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Maddalena canta l’ansia di una generazione: “È importante raccontare le angosce quotidiane”

Si chiama “Anxiety Is A Modern Cliché” il primo singolo di Maddalena Morielli, in arte semplicemente Maddalena. Classe 98, la cantante ha percorso una strada che l’ha portata, tra le altre cose, sia a frequentare il CET e Officina Pasolini e nel suo esordio parla dell’ansia e della sua generazione.
A cura di Francesco Raiola
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Si chiama "Anxiety Is A Modern Cliché" il primo singolo di Maddalena Morielli, in arte semplicemente Maddalena. Classe 98, la cantante studia musica fin da piccola e in questi anni ha percorso una strada che l'ha portata, tra le altre cose, sia a frequentare il CET (Centro Europeo di Toscolano fondato da Mogol) che a essere scelta anche da Officina Pasolini, laboratorio di Alta Formazione Artistica, diretto da Tosca. L'esordio è con un pezzo che parla alla sua generazione di uno dei problemi che maggiormente affligge la contemporaneità, ovvero quell'ansia che è notevolmente aumentata anche tra i giovani durante la pandemia: chiusi in casa, con le relazioni sociali drasticamente diminuite, l'ansia è sempre più un problema. Maddalena ha scritto questo pezzo prima dell'arrivo del Covid, ma si è ritrovata a pubblicarlo dopo un anno di pandemia: "Nonostante sia nato prima della pandemia, mi sembra che il titolo sia proprio adatto a questo periodo surreale" ha detto a Fanpage.it con cui ha parlato di questo esordio, di quello che sarà e anche del cantautorato femminile.

Parlaci di Maddalena, appena arrivata, si fa per dire, nel mondo della discografia pubblicata…

Più che appena arriva, direi appena partita verso il mondo più entusiasmante ed eccitante che conosca. Ho vissuto questo esordio e questo primo periodo del mio viaggio musicale in maniera molto totalizzante, passando da picchi di grande entusiasmo a momenti più difficili, quindi il mio encefalogramma in questo momento è tutto tranne che piatto; la consapevolezza di essere riuscita a uscire con un pezzo scritto e pensato da me è il più grande dei traguardi, dei successi personali.

Anxiety is a modern cliché è praticamente una canzone che, pur nata prima della pandemia, racconta un po’ lo stato di questi giorni. Come ci hai lavorato?

Esatto, infatti è stato proprio il momento più giusto e sincero per condividerlo. Nonostante sia nato prima della pandemia, mi sembra che riecheggi visti i tempi e che il titolo sia proprio adatto a questo periodo surreale. Credo che sia importantissimo non avere paura di raccontare le proprie ansie e le angosce quotidiane, soprattutto per i ragazzi della mia età ed è anche per questo motivo che ho aperto un piccolo spazio di condivisione anonima sul mio profilo Instagram "Racconta l'ansia tua" e sono uscite risposte incredibili perché le persone, dietro l'anonimato, hanno voglia di raccontarsi. Per me la musica è un modo fondamentale per comunicarmi e penso che raccontare della tua ansia ti faccia sentire meno solo, ci rendiamo conto che siamo tutti nella stessa barca. La sfida in "Anxiety is a modern chiché" e nei miei pezzi futuri è quella di raccontare stati d'animo importanti con una vena di leggerezza.

Testo e melodia come nascono, invece?

Il testo e la melodia li ho scritti io e li ho scritti insieme, sono arrivati insieme. Credo che la musica non appartenga al musicista e all'artista ma il nostro compito è quella di trascriverla. Ed è per questo che pur avendola scritta un paio di anni fa è attuale più che mai, perché viaggia indipendentemente da me.

