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Michele Bravi torna con “odio”: “È ancora difficile parlare d’amore per lo stesso sesso”

Michele Bravi ha pubblicato il nuovo singolo, con video, intitolato “odio”. Per il cantautore è l’inizio di un nuovo progetto, ne ha parlato a Fanpage.it.
A cura di Francesco Raiola
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Michele Bravi (ph credit Alek Pierre)
Michele Bravi (ph credit Alek Pierre)

Si chiama "odio" il singolo con cui Michele Bravi torna dando il via a un progetto più ampio che culminerà con l'uscita di un nuovo album, che arriva dopo La geografia del buio, un album che ha segnato un momento importante della sua carriera. Questo nuovo brano, come spiega l'artista a Fanpage.it, racconta un amore disfunzionale, cercando di mettersi al centro di quella storia, raccontandone le sfumature e le contraddizioni. A Fanpage.it Michele Bravi racconta, inoltre, la voglia di far cadere un tabù che ancora vive la musica italiana, ovvero raccontare l'amore per lo stesso sesso. Bravi spiega di non avere problemi a farlo, essendo la sua vita, ma non nasconde che questa cosa crea ancora qualche problema perché incasella e fa nascere pregiudizi da parte di terze persone.

Michele come stai?

Sto bene, è bello ripartire, ripubblicare canzoni, era un po' che non succedeva anche perché sono molto lento a scrivere.

Antifragili a parte, è stato Zodiaco l'ultimo singolo, no?

Sì, Antifragili era una colonna sonora per la Disney, mentre sia Zodiaco che Inverno dei fiori erano singoli, anche se non avevo un progetto discografico in testa. All'inizio ho pensato che quei brani potessero far partire un disco, però quella tipologia di scrittura l'ho rigirata mille volte e non ero soddisfatto. Questo nuovo singolo, invece, fa già parte di un album, di un percorso narrativo, c'è un concept, quindi c'è anche un'euforia diversa.

Quindi è un album che è già ben definito?

Sì, già c'è, è finito, anche se io dico di aver finito il disco quando ho finito di scriverlo, poi c'è ancora tutta la parte di finalizzazione da fare, che richiede del tempo, però il disco c'è, esiste, le canzoni ci sono.

Come mai hai scelto "odio" come singolo di lancio?

Perché tutte le volte che ho pubblicato un album – e tutti erano concept – ho sempre scelto, per una dinamica narrativa, come primo capitolo, la narrazione più romantica, intimistica, amorosa. Questa volta ho voluto rompere questo schema a cui, forse, mi ero anche un po' abituato, e partire dalla traduzione più ossessiva e verbosa: nella canzone quasi non c'è spazio per respirare. Successivamente, durante il racconto dell'album, arriveranno anche le parentesi a cui io e il mio pubblico siamo più abituati.

Ossessiva anche musicalmente, con l'incedere di quel synth, per esempio.. 

Sai, l'ultimo album che ho pubblicato, La geografia del buio, è stato molto fortunato, ma era un album molto estremo per quanto riguarda la sonorità che portava.

In che senso?

Era un disco praticamente piano e voce, solo che essendo stato molto apprezzato mi ha incasellato in quel tipo di minimalismo nel suono, con quel tipo di suono acustico. Questa volta, invece, ho cercato di mantenere quella componente cinematografica ma portandola in una completezza di suono diversa. Ovviamente questa cosa in "odio" è un po' più evidente, perché oltre al colore sonoro c'è un colore narrativo diverso che di solito arrivava ad album già avviato, il senso, quindi, è stato cercare di rompere quello schema narrativo.

In effetti, a livello di idea e ricerca – non di suono – mi pare più vicino a I hate music che a La geografia del buio…

Guarda, io non so se la parola ricerca sia giusta, perché – e forse faccio un autogol – da parte mia non c'è stata una ricerca sonora particolare. Per me l'arrangiamento è come decidere il vestito di una sposa, ma il matrimonio resta matrimonio, cambia soltanto il tipo di appeal con cui vuoi portarti in quella situazione. È anche una scenografia, se vuoi: se sto raccontando un dolore, è ovvio che quella scenografia è piena di vuoti, silenzi, angoli oscuri, se sto raccontando l'odio, come in questo caso, c'è molta più frenesia, quindi la ricerca non è tanto nella sonorità, quanto nell'emotività, che sto già raccontando nella scrittura, nella parte lirica del testo. L'arrangiamento è una prosecuzione della parte di scrittura, ma che corre su binari che sono già stabiliti. Per me l'arrangiamento deve star bene con le frequenze vocali, certo, ma deve stare bene soprattutto con le frequenze dell'ascoltatore. Il mio processo parte sempre da ciò che deve captare chi ascolta, quindi quei momenti di pausa improvvise, quei cambi sonori, che a volte sembrano anche ingiustificati, ma mi servono, perché nell'orecchio di chi ascolta si deve creare un urto. Per me la ricerca sonora è più ricerca emotiva.

