato proprio questo. Con il quadro in copertina di mio padre, si è chiuso un cerchio.

La copertina del disco impressiona per la sua franchezza, per le immagini mentali e per i suoni a cui si riconduce. Uno di quei suoni, di quelle melodie, ricorda "Scalinatella" di Roberto Murolo, uno degli autori che ti ha maggiormente influenzato.

Una delle prime volte che ho ascoltato quel brano con maggior attenzione, stavo facendo il disco con i Sangue Misto. Ai tempi di "I messaggeri della dopa", ho avuto il mio primo momento muroliano. Ero ancora troppo giovane, avevo 26 anni, mentre dal 2005 in poi, insieme a Pino Daniele, Murolo è sempre stato nei miei ascolti. Quando ascoltavo "Scalinatella", mi immaginavo la scena che il brano raccontava. Quando si diventa più vecchi, si diventa anche più autocelebrativi, ma sono sicuro che non avrei potuto fare un disco del genere anni prima, anche perché l'inquietudine mi portava a dover mitragliare, più che godermi certi attimi. Certe mie difese sono crollate, sono meno condizionato nel fare musica. La musica è come una coperta: non puoi dare a un 20enne la profondità di un 50enne, come non puoi esigere da un 50enne la mole di lavoro di un 20enne. È una questione di onde e di anima.

Un discorso diverso per AmarAmmore però.

Si, perché ho trovato un'energia, una voce diversa. Alcune volte quando risento le canzoni, mi chiedo: "Dove ho cacciato questa voce in questa strofa, in questo ritornello?". È come se mi facessi portare, come se viaggiassi su qualcosa che sapevo sarebbe finito in poco tempo. Cercavo di non guardare in basso, di andare avanti. È difficile che succeda in età avanzata, in un processo che ripeto da anni. Per esempio, un pomeriggio mi venne una frase, e la sera ci ripensavo in maniera ossessiva. Di notte sono andato in studio e l'ho dovuta registrare, come se la dovessi per forza buttare fuori. È uno dei tre pezzi che avevo scritto, ispirato da Pino Daniele.

Un'altra grande influenza nel disco…

Ho scritto tre brani, che rappresentano tre diversi momenti della carriera di Pino Daniele. Per esempio in "T'agg verè", si sentiva una musicalità diversa, quasi mia. Mi ricordo perfettamente quando l'ho composta, ero in studio con un amico che molto spesso mi fa compagnia, e diventa il mio "primo" pubblico. Mi ricordo che andava la base e improvvisamente era una delle mie migliori degli ultimi anni, e quando ha sentito quello che io pensavo fosse il ritornello ma è poi diventato il bridge, anche lui si è accorto che stavamo facendo qualcosa di diverso. Sentivo come se stessi in una casa di cui conoscevo tutte le stanze, e improvvisamente una parete cadendo, me ne avesse mostrata un'altra. Mi è esplosa la voce nel ritornello, come non mi succedeva da tempo. Io dico sempre che la voce è come il sesso: a 18 anni riesci a esplodere, ma lo fai senza capire, come un mitragliere; a 50 anni riesci a dosare e controllarti.

Catene è un brano emblematico, per la strofa rap, per il tuo passato, per il messaggio che hai voluto trasmettere. Hai pensato qualche volta a ritornare su quelle sonorità, in occasione anche dei 25 anni de "I messaggeri della Dopa"? Ma soprattutto, quanto c'è della tua formazione, del tuo modus operandi hip hop, nella successiva fase della tua carriera?

Faccio fatica a pensare di potermi esprimere ancora con l'hip hop, più che altro a pensare di riuscire a esprimere qualcosa di poetico alla mia età. Non è una cosa ripetibile, è come il senso di ribellione del punk: ce lo vedi Sid Vicious a 50 anni a urlare sul palco? Credo sia una musica generazionale. Però io credo, con tutto quello che ho fatto in questi anni, a livello di forma creativa e di scrittura, di non essermi mai allontanato dal mio animo hip hop. Credo di avere varie vene, dal classico italiano a Pino Daniele, dal prog-rock al punk, al rap e al soul. Ma anche David Bowie, come anello di congiunzione tra musica bianca e nera, come Hendrix. Certe attitudini, come quella punk in cui mi sento, fanno parte di me.

Come hanno convissuto in questi anni tutte le tue anime, ma soprattutto come si è scisso, se è successo, Giovanni dal personaggio Neffa?

Non sono mai stato in grado di essere un personaggio, ma molto probabilmente perché lo ero già. Ci devi essere un po' portato per questa cosa, essere messo sul piedistallo per farti vedere. La mia natura mi ha portato a non farmi piacere questa cosa, ma so che è una cosa importante. Quando ho avuto la fortuna di fare la musica come lavoro, il mio obiettivo è quello di entrare nella vita delle persone con le tue canzoni. Penso sia questo poi il valore dell'eredità.

Quale pensi sarà la tua eredità?

Nella grande storia della musica italiana, in un piccolo frammento che raccoglie la mia musica, spero un giorno di essermi ritagliato il mio posto. Sono consapevole che tra 50 anni non si parlerà di Neffa, perché si parlerà di numeri. Io non ho mai fatto lo stadio per 3 giorni. Però in qualche angolino, in qualche piccola parte, io certe cose che lascio dopo di me ci sono per alcune persone. Probabilmente questo era già avvenuto per me con "I messaggeri della Dopa" e i Sangue Misto.

Ti ha dato fastidio questa cosa?

Non c'era bisogno che le persone me lo dicessero, me ne ero già accorto. Le persone volevano che io facessi quello, anche perché avevano colto che io fossi vero. Da lì in poi le persone volevano che continuassi, ma io non potevo farlo: io dovevo dargli il vero, e per me era altro. Da lì nacquero gli haters, io li avevo già nel 2001. Troppa avanguardia.

Pensi di aver ispirato una generazione di artisti, più che di persone?

Penso sempre una cosa, a volte mi chiedo, quando sento una canzone: cosa canterebbe Bob Marley? Cosa canterebbe Billie Holiday? Da un certo punto di vista, credo che molti artisti italiani si siano chiesti alcune volte: Cosa canterebbe Neffa? Credo di aver ispirato molti cantanti, meno le persone che ascoltavano la mia musica.

Cosa ci sarà dopo AmarAmmore?

Musica, nient'altro. Sono stato fortunato ad aver fatto AmarAmmore, perché adesso quando ripenso alla mia carriera, so che ci sarà quest'album a ricordarmi chi sono e cosa sono diventato. Poi ce ne sarà quasi sicuramente un altro, non voglio lasciare per troppo tempo musica nel mio computer, non vorrei che diventasse vecchia.

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