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Ligabue sfata il tabù dei biglietti non venduti e accende una luce sul sistema che cambia

Ligabue vende meno biglietti del suo Start Tour di quanto si aspettasse e, invece di mettere la testa nella sabbia, lo ammette candidamente sui suoi social, sfatando un tabù che nella musica sono in pochi a sfatare. In questi anni il mercato è cambiato e come scrive il Washington Post, probabilmente, quello che era cultura di massa comincia a diventare sottocultura.
A cura di Francesco Raiola
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Ligabue (foto Ray Tarantino)
Ligabue (foto Ray Tarantino)

Se nel calcio uno dei tabù principali e più complessi da sradicare è l'omosessualità, nella musica uno dei più complessi da discutere è quello dei numeri reali dei concerti. Dei tantissimi concerti che a livello nazionale e/o locale che sono cancellati per "motivi tecnici", "problemi di salute", "motivi indipendenti dal volere degli organizzatori" spesso si nasconde la più semplice delle cause: i biglietti venduti sono stati pochi, non si raggiunge il pareggio e, anzi, chi organizza perde più di quanto messo, eventualmente, in conto (sì, a volte si fanno anche concerti in rosso), solo che dirlo fa brutto, non si usa. Sarebbe un'ammissione di colpa troppo grande, si presterebbe il fianco alle polemiche, con un incremento degli hater e anche le critiche di chi, comunque, ha acquistato il biglietto e vorrebbe vedere l'artista in concerto.

Ligabue e l'affluenza bassa

Con poche parole Ligabue ha sparigliato e messo a tacere le polemiche che avevano cominciato a farsi largo sui media: "Ligabue vende poco", "Lo stadio è mezzo vuoto" etc, e così, invece di nascondere la testa sotto la sabbia, il cantante o chi per lui ha scelto di affrontare di petto la situazione e ammettere che la vendita dei biglietti del suo Start Tour, almeno per ora, non è andata come previsto: "Il tour è cominciato e se da un lato è vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia, dall’altro è anche vero che l’altra sera a Bari è stato meraviglioso ritrovarvi con tutta quella energia e passione e bellezza che solo voi sapete sprigionare" ha scritto su Instagram prima del concerto di Messina.

Da cultura di massa a sottocultura

Non è una cosa comune (eufemismo) per un artista del suo calibro, sicuramente uno degli artisti più importanti di questi anni, uno di quelli che senza dubbio ha segnato più di una generazione e messo l'impronta su un immaginario comune che però, appunto, col tempo cambia. Non è un caso che il Washington Post, in un pezzo di qualche giorno fa, parlava di artisti del calibro di Bruce Springsteen e Madonna (usciti rispettivamente con i nuovi album "Western Stars" e "Madame X") come di "sottoculture": "È previsto che queste due divinità della canzone americana debbano vivere per sempre, ma nel XXI secolo la loro nuova musica sa di periferica e ‘di culto'. A quanto pare anche per le superstar che vivono a quei livelli, alcune leggi del pop non possono essere violate: la cultura di massa diventa sempre una sottocultura. Come un'increspatura dell'acqua, il centro diventa periferia".

Come cambia il mondo della musica

In un'Italia in cui, stando a quanto scrive la SIAE sui live (i dati sono aggiornati al 2017), "la musica leggera è il comparto che esprime i valori più elevati nel macroaggregato dei Concerti " e contando che "il 2017 è stato un anno positivo dal punto di vista dei risultati, con un incremento di tutti gli indicatori economici che hanno consentito all’intero settore della Concertistica di mantenersi su valori positivi" – confermando anche l'impressione ‘a occhio' avuta in questi anni -, forse dobbiamo cominciare a fare i conti con un mondo che cambia. Non siamo più negli anni '90, la situazione è cambiata radicalmente in questi ultimi anni (non c'è bisogno di fare paragoni che prendano in considerazione uno spettro troppo ampio), sia a livello di creazione, che di gusto, di cosa è cultura di massa e di distribuzione e fruizione della musica, ed è il momento che cominciamo seriamente a fare i conti con questa cosa. Ligabue – e con lui tanti artisti ‘storici' – forse comincia a diventare sottocultura, non tanto in termini numerici – ché comunque vendere quanto vende lui se lo possono permettere in pochi, nel nostro Paese – quanto proprio a livello di percezione e impatto culturale. E non è questione di "è un bene o un male" ma, per adesso, è solo questione di osservare quello che succede e cercare di capirci qualcosa, senza testa nella sabbia, ma anche senza allarmismi.

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