In odio racconti un rapporto disfunzionale, mi pare di capire, e lo fai mostrando pubblicamente un sentimento che solitamente celiamo…

È un testo strano per me, perché io non sono d'accordo per niente con quello che dico nel testo, cioè sentir dire da qualcuno – e l'ho detto anch'io, eh! – "Ti odio perché ti amo, ti amo perché ti odio". Ho semplicemente cercato di dare voce a un momento della vita: quello in cui sei nel mezzo di una disfunzionalità di relazione dove c'è una fatica a verbalizzare e quella fatica ti porta all'errore della verbalizzazione e così, non riuscendo a decifrare il sentimento della relazione che stai vivendo, vedi soltanto i poli opposti, ovvero l'odio e l'amore e cerchi di giustificare quello che stai vivendo guardando le estremità. È quando da quella cosa ne esci, quando riconosci la disfunzionalità e cerchi un tipo di relazione più sano, che ti rendi conto che quella verbalizzazione era piena di errori, e che quando dicevi "amore" in realtà stavi dicendo "bisogno", stavi dicendo "insicurezza", e quando dicevi "odio" in realtà stavi soltanto raccontando un profondo senso di colpa verso te stesso, perché davanti avevi una persona e non l'idea che ti eri fatto. Quindi è proprio cercare di prendere quel momento in cui la verbalizzazione è sbagliata e farla diventare canzone. Ho semplicemente dato voce a quel momento di difficoltà.

Con l'album precedente mi dicesti che volevi rompere lo stigma del dolore, questa volta oltre all’odio c’è qualche altra cosa ce vuoi raccontare? Qualche stigma da rompere?

Rispetto all'odio si può parlare tantissimo, ovviamente in questa canzone proprio perché do voce a un errore di verbalizzazione e di relazione non parlo di odio sociale o di odio politico, quella è una cosa molto più seria che non avrei trattato dando voce a una verbalizzazione sbagliata. C'è questa cosa che posso dire, però: avendo deciso di dare spazio in questo primo capitolo alla relazione più carnale, partendo sempre dalla mia vita, mi è venuto naturale l'uso dell'aggettivo al maschile. Nella fase preparatoria della canzone, cioè prima che diventasse pubblica – non è che nessuno mi abbia impedito di farla perché, non c'è stata censura da parte di nessuno – questa cosa mi è stata sottolineata più volte, come a dire, in maniera latente: sei sicuro? sei convinto? Questo mi fa sempre molto riflettere.

Su cosa ti fa riflettere?

Il fatto che venga ancora sottolineato mi fa pensare che nonostante la scrittura nasca dalla naturalezza, se riesce anche a diventare un mezzo per battersi, per combattere un odio o un pregiudizio che esiste rispetto a questa cosa, lo faccio volentieri. Appena la canzone è stata pubblicata, alcune persone mi hanno scritto che è difficile trovare delle canzoni che parlino apertamente al maschile in un territorio più trasversale del mercato. E questa cosa, nonostante non sia nata con una precisa volontà di denuncia, la ritrasforma comunque in volontà, nel momento in cui viene sottolineato che c'è quell'aggettivo al maschile.

In passato spesso abbiamo ascoltato canzoni dedicate a lui e lei che forse celavano anche gli opposti di quei pronomi.

Da una parte c'era una scelta artistica che posso comprendere, dall'altra i tempi ci hanno raccontato un'evoluzione della sensibilità collettiva che è un peccato non sfruttare e non mettere alla prova. Questa sottolineatura non mi è stata mai fatta dal mio pubblico e da chi ascolta le canzoni, è quella la cosa che mi fa sempre bene, perché penso che le persone sono pronte. Mi dispiace che ci sia una sottovalutazione del pubblico.

Come vivi chi, invece, resta sorpreso?

Non voglio fare la vittima, ma una piccola dose di umiliazione c'è sempre e se questa cosa può evitarla a chi arriverà dopo di me, bene. Mi viene sempre in mente questa cosa, ovvero che il titolo "odio" l'ho dato non per una ragione musicale, ma per un semplice fattore personale: la canzone chiaramente parlava di quel sentimento, quindi il titolo calzava a pennello, però esiste una canzone degli anni '60 di Umberto Bindi che si intitola proprio "Odio", ed è una delle canzoni a cui io sono più affezionato. Mi piaceva rendere questo omaggio non musicale, perché la mia non c'entra niente con la canzone di Bindi, ma, insomma, un omaggio a quel tipo di realtà lì. La canzone di Bindi nacque da un suo periodo di sofferenza: nonostante fosse acclamato da tutti, a un certo punto decise di andare a Sanremo e venne stroncato perché durante l'esibizione indossò un anello al mignolo. Quell'anello al mignolo generò talmente tante polemiche rispetto alla sua presunta omosessualità che si ritirò dalle scene. Ecco, io oggi, nonostante siano passati un po' di anni, posso cantare al maschile, posso mettere un anello senza che nessuno me lo faccia notare e pesare e questa cosa mi rincuora. Penso che sia stato un peccati non aver dato la possibilità a un artista come Bindi di potersi raccontare ancora di più di quello che ha fatto. È vero che mi sottolineano l'uso del maschile, però lo posso fare e se questa cosa aggiunge un mattoncino perché domani magari qualcun altro lo potrà fare senza che nemmeno glielo sottolineino, ben venga.

