Sarebbe lecito pensare a uno scherzo, ma è vero: alla fine del 2016, nonostante la crisi del formato fisico – sì, ok, il vinile, ma non è roba da grandi numeri – e il dominio di quello “liquido”, c’è ancora chi non riesce a resistere alla tentazione di fondare un’etichetta, per di più con l’intento di produrre/promuovere proposte di sostanza, slegate dalle richieste dal cosiddetto mercato. Il temerario in questione è un veterano della nostra canzone d’autore, Mauro Ermanno Giovanardi, ormai quasi trent’anni di carriera spesi fra i Carnival Of Fools, i La Crus e un percorso solistico privo di barriere (nel 2015 “Il mio stile”, l’ultimo album, si è aggiudicato la Targa Tenco); e la sua creatura, battezzata Parola Cantata Dischi, ha esordito ufficialmente proprio oggi, 4 novembre 2016, con due CD, “Sottoponziopilato” di Martinelli e “Mi do mi medio mi mento” di Lele Battista. Scontato raggiungerlo per chiedergli come avesse partorito un’idea in apparenza così folle, ricevendo questa risposta. «Guarda, la scintilla è scattata quando mi sono trovato ad ascoltare i brani di Martinelli e, sapendo che voleva autoprodursi un compact da vendere ai concerti, mi sono scoperto a pensare “ecco un altro disco troppo bello del quale nessuno o quasi si accorgerà”. Da lì, la spinta a mettere la faccia, il tempo e il cuore a disposizione di artisti che a mio avviso meritano di avere una chance. Non punto, però, a fare il discografico, vorrei innamorarmi di un paio di progetti all’anno e dedicarmi a quelli. Non si tratta di un’operazione mirata al guadagno, tant’è che i ragazzi hanno firmato il contratto di licenza direttamente con Goodfellas, che si occupa degli aspetti commerciali. Non posso permettermi di impegnarmi in più di un paio di titoli all’anno».
Comprensibile e condivisibile, perché di musica senza senso, inconsistente e brutta ne circola già troppa; aggettivi che non si addicono all’esordio di Martinelli, trentasettenne di Lecco nel quale si potrebbero riscontrare caratteristiche di maestri quali Lucio Dalla, Enzo Jannacci e Rino Gaetano. «Ho rilevato una potenza espressiva pazzesca», ha spiegato senza trattenere l’entusiasmo ancora Giovanardi, «nelle sue storie tragicomiche, quotidiane, popolate di personaggi al limite e stralunati come lui. Era da un po’ che non sentivo testi così intriganti». Un giudizio ovviamente di parte che non è comunque smentito dagli undici pezzi di “Sottoponziopilato”, appena meno pirotecnici e più misurati rispetto alla resa dal vivo; un ambito, quest’ultimo, nel quale Andrea rivela notevole carisma, grazie a una coinvolgente fisicità, a un look adeguato al suo ruolo di curioso destabilizzatore e a una voce magneticamente sgraziata. Che nessuno, però, si azzardi a pronunciare il nome Calcutta: se davvero non è possibile evitare di associarlo ad altri protagonisti del circuito indie, che sia Giovanni Truppi, benché tra loro due, a ben vedere, divergenze e affinità si equivalgano nel numero.
«Per quanto riguarda Lele Battista», sempre secondo l’ex frontman dei La Crus, «l’ho pressoché costretto. Da più di un anno conservava nel cassetto alcuni suoi provini e a un certo punto ho dovuto dirgli che se non si fosse deciso a dar loro una veste adeguata gliene avrei rubati almeno tre per cantarli io. Gli ho così suggerito di lavorare su un paio di essi con Leziero Rescigno per vedere come venivano fuori; assieme si sono trovati benissimo e a mio avviso i risultati sono eccezionali. Concettualmente potrebbe essere una specie di La Crus 2.0 in chiave logicamente più attuale: canzone d’autore ed elettronica, con meno campionamenti e più new wave. Sono molto fiero di averlo obbligato». Assai poco da aggiungere, pure in questa occasione. Battista, che è milanese e di primavere ne ha quarantuno, è del resto un musicista più che esperto, rodato da quattro album (due da leader dei La Sintesi e due in proprio) e una lunga serie di altre avventure; improbabile che giocasse malamente la carta del ritorno a sei anni di distanza da “Nuove esperienze sul vuoto”, e infatti “Mi do mi medio mi mento” non ha deluso le aspettative, offrendo otto episodi all’insegna di un “pop d’autore” ispirato, evocativo e interessante a livello di scrittura e arrangiamenti.
E per quanto riguarda il futuro, parsimonia produttiva a parte? Giovanardi non si nasconde. «L’imperativo che ci siamo dati, e parlo al plurale perché nella nostra piccola Factory sono coinvolti tutti, da Leziero e Lele fino a chi graviterà attorno, è assecondare il coraggio. Le formule standard da cantautori indie o, al contrario, da cantautore classico ibernato in un clichè, non ci interessa. Rifuggo da tutto questo, e mi piacerebbe che la Parola Cantata Dischi mi rappresentasse un po’». Propositi che, dietro il basso profilo, celano una giusta, lodevole ambizione di costituire un’alternativa concreta al dilagante malcostume musicale, e non di vendere agli indie(semprepiù)sfiga, a colpi di vacuo sensazionalismo, marketing creativo/cretino ed endorsement di media che ci sguazzano, assortito becerume. Anche se il suo è un partito di minoranza che non potrà mai vincere le elezioni, io sto con Giovanardi. E voi?