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Mauro Ermanno Giovanardi: il disco italiano del 2015, Pop con la P maiuscola

Mi si è domandato di suggerire un album di musica italiana particolarmente interessante uscito nel 2015 che stiamo per salutare, possibilmente adatto per chiunque e non solo per questa o quella ristretta nicchia di ascoltatori. Eccolo.
A cura di Federico Guglielmi
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Non amo molto compilare le liste dei miei album “dell’anno”. Sia perché finisco (quasi) sempre per dimenticare qualcosa, sia – soprattutto – perché mi trovo inevitabilmente a porre in competizione uscite fra loro diversissime. Non parliamo poi di quando, come in questo caso, si deve segnalare un unico titolo, quello che a mio parere – sempre discutibile, chiaro – non si dovrebbe fare a meno di ascoltare fra le centinaia e centinaia pubblicati nel campo della musica italiana. I criteri per giungere a una comunque sofferta decisione erano però piuttosto semplici: serviva un disco di alta qualità ma godibile da chiunque e non solo dai cultori di un genere specifico, possibilmente di un musicista con alle spalle un certo vissuto. E cosa di più adatto, allora, di “Il mio stile” di Mauro Ermanno Giovanardi, che oltretutto ha saputo mettere d’accordo l’amplissima giuria allestita dal Club Tenco? Sì, perché esattamente tre mesi fa la seconda “vera” opera a suo nome del cantante/songwriter monzese, classe 1962, ha conquistato l’ambita Targa nella categoria principale, quella nel cui più che trentennale albo d’oro figurano – per citarne solo alcuni – “Crêuza de mä” di Fabrizio De André, “Aguaplano” di Paolo Conte, “Terra di nessuno” di Francesco De Gregori, “Discanto” di Ivano Fossati, “Gommalacca” di Franco Battiato, “Io non mi sento italiano” di Giorgio Gaber, “Ovunque proteggi” di Vinicio Capossela e “Padania” degli Afterhours.

A conferma della caratura di Giovanardi, quella del 2015 è stata la sua quarta Targa; ne aveva già vinte due come interprete, nel 2001 per “Crocevia” dei La Crus e due anni fa per il “Maledetto colui che è solo” realizzato assieme ai Sinfonico Honolulu, e una nel 1995 per l’esordio omonimo sempre dei La Crus. Veder riconoscere la globalità delle proprie doti, di compositore in primis, è però una soddisfazione speciale per un artista che, come lui, è da oltre vent’anni impegnato in un progetto di recupero e revisione dello spirito e della forma della canzone d’autore italiana che da un lato punta decisamente verso l’alto e dall’altro vuole rimanere popolare nel senso “nobile” degli anni ’60 e ’70. Una scelta curiosa per Mauro Ermanno, che era partito con il rock in inglese (esperienza-chiave i Carnival Of Fools, tre lavori editi fra il 1989 e il 1993), soprattutto perché messa in atto in quei Novanta dominati, in ambito underground ma non solo, da sonorità aggressive e “di rottura”. Benché controcorrente, i La Crus – ovvero lo stesso Giovanardi e il multistrumentista Cesare Malfatti, più vari collaboratori – ottennero consensi di rilievo con sei album di studio e uno dal vivo marchiati dalla major Warner, separandosi nel 2009 ma tornando assieme due anni dopo per concorrere al Festival di Sanremo con “Io confesso”; un escamotage, quest’ultimo, poiché il brano era a tutti gli effetti una produzione solistica del Nostro, non a caso incluso in quel “Ho sognato troppo l’altra notte?” a lui e a nessun altro intestato. Un debutto (d’accordo, nel 2007 c’era stato “Cuore a nudo”, ma non si trattava di un debutto “autentico”) che sembrava quasi insuperabile e che, invece, è stato superato. Da “Il mio stile”, ovvio.

Arrivato nei negozi nello scorso aprile, “Il mio stile” è un disco bellissimo, e che l’aggettivo sia generico è voluto al 100%. L’approdo perfetto, anche se è lecito sperare che un domani ce ne sarà uno “ancora più perfetto”, alla visione del suo artefice, volta alla rivisitazione moderna “ma non troppo” dell’immaginario Sixties. “Un mondo musicale, indirettamente (?) cinematografico e in genere culturale” – mi autocito perché non saprei spiegarlo meglio – “i cui eroi si chiamano Burt Bacharach, Lee Hazlewood, Serge Gainsbourg, Frank Sinatra, Neil Diamond, Scott Walker, Ennio Morricone, Phil Spector; insomma, quello dei gloriosi Sanremo dove Pop era in maiuscolo, e quello del Maestro Léo Ferré”. Esatto, Ferré, cui si rende omaggio con una cover de “Il tuo stile” che della ricca scaletta – undici tracce – è uno dei momenti più significativi e audaci. Non è tuttavia da meno il resto, che scorre per lo più morbido e malinconico, ma acceso qua e là di irruente solennità e persino di ironia, fra chitarre e tastiere vintage, fra fiati e cori, con al centro una voce calda, confidenziale e magnetica dalla quale è arduo non essere soavemente soggiogati. Un raffinatissimo cocktail vintage, fuori dal tempo più che passatista, dove intensità e leggerezza trovano un magico punto di equilibrio. Pop con la P maiuscola, che ha il suo ideale veicolo di diffusione nella stampa in vinile, commercializzata cinque mesi dopo quella – dalla veste diversamente preziosa – in formato CD.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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