Tutto questo, nonostante in questi ultimi anni tu abbia parlato molto di te in maniera molto chiara?

Io sono molto riservato per quanto riguarda la mia vita privata, quindi non ho mai raccontato gli affari miei, ma capita molto spesso che quando una persona è esposta al dubbio del suo orientamento sessuale, questa domanda venga fatta e io non ho mai avuto troppe paranoie a rispondere. È solo per questo motivo che è uscita l'informazione, chiamiamola così. Nonostante all'inizio l'abbia fatto convinto che questa cosa non avrebbe generato conseguenze, le conseguenze ci sono state e ci sono, sarebbe ipocrita dire il contrario.

Cosa ti è successo?

Che vieni incasellato, vieni stigmatizzato, vieni anche additato come quello che fa propaganda di un suo fatto personale per farsi promozione. Per questo capisco l'importanza che c'è nel raccontarsi pur non condividendone la necessità: io credo che chi decide di viverselo nel privato è giusto che lo faccia, non credo nella dittatura del fatto che se sei un personaggio pubblico allora devi raccontare tutto, quella cosa lì non l'ho mai condivisa perché dietro ai personaggi pubblici ci sono persone con le proprie insicurezze, le proprie storie, quindi laddove uno preferisce la riservatezza è giusto che la mantenga. Io ho avuto la fortuna di nascere in un contesto familiare molto libero, non ho mai subito la discriminazione e il terrore personale di essere chi sono e quindi con la stessa naturalezza e libertà l'ho raccontato quando mi è stato chiesto, però dire che non ci sono delle conseguenze è sbagliato, ed è proprio perché ci sono quelle conseguenze lavorative, professionali, umane, c'è tanta lotta ancora da fare.

Torniamo all'album, intorno a cosa si muoverà?

Il palcoscenico d'azione è sempre il mondo della relazione a due, dell'intreccio umano con l'altro. Non è questo il concept, questo è solo il palcoscenico in cui ci si muove, mentre il concept viaggia molto più sulle proiezioni. Io ho sempre avuto un approccio diaristico alle cose, parto a scrivere della mia vita, ma in quest'album non c'è solo la mia vita, ci sono anche storie di altri che ho potuto trasformare in musica ed è per quello che è un album un po' più largo delle altre volte: ci sono tanti momenti di vita, anche di altri, anche che io non ho vissuto e che non potrò mai vivere. È un disco sull'idea della proiezione.

Nella tua carriera enorme importanza l'hanno avuta Morgan e Maria De Filippi, mi racconti il rapporto che hai con loro?

È molto buono. Con Morgan c'è una stima artistica enorme, le sue lezioni per me sono state molto preziose, perché c'è una visceralità nel vivere la musica, la scrittura, una grande consapevolezza tecnica, per me lui è un invito allo studio e quella cosa per me è importantissima. Maria per me è forse la più grande professionista che abbia mai conosciuto, tutti i giorni mi insegna la naturalezza, la spontaneità. Io sono molto timido e talvolta tendo ad apparire esagerato, a colorare troppo, al punto che quando ti rivedi quasi non ti riconosci: Maria, però, ti insegna a veicolare quello che sei in quello che si vede, ed è un grandissimo esercizio. Per me, poi, Maria ha un significato particolare perché tante cose le ho reimparate con lei, da lei, per me è un grande punto fermo nel mio percorso.

Il percorso ad Amici è fermo definitivamente o la porta è ancora aperta?

Ancora non ne abbiamo parlato perché la stagione è ripartita da poco, poi Amici ha una struttura di programma per cui il pomeridiano ha un lungo periodo d'azione, quindi ancora non ne abbiamo parlato, però io spero di tornare, mi sono proprio divertito. Poi sai cosa?

Cosa?

Rivedere la fame negli occhi di quei ragazzi è fantastico. Io il talent l'ho fatto, poi è vero che ha cambiato forma negli anni, però me la sono ricordata bene quella cosa lì, quell'ingenuità, la fame proprio, non riesco a dirtelo in altro modo, è stato bello. Per me è bello essere il primo ascoltatore di qualcuno che chiede di essere ascoltato, è un vero privilegio.

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