Tra l’altro è l’esempio lampante di quello che solitamente un* artista cerca, ovvero universalizzare qualcosa che nasce come esperienza personale…

Questo credo che sia l'obiettivo e il traguardo più grande per un'artista, quando in qualche modo sei uno specchio per qualcun altro, per persone fisicamente, territorialmente, lontane: quando tu parli e la gente ti ascolta. Non nel senso di ascoltarti come qualcosa di esterno, ma immedesimandosi in quello che stai dicendo, per questo la capacità di riuscire a empatizzare con le persone secondo me è fondamentale, infatti, in prima battuta la musica è autoanalisi, in seconda è condivisione. Alla fine questo è il più grande successo, quando una persona ascolta il refrain di una canzone, come "Anxiety is a modern cliché" ed è come se stessi parlando della sua vita, in piccolo, non solo della tua: partire dalla tua esperienza personale e arrivare al cuore, alla pancia e alla testa della persona più lontana da te.

Cosa ascolti? Cosa ami a livello artistico?

Ascolto tanta musica, e poi crescendo sto diventando sempre meno giudicante, cerco di trovare il caratteristico in ogni genere musicale anche in quelli più lontano da me. Sono sicuramente cresciuta con dei riferimenti di cantautorato italiano e ho le mie coordinate che vanno dallo sperimentale di Battiato ad alcune protagoniste internazionali pop come Lana Del Rey, Billie Eilish e ricerche più di suono, anche se per me la scrittura dei testi è la cosa più importante. Insomma, tra gli ascolti ci sono Metronomy, Daft Punk, Asaf Avidan, Pj Harvei, LP, Alabama Shakes, Bob Dylan e chi più ne ha più ne metta.

Quali saranno i prossimi passi?

Quello che farò è scrivere altra musica, scrivere, scrivere, scrivere perché per me è fondamentale, terapeutico, ne ho vitale necessità e bisogno. Farò conoscere i miei brani che sono pezzi della mia anima e del mio corpo, mi farò conoscere a piccole dosi, per singoli, per brani. Poi, ovviamente, penso che salire su un palco sia la più grande sfida personale, ma l'adrenalina di sfidare me stessa e superare la mia più grande ansia in assoluto si fa sentire, non vedo l'ora di affrontarmi e in generale questo periodo così particolare di solitudine anche produttivo sfocerà in un momento in cui la musica tornerà nelle piazze, nei concerti in cui la voglia di condividere e stare insieme sarà molto più forte, autentica e sincera. È anche bello, per me, uscire in un momento storico particolare che non si dimenticherà facilmente.

Pensi che questo periodo cambierà qualcosa a livello discografico e musicale?

Penso che dalle grandi crisi possano nascere i cambiamenti migliori, forse questo momento ci ha fatto riflettere sull'importanza del settore e su come si possano rivoluzionare delle cose in meglio, dando spazio alla scrittura, riconoscendo il valore degli autori che viene spesso sottovalutato, facendo diventare il mercato meno maschilista e dando un valore ai musicisti, che negli ultimi tempi hanno un po' perso anche con la rivoluzione digitale.

Ultimamente mi è capitato di parlare della parola “cantautrice” con Francesca Michielin e Angelica, delle difficoltà di usarla in un ambiente in cui l’autorato “che conta” è sempre stato maschile. Che ne pensi?

Anche a me fa impressione dire cantautrice, anche cantante la trovo limitante. Credo nella comunicazione delle arti, nel loro dialogo, quindi penso che la parola più giusta sia comunque "artista", perché inevitabilmente dal tuo settore l'arte è il modo con cui è meglio identificarsi, è più generico. Ma sono d'accordo con Francesca Michielin per quanto riguarda il genere, il cantautorato è stato troppo spesso associato al maschile e in questo c'è bisogno di rivoluzionare un po' le cose, soprattutto nel nostro Paese. Anche perché nonostante abbiamo e abbiamo avuto grandi personaggi femminili come Nada o come Nannini, storicamente quelle femminili erano grandi voci e non grandi penn. Penso che si possa cambiare un pochino la storia musicale da questo punto di vista nel nostro Paese, è molto importante.

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