Licenziato da Snam per le frasi sessiste su Ana Mena, il giudice reintegra il lavoratore
È stato reintegrato il lavoratore 56enne licenziato dalla società Snam per avere fatto apprezzamenti sessisti sulla cantante Ana Mena di fronte a una collega. Era accaduto qualche mese fa a Padova. L’uomo, di fronte alla dipendente di una società esterna addetta al controllo dei Green Pass, l’aveva messa in imbarazzo facendo riferimento al corpo della cantante durante la sua esibizione al Festival di Sanremo. “Hai visto Ana Mena ieri sera? Mettiti nei panni di un uomo quando si trova davanti a una donna con un décolleté così. Si eccita di sicuro… Se fossi nata uomo capiresti”, questa la frase pronunciata all’indirizzo della dipendente di Securitalia dal portiere impiegato nella sede padovana della società.
La segnalazione della dipendente
Quella discussione aveva finito per turbare la donna che si era quindi rivolta ai vertici della società per segnalare l’episodio. L’azienda aveva quindi fatto scattare il procedimento disciplinare seguito dal licenziamento del dipendente. Ma il giudice del lavoro Maurizio Pascali, al quale il lavoratore si era rivolto, ha ritenuto illegittimo il licenziamento. Ha ordinato alla Snam il reintegro immediato, oltre al pagamento di una indennità risarcitoria che consiste negli stipendi non versati dal momento del licenziamento.
La precedente segnalazione della dipendente
I fatti descritti risalgono al 9 febbraio scorso. In realtà, secondo quanto racconta la donna, l’episodio sarebbe stato preceduto da un altro commento inopportuno arrivato dal 56enne qualche giorno prima. “Quanto sei bella quando indossi il top”, le avrebbe detto, un apprezzamento che la donna avrebbe finto di non sentire. Dopo l’apprezzamento su Ana Mena, tuttavia, la donna si sarebbe rivolta all’ufficio del personale che ha inviato all’uomo una lettera formale di contestazione. Dopo un primo tentativo di farsi difendere da un sindacalista, l’uomo era stato licenziato. “Le frasi non erano riferite alla lavoratrice anche se hanno urtato la sua spiccata sensibilità e non integrano una molestia sessuale in senso penalistico”, si legge nella sentenza che ha disposto il reintegro, “Quanto al fastidio provato dalla lavoratrice nell'essere chiamata bella anziché signora, non possono avere rilievo giuridico i meri stati soggettivi connotati da eccessiva sensibilità nella valutazione delle parole dette nell'ambito delle relazioni umane”.