Due anni e spiccioli fa, all’epoca del suo omonimo esordio in italiano prodotto da Dario Brunori per la Picicca, non fui tenerissimo con Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta. Non la stroncai con ferocia, ma non mi sperticai certo in elogi. Scrissi che intonava “tra l’indolente e lo sguaiato canzoni autobiografiche condite di ostentazioni pseudomaudit”, che “ci marciava” parecchio sul fatto che alcuni avessero visto in lei una futura star e deploravo che altri la considerassero l’equivalente contemporaneo della Carmen Consoli degli anni ‘90. In fondo, più che con l’allora ventiquattrenne pesarese che aveva fatto – a mio avviso malino, sia chiaro – “la sua cosa”, ce l’avevo con quell’ambiente indie che per sterile sensazionalismo, carenze di senso della misura e/o cattivo gusto l’aveva collocata ben più in alto di quanto avrebbe meritato. Perché sì, d’accordo che dal nostro giro musicale alternativo fuoriescono quantità industriali di nefandezze e che in un mondo di ciechi l’orbo è re, ma… insomma, non scherziamo. “Ma mi faccia il piacere!”, come diceva Totò.
Oggi, 11 marzo 2014, Maria Antonietta pubblica il suo nuovo album. Si è accordata con La Tempesta, ha seguito in prima persona le registrazioni assieme ai fratelli Marco e Giovanni Imparato, ha reso un po’ più vario il proprio spettro stilistico e si è leggermente sgrezzata, cercando di limitare tanto l’indolenza quanto la sguaiatezza. Nella presentazione per la stampa, fra annunci di gioia e genuinità che ci piace credere sinceri e non volti a farla risultare simpaticamente naïve, la stessa Letizia spiega che il titolo “Sassi” è una citazione dalla Bibbia, e più avanti butta lì un riferimento alle insidie del Diavolo (e “Diavolo” è pure un brano). In chiusura, parlando di agganci musicali, nomina Young Marble Giants, Nina Nastasia, l’immancabile PJ Harvey, gli WHY? e persino David Bowie, ma si tratta solo di suggestioni: nella sostanza, “Sassi” è il naturale seguito del lavoro precedente, più eclettico nella scrittura e più evoluto – ma non per questo artificioso – sul piano formale. Nelle dieci tracce per una durata totale inferiore alla mezz’ora si respira inoltre una maggiore serenità, un feeling positivo che stentava ad emergere dagli assalti “punk” (con tutte le virgolette del caso) di “Maria Antonietta”. Assalti che comunque non mancano, come dimostrato dal singolo apripista (la graffiante “Ossa”) che tira in ballo Gesù Cristo proseguendo nel trend filoreligioso peraltro già avviato nel vecchio disco: chi ricorda, oltre ad alcune immagini e note del libretto, “Maria Maddalena” e “Santa Caterina”?
Con “Sassi”, insomma, Letizia Cesarini in arte Maria Antonietta offre la prova, o qualcosa che le assomiglia, di possedere le basi per aspirare a un ruolo più stabile e gratificante di quello della “meteora”. Probabile che non arriverà mai al successo su vasta scala, almeno finché non vorrà scendere a patti con la sua indole refrattaria a ogni compromesso, ma i numeri per puntare a una platea meno limitata e più generica di quella indie paiono esserci tutti. Sempre che tale prospettiva la attragga, o magari anche senza che le attragga… perché le vie del Signore, si sa, sono infinite.