Nei lontani giorni in cui il termine “indie rock” si associava a musiche belle e divertenti/evocative e non, come spesso accade oggi, a canzoncine più o meno sciocche interpretate da eterni post-adolescenti, a Bologna operava un’etichetta chiamata Homesleep, il cui marchio figura anche su “I’m The Creature” dei MiceCars. Debutto tra i più sospirati della nostra scena alternativa dello scorso decennio, il disco giungeva nei negozi sul finire del 2006, quando il nome della band romana girava già da parecchio grazie a un brillante demo, al passaparola internettiano e ad un concerto al festival di Benicassim vinto con un concorso per emergenti. Seguivano recensioni entusiastiche, esibizioni vivacemente stralunate e il premio per il miglior album d’esordio assegnato annualmente dal Meeting delle Etichette Indipendenti: un percorso trionfale, almeno per il circuito underground italico, che sembrava essere solo l’inizio di una carriera con tutti i crismi, seppure per un pubblico “d’élite” interessato a, mi autocito da un articolo d’epoca, “un pop surreale e moderatamente alieno che rimanda ai Beatles psichedelici, a Jonathan Richman, ai Television Personalities, agli XTC, ai Pavement, ai Pixies, ai Flaming Lips, ai Libertines”.
Beh, la storia ha preso un’altra piega. Esauritasi l’onda lunga di “I’m The Creature”, i chitarristi, cantanti e compositori Piermaria “Peter T.” Chapus e Daniele “Little P.” Bova – unici titolari del progetto – sono stati risucchiati in un vortice di esperienze parallele, ripensamenti, piccole crisi private, velleità di concept pletorici e qualche ansia da prestazione, il tutto culminato con il trasferimento del primo a Berlino. Per approntare il master del difficile secondo album sono quindi serviti molti anni, anni oltretutto di drastiche metamorfosi per ogni aspetto del mercato discografico.
I MiceCars, però, non se ne sono preoccupati e sono andati avanti per la loro strada: muovendosi in modo torpido ma costante sull’asse Roma-Berlino-Correggio e avvalendosi dei contributi di una trentina di collaboratori e ospiti, tra la fine del 2011 e la fine del 2012 hanno partorito le nove canzoni effettive più un frammento di “A S I M O / I”, trentacinque minuti di artigianato pop visionario, estroso ed eclettico in grado di suscitare stupore e ammirazione proprio come fece il robot della Honda citato nel titolo. “Ogni volta che ci troviamo a scrivere qualcosa di nuovo”, ci ha raccontato Peter T., “puntiamo a evolverci e superarci. Ambedue gli album vantano un atteggiamento di ricerca che li rende mutevoli e, se vogliamo, un po’ schizofrenici, ma comunque dotati – perlomeno, così pare a noi – di un tocco personale e riconoscibile, malgrado le differenti scelte di incisione e produzione”. L’ascolto integrale in anteprima induce ad assentire, senza titubanze ma con la curiosità di quali saranno le reazioni dei vecchi estimatori di fronte a brani imprevedibili come “In Da Ghetto” o “Map”.
Al momento, però, il destino di “A S I M O / I” è nebuloso: il gruppo non è legato ad alcuna etichetta e risulta inoltre poco appetibile a causa dei problemi logistici ad affrontare l’attività live. L’ipotesi più intrigante è quella di un’uscita in vinile in tiratura limitata, ma nel frattempo rockit.it ha reso disponibile in download gratuito un singolo – la cui copertina omaggia “White Light/White Heat” dei Velvet Underground – con l’aggraziata, ipnotica “Volunteer” e la diversamente psichedelica “Interlude”: la prima, della quale esiste anche un azzeccato videoclip con riprese della NASA, testimonia dell’evoluzione stilistica della band, mentre la seconda rilegge in chiave più matura il suo sound classico. Le incertezze non hanno tuttavia impedito all’ensemble, evidentemente non a suo agio con la linearità, di annunciare per “più avanti” un possibile “A S I M O / II”: chissà se, per vederlo realizzato, si dovrà attendere il 2020.