226 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Mario Biondi presenta Dare: “Ci hanno tolto i dischi e i live, ora la musica rischia di morire”

Dovevano essere vari progetti, uno per ogni genere toccato, poi Mario Biondi ha trovato una quadra migliore racchiudendo tutto in “Dare”, il suo ultimo album uscito lo scorso gennaio. Ha messo insieme le sue “sfaccettature musicali” e un sacco di colleghi e amici, tra standard, remix e brani originali.
A cura di Francesco Raiola
226 CONDIVISIONI
Immagine

Dovevano essere vari progetti, uno per ogni genere toccato, poi Mario Biondi ha trovato una quadra migliore racchiudendo tutto in "Dare", il suo ultimo album uscito lo scorso gennaio. Ha messo insieme le sue "sfaccettature musicali" in un album che già dal titolo chiarisce la sua doppia natura, quella del "dare", ovviamente, e quella dell'osare, significato del titolo in inglese: e lo fa mettendo insieme una serie di standard, pezzi suoi, remix e svariate collaborazioni per un totale di 16 canzoni. Ci sono standard come “Strangers in the Night”, resa celebre da Frank Sinatra, “Cantaloupe Island” di Herbie Hancock, ma anche "Someday We’ll All Be Free" di Donny Hathaway che mai come oggi assume un valore particolare, come ci racconta il crooner siciliano al telefono. Con lui, in questa nuova avventura, tanti amici: ci sono Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble de Il Volo, c'è Dodi Battaglia, ci sono gli Incognito ma anche la reunion con i The Highfive Quintet di Fabrizio Bosso, per un album che mette un punto anche ai 50 anni del cantante.

Un album vario che spazia tra i generi, dal jazz, al rock, al pop e alla lirica: un modo per mostrare le sue varie anime?

Ero partito con l'idea di formulare quattro progetti diversi, uno jazz, uno funk, uno rock e uno pop, e invece col tempo e i miei collaboratori sono arrivato alla conclusione di concentrare tutto su un progetto e mettere insieme delle sfaccettature diverse della mia personalità musicale.

Il fatto che abbia deciso di farlo in occasione dei 50 anni non è casuale, giusto?

Nulla è a caso, ma tante volte si fanno le cose che man mano calzano perfettamente col tempo che vivi senza essere troppo premeditato, sicuramente c'è un percorso, se parti da "Simili" lo vedi. Quello è un brano che scrissi alla fine degli anni 90 con un team di produzione svizzera che si chiamava Table – il cui fondatore è venuto a mancare qualche anno fa – e ho voluto rendere un tributo a quel periodo, quel momento, periodo molto diverso da questo. Ho ripercorso tutto con gli HighFive Quintet: l'esordio col botto, con la discografia grossa, coi dischi di platino e poi a seguire gli Incognito, il contatto con Bluey che per me è stato molto formativo, una persona che mi ha dato tantissimo a livello artistico e umano. Poi ci sono gli incontri italiani, c'è Dodi Battaglia, c'è Il Volo, un esperimento messo in opera in occasione della trasmissione con Michelle Hunziker, da lì abbiamo recuperato una canzone di Gianni Bella e siamo riusciti a creare questo mix tra le nostre voci che secondo me funziona molto bene.

Tra l'altro non deve essere facile inserirsi in un mix collaudato come il loro, no?

Io li adoro personalmente, sono persone adorabili, hanno l'età dei miei figli grandi, quindi ho un tipo di contatto particolare, poi apprezzo molto artisticamente il loro sviluppo, la loro crescita, perché ci hanno messo tanti anni, hanno fatto un bel po' di gavetta.

Torni anche con Bosso, con cui avete fatto un bel pezzo di strada assieme che successivamente si è sviluppata anche singolarmente, incrociandosi: che relazione è stata con gli HighFive Quintet?

Rimetterli insieme è stato un momento molto importante per me. Era più di dieci anni che non lavoravano insieme e che non suonavano insieme, quindi è stata una bella soddisfazione. Fabrizio mi ha invitato a fare questo brano col suo trio, lo Spiritual Trio e mi ha proposto "Someday we'll all be free" che è un brano di Donny Hathaway degli anni 70 piuttosto importante per un discorso di cultura afroamericana e perché che descrive quel momento che tutti ci auguriamo, che un giorno saremo tutti di nuovo liberi, speriamo anche da questo virus che ci attanaglia e ci ha messo in una condizione difficile.

A proposito del periodo difficile, nell'album hai inserito anche "Show some compassion" che nasce in lockdown con un'idea precisa. Ce la racconti?

"Show Some compassion" nasce da una collaborazione con Annalisa Minetti che facemmo nel periodo di lockdown, per proseguire su quel progetto ho deciso di coinvolgere molti amici a favore di una causa più delineata che è quella della baraccopoli messinese

Negli ultimi anni, specie nella scena jazz, trovo un aumento di sincretismo musicale che un grande legame ai temi sociali, è una cosa che senti anche tu?

Il jazz già di per sé è così, pensa a "Soul", il film d'animazione, in cui uno dei due personaggi a un certo punto uno dice all'altro: "Hai visto, ho fatto tutto senza uno schema, senza essere troppo legato a quello che dovrebbe essere lo status voluto dai dettami standard" e l'altro gli dice "Certo, hai jazzato". È un tipo di musica di pancia, che non è necessariamente schematizzata ma molto passionale, quindi credo che questa componente faccia sì che chi vive in questo genere di posizione nella musica si trova anche a voler essere di supporto agli altri.

Per uno come te cosa è stato e cosa è la musica senza live e come si resiste?

Andando al pragmatico ti dico che ci hanno tolto i dischi, che ormai non si vendono più e si ascoltano su piattaforme che ci tengono al minimo, il live al momento è quasi totalmente fermo, quindi capisci che la musica va a morire, come vanno a morire i musicisti, perché vuoi o non vuoi le economie hanno un peso specifico nella società e quando si trovano al lumicino è una situazione difficile. Detto ciò io non voglio lamentarmi, ci mancherebbe, però mi dispiace perché tanti amici e collaboratori che incontro troppo poco non so bene cosa stiano facendo, chi sta soffrendo, chi lavora, chi si può permettere di andare avanti… Questa cosa è come avere una famiglia grande e non avere nessun tipo di contatto, non sapere se si sta bene, meno bene, mi mette un po' di preoccupazione.

226 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views