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“Mario”, la canzone che Jovanotti ha dedicato a suo padre

La morte del padre di Jovanotti, Mario Cherubini, riporta alla mente un brano simbolo della carriera di Lorenzo Cherubini, “Mario”.
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La morte del padre di Jovanotti, Mario Cherubini, riporta alla mente un brano simbolo della carriera di Lorenzo Cherubini, "Mario". Dedicato proprio a suo padre ed incluso nell'album "Lorenzo 1994", Jovanotti racconta la figura di suo padre, il babbo, un vero esempio per lui. Al momento della canzone, era giovanissimo ed aveva appena 27 anni ed era quasi pronto per diventare a sua volta padre. Un brano di passaggio nella carriera dell'allora ancora rapper, che segnava già una certa maturità artistica.

Ecco il testo completo della canzone

Mi ricordo da bambino che mio padre era spesso arrabbiato con me e non sapevo perché
ritornavo dalla scuola verso l'una e quaranta e la fame era tanta
con mia madre che diceva che c'è? Lorenzo dimmi che c'è?
come è andata come mai non mi dici mai niente? ma che razza di gente
questi figli che ho certe volte non so cosa ho fatto per vedervi dire sempre di no non lo so,
non lo so ma ti droghi? fai veder le braccia ma che razza di faccia non mi piace per niente
quella razza di gente con la quale ti vedi ma che cosa ti credi che tuo padre ed io non ti vogliamo bene?
sempre le stesse scene ogni giorno ogni sera quella stessa atmosfera.
Mentre mio padre mi vedeva crescere lui mi sembrava non potesse invecchiare
mentre crescevo tre centimetri l'anno lui era sempre uguale
Mi ricordo a dodici anni un pomeriggio di sole mi portò a un funerale
ma era uno speciale che non c'era neanche un morto parente neanche un conoscente
solo un sacco di gente seria molto composta una specie di festa al contrario
e mio padre Mario mi diceva quando avrai un po' più anni potrai dire io c'ero
ai funerali degli agenti della scorta di Moro questa sera quasi ventisette anni sto leggendo il giornale
e di quel funerale mi risale l'immagine in mente
e ho chiarissimo in testa quel concetto di festa al contrario
e di mio padre Mario che per come era sempre severo mi appariva sincero
nel dolore del restare impotente insieme a molta altra gente
che sostava di fronte al potere di pochi sulla vita di molti
e a quei volti sconvolti delle madri delle mogli dei parenti
e dei figli degli agenti della scorta di Moro e mio padre Mario era così serio
E mi teneva sulla testa una mano quel pomeriggio è lontano quasi venti anni fa
i negozi che chiudevano in tutta la città ogni cosa era strana nella mia fantasia
non capivo perché in giro c'era tutta quella polizia le sirene spiegate
le serrande abbassate sono più grande ma le cose non sono cambiate
La mia mano è più grande e mio padre più anziano
la mia mamma si preoccupa perché sono lontano.
Questa storia che ho detto con la rima baciata
non so forse neanche io perché ve l'ho raccontata
forse il centro di tutto è quella mano che mio padre mi appoggiò sulla testa
questo è quanto mi resta un ricordo profondo grande come il mondo
questo gesto che mio padre ebbe il cuore di fare questo gesto d'amore
mille volte più potente di un pugno in questa notte di giugno
in cui scrivo mi fa essere vivo pronto ad essere padre a mia volta
e a spiegare a mio figlio bambino come ogni destino si unisce
si confonde e si intreccia in comune con le altre persone
gli dirò che ogni schiaffo e ogni pugno che è dato ogni piccolo diritto che nel mondo è violato
è una ferita per tutti gli esseri della terra e finché non c'è giustizia ci sarà sempre guerra.

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