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Il dottore accusato della morte di Michael Jackson si confessa: “Si è ucciso da solo”

In un’intervista esclusiva al Daily Mail Conrad Murray, accusato per la morte del Re del Pop, parla dell’ultima notte del cantante e della vita mesta che il cantante faceva, schiavo dei tranquillanti, paranoico e senza nessuno al suo fianco a parte i figli e lo stesso dottore.
A cura di Francesco Raiola
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Leggendo la prima intervista concessa dal Dr Murray, condannato per la morte di Michael Jackson, si rimane spesso senza parole. Almeno rimarrebbe senza parole chi non ha idea di come vivesse gli ultimi anni della sua vita la popstar più famosa al mondo che, dice Murray, considerava della famiglia, a parte i suoi tre figli Paris, Prince, Blanket solo lui: "Quest'uomo che era stato così solo e che aveva passato tantissime notti parlandomi del suo dolore e delle sue angosce, finalmente sentiva di poter credere in qualcuno nella sua vita che non fossero i solo i suoi tre figli". Murray s'è confessato in un'intervista esclusiva al Daily Mail, dopo essere uscito dal carcere e aver scontato metà della sua pena, dopo che il Tribunale lo aveva considerato colpevole di aver iniettato a Jackson una dose letale di propofol, un anestetico che il cantante usava per dormire, che avrebbe causato l'arresto cardiaco che lo uccise e per cui è stato condannato a quattro anni per omicidio colposo. A poche settimane dalla sentenza di assoluzione per la AEG nel processo che vedeva l'etichetta accusata dalla famiglia del cantante di aver peccato nel controllo della salute del cantante, anche a causa di Murray – sentenza contro cui i familiari faranno ricorso -, il cardiochirurgo si confessa, parlando della sua amicizia con il Re del Pop, delle sue paure e angosce e di quel maledetto ultimo giorno, dichiarandosi assolutamente innocente e spiegando, ancora una volta, cosa successe la notte del 25 giugno 2009: "Non avrei mai dato a Michael nulla che avrebbe potuto ucciderlo – ha detto al giornalista in lacrime -. Gli volevo bene, gliene voglio ancora e gliene vorrò per sempre".

Michael Jackson non credeva più a nessuno, non si fidava di nessuno al punto da non lasciare neanche che la domestica gli pulisse la stanza, per paura che potesse rubargli qualcosa, ma lasciando la sua camera da letto in condizioni pessime, racconta il dottore, che per molto tempo è stata l'unica persona che ha avuto accesso alla vita privata del cantante: "Quanto eravamo intimi? Beh, tenevo il suo pene tra le mani ogni sera per fissargli il catetere a causa della sua incontinenza" ha detto Murray per rendere l'idea. Sempre al Mail racconta gli ultimi istanti della vita del cantante negando che le cose siano andate come ha sostenuto l'accusa, ovvero che abbia lasciato il cantante al propofol prima di abbandonare la stanza. Anzi, lui era completamente contro l'idea di dargli l'anestetico, ma quando aveva cominciato a curarlo, MJ lo utilizzava in forti dosi per dormire – la mancanza di sonno era uno dei problemi maggiori della popstar – e toglierglielo improvvisamente era impossibile: "Michael non era uno a cui potevi dire ‘no'" e così aveva deciso di ridurgli man mano le dosi, consapevole, tra l'altro, che il propofol non era l'unico dei suoi problemi. Quella sera, intanto, gliene aveva prescritti 25mg, ovvero una dose minuscola che sarebbe scomparso dal suo corpo in 10 minuti, restando seduto sul letto del cantante per almeno un'ora e mezza, ovvero il tempo che servì a MJ per addormentarsi.

Quando lasciò la stanza del cantante, continua, aveva un battito del cuore normale e i segni vitali erano buoni. Cosa successe, allora, dopo che se ne andò? "Credo che si sia svegliato, abbia preso la sua dose di propofol e se la sia iniettata, ma l'avrebbe fatto troppo velocemente, andando in crisi cardiaca. Quando sono tornato nella stanza ho visto subito che non respirava, ma non sono andato in panico. Ho tastato l'inguine e la carotide ma non c'era battito e così ho cercato di rianimarlo. Ho resuscitato migliaia di persone. Era un mio amico, certo, ma mi sono attenuto allo standard medico". Insomma Murray nega di aver abbandonato il cantante e rigetta al mittente le accuse di chi sosteneva che non si sarebbe comportato secondo gli standard, cercando di rianimare MJ sul letto, invece che a terra: "Sono un cardiologo di professione, è ciò che faccio nella vita". A quel punto, rendendosi conto che la situazione era gravissima, ma non ancora definitiva, avrebbe chiamato aiuto e sarebbe andato con l'amico in ospedale dove neanche l'elettrostimolazione avrebbe dato i suoi frutti. E così il cantante fu dichiarato morto alle 14.26 e lui fu il primo a dare la notizia ai figli.

A leggere l'intervista ne esce un'immagine molto mesta del cantante che il dottore aveva già trovato in condizioni precarie quando cominciò a seguirlo in maniera costante (già in precedenza lo aveva avuto in cura). Avrebbe dovuto seguirlo nella preparazione del tour londinese "This Is It" che il cantante, pare, non avesse alcuna voglia di fare, benché costretto da una condizione di indigenza economica e dalle enormi pressioni che sempre secondo il medico la produzione gli faceva (facendo, quindi, da sponda alle accuse della famiglia del cantante). MJ non aveva una casa sua, che non poteva permettersi, e si spostava continuamente nonostante la richiesta dei figli di stabilità, ma gli organizzatori lo pressavano: "Arrivavano a casa e gli dicevano ‘Siamo noi a pagare per questa casa. Siamo noi a pagare i ghiaccioli che i tuoi figli mangiano, così come siamo noi a pagare le tue guardie del corpo e la carta igienica con cui ti pulisci il c**o. Se non farà i concerti è finita. Non avrà un centesimo. Finirà sotto i ponti". Accuse che l'AEG ha sempre negato, uscendo vincitrice, come detto, dal processo milionario intentatogli dalla famiglia.

L'intera intervista potete leggerla qua.

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