Nel 2016, gli Assalti Frontali hanno raggiunto i venticinque anni di attività. Sono invece dieci quelli trascorsi dalla stabilizzazione dell’organico con l’arrivo di Pol G (seconda voce) e Bonnot (basi e produzione) accanto all’unico reduce della formazione originale, Militant A, voce e testi, già frontman di quella Onda Rossa Posse che nel 1990 firmò l’EP “Batti il tuo tempo”, una delle primissime testimonianze del rap italiano. A quattro anni da “Let’s Go. Senza lotta non so essere felice”, antologia celebrativa del ventennale, è da pochi giorni nei negozi “Mille gruppi avanzano”, ottavo album propriamente detto del gruppo romano, che ancora una volta costituisce esperienza a sé nel contesto dell’hip hop nazionale: "La scena ci ha un po’ emarginati, per il peso del nostro messaggio politico e perché non siamo né eravamo i classici b-boy", mi disse Militant A in sede di intervista nel 2012, “ma non è un problema: al 90% del nostro pubblico non frega nulla del rap, loro seguono Assalti Frontali”. E infatti i Nostri sono sempre lì, sulle barricate, mettendo in fila decine di concerti all’anno e continuando ad alzare il loro grido di dissenso attraverso iniziative nella strada e dischi che fanno politica raccontando storie quotidiane – ma del tutto emblematiche – che dimostrano come la reazione ai soprusi dei poteri forti e la ricerca di un’alternativa ai modelli sociali dominanti non siano sempre inutili. È un lavoro durissimo ma qualcuno deve pur farlo, e Militant A e compagni hanno deciso di portare la croce e cantare (cioè, rappare) con parole esplicite: “Qualcosa lo sappiamo fare senza tante scene / noi insegnamo a vivere senza catene / Piano piano si diventa bravi / a scegliere armi giuste per non essere mai schiavi”, si ascolta ad esempio in “La fine dei sospiri”, e la passione/tensione – testuale, musicale, interpretativa – è tanto forte da scuotere.
Tra le vicende narrate nelle tredici tracce di “Mille gruppi avanzano”, una particolarmente significativa – anche perché “finita bene” – è quella del lago naturale emerso a Roma, in Via Prenestina, non lontanissimo dalla Stazione Termini. Una bella vittoria della gente contro le manovre speculative dei soliti “potenti”, grazie alla campagna di sensibilizzazione portata avanti da Assalti Frontali con il singolo/video “Il lago che combatte” realizzato nel 2014 con gli amici della band folk-rock Il Muro del Canto e premiata con l’esproprio dello spazio, consegnato alla collettività, da parte del Comune; il brano, assieme al suo “sequel” celebrativo (“In fondo al lago”, 2015), suggella “Mille gruppi avanzano” e dà ulteriore lustro a una scaletta che spazia fra temi diversi e sempre importanti, affrontati senza indorare la pillola ma alternando abilmente concetti duri e immagini di notevole forza poetica; perché Militant A, oltretutto autore di tre libri, con la lingua italiana ci sa fare. “Gli ultimi anni ‘80”, mi spiegò sempre nel 2012 a proposito del varo della sua missione (non tanto) impossibile, “erano un’epoca di sperimentazione e cambiamenti: dai modelli della politica, derivati dai 70, che si stavano rinnovando, alle nuove forme di comunicazione che investivano pure la politica. Poi si subiva il fascino del primo hip hop, un polo aggregativo nato nei ghetti americani che da noi non esisteva affatto… aggiungici il mio grande amore per la letteratura, la poesia, la scrittura e i dischi che trasmettevo a Radio Onda Rossa, e il passo è stato naturale. Inoltre, essendo stonato, non credo che avrei potuto dedicarmi a una musica che non fosse il rap”. A oltre un quarto di secolo da quei giorni, il vecchio slogan “in alto la mia banda” è ancora attuale. E, purtroppo, maledettamente necessario.
L’approccio di Assalti Frontali è differente da quello dei rapper che da ormai parecchi anni, qui da noi, vanno per la maggiore: durezza e purezza, testi espliciti, rifiuto di propagandare la propria attività attraverso scandalucci artificiosi e fesserie, nessun ammiccamento paraculo o pagliacciate di look. Insomma, il trionfo del binomio “sostanza e coerenza”, senza rinunciare totalmente a quella autoreferenzialità/autocitazione che con l’hip hop va da sempre a braccetto (e che, “cum grano salis”, crea senso si appartenenza) e legando i versi a musiche a loro modo persuasive nel loro sapiente bilanciamento di ruvidezza, toni cupi, atmosfere non prive di solennità, all’occorrenza melodie che “acchiappano”. I ragazzi, però, non saranno mai un fenomeno di massa: antitesi della superficialità, della banalità, della stupidità e della becera volgarità che in tanti vedono come pregi, puntano al cuore delle questioni e danno da riflettere, perché “una scuola esemplare / non insegna pensieri, insegna a pensare”. Sarebbe splendido se il rap italiano, e non solo il rap italiano, frequentasse le lezioni della Assalti School.