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Levante: “In Opera Futura non sono più vittima, ma consapevole della mia rinascita”

Opera Futura è il quinto album di Levante, cantautrice siciliana che ha partecipato con Vivo all’ultimo Festival di Sanremo. L’intervista di Fanpage.
A cura di Francesco Raiola
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Cinque album, tre romanzi, due festival di Sanremo, la scrittura di quasi tutte le sue canzoni pubblicate: Levante rivendica il percorso che l'ha portata a essere una delle poche cantautrici di successo in Italia, paese che solo da pochi anni un movimento autorale femminile sta riuscendo a farsi largo, seppur con enormi difficoltà, come dimostra la classifica dell'ultimo Festival e quelle annuali di vendita. Opera Futura è l'album che contiene Vivo, canzone che Levante ha deciso di portare sul palco dell'Ariston e che partendo dalla depressione post parto cerca di universalizzare il discorso sul dolore, anche perché, come sempre, il rischio è quello che una canzone e l'autrice/autore rimanga incastrato nel bisogno di comprendere ogni parola. Ma questo nuovo album segna anche un cambiamento nella scrittura, come spiega la stessa cantautrice a Fanpage.it, sottolineando come, rispetto a Magmamemoria, il lavoro precedente, questo sia molto più corporale. La cantautrice ha anche spiegato come sono nate le canzoni, come è stato cercare il tempo per lavorarci, della canzone che non è entrata ma uscirà come singolo e del cantautorato femminile

"La verità è il mio corpo esanime steso a terra", "Carne che ogni respiro muovi, carne dimora di perfezione". Mi parli di questa carne e questo corpo che racconti in Opera Futura?

Guarda, è una cosa strana perché fino a Magmamemoria ho scritto in maniera un po' impalpabile. Ho avuto la sensazione di non essere mai fisica nella descrizione delle emozioni e invece poi, alla fine della scrittura di Opera Futura, mi sono resa conto che veramente ero davanti a quello che ho chiamato l'allegro chirurgo delle emozioni. In base a dove mi tocchi suono una canzone, ho avuto la sensazione di descrivere l'emozione attraverso il corpo e credo che tanto sia dovuto alla maternità, alla gravidanza e quindi, appunto, al sentire veramente il corpo, riuscire a collocare le sensazioni in ogni parte del fisico. Però è stata una vera casualità, nel senso che spesso, quando inizio un lavoro, ho delle tracce che sono il colore, un concetto all'interno del quale mi muoverò, però è solo alla fine di quello che faccio che, prendendo le distanze, mi rendo conto di aver preso una strada molto precisa e questo vale proprio per le emozioni che racconto in maniera proprio fisica. C'è tanta carne, sì.

È un album in cui convivono le lacrime ma anche la consapevolezza, la presa di coscienza, che immagino siano state il percorso anche di lavorazione di quest'album…

C'è un'evoluzione nei temi perché c'è un'evoluzione mia, anche nella penna, nella scrittura, probabilmente. Però è stata un'evoluzione casuale. È come quando vieni investito dalla crescita e non sai esattamente dove vai a finire, ma sai che stai crescendo, che ti sta trasformando, sei nella tua metamorfosi, lasci un po' di pelle in giro e diventi un'altra cosa. Qualcuno ha parlato di "nuova Levante", per ‘sti cavolo di capelli biondi, ma in realtà io mi sento sommata a tutte le altre me, come tutti. E lo stesso vale per Opera Futura: ho la sensazione di aver fatto incontrare la Claudia degli esordi, di "Manuale Distruzione", e una Claudia che in realtà ancora non conosco ancora bene, forse quella di domani, perché so che sto andando da qualche parte, ma non so esattamente dove. Però c'è una sorta di sintesi di tutti questi anni.

A un certo punto canti: "Laggiù nel fondo come ci si sente?" che è un verso che abbastanza esplicativo e soprattutto mi pare sia la domanda a cui quest’album pare rispondere, no?

Eh, come ci sente quando sei giù a fondo? Quella è una provocazione. Credo che quella canzone lì, "Invincibile", che è il primo brano del disco, sia proprio l'ultimo rimasuglio di Magmamemoria. Il fatto che sia la prima canzone del disco, però, non è perché faceva da ponte tra questi due album, ma perché inizia in una maniera così sontuosa, con i cori, che ci siamo detti semplicmeente: "Apriamo il disco in questo modo!". Adesso mi stanno arrivando degli incastri perfetti rispetto al fatto che è una canzone che potrebbe fare da ponte, perché l'ho scritta nel 2019, è proprio la primissima canzone di Opera Futura, è una canzone che ancora parla di quel tipo di quell'emotività che appartiene più a Magmamemoria, è molto più cupa, molto più cervellotica. Ha lo stesso dolore che in Mater o in Vivo è descritto in un altro modo, con molta più muscolarità, con meno piangersi addosso e meno vittimismo. Ecco, non sono vittima in Opera futura, sono consapevole del mio dolore e della mia voglia di rinascita. Invece in Magmamemoria c'è ancora un po' di vittimismo.

Materialmente, invece, come è stato scriverlo quest'album, era complesso trovare spazio in quel dolore e anche materialmente nel tempo?

Opera futura ha un percorso strano, perché inizio a scrivere nel 2019, ma non sapevo ancora che sarebbe stato quel disco lì. Nel 2020 scrivo "Mi manchi", siamo in pieno lockdown, poi interrompo la scrittura del disco e scrivo "E questo cuore non mente", il terzo romanzo, poi c'è il tour, eccetera, quindi abbandono tutto perché mi chiedono di fare la colonna sonora di "Romantica" (il film d'esordio di Pilar Fogliati), quindi all'album ancora non ci sto più pensando, scrivo Leggera e mi rendo conto che dal film estrapolerò delle musiche per il disco, perché erano così belle che dovevo inserirle assolutamente. A quel punto inizio di nuovo a lavorare su Opera Futura, fino ai primi di febbraio sono riuscita a scrivere, ad esempio "Mater" l'ho scritta un po' prima che Alma nascesse e l'ho terminata dopo, con alcune correzioni. A quel punto, però, è diventato un disastro.

Ovvero?

Non avevo il tempo materiale per mettermi al pianoforte. Occhio, non sono una che sta al piano o alla chitarra mille anni a trovare le cose, io vado, se ho l'ispirazione in 10/20 minuti ho trovato una cosa altrimenti non ci sto troppo perché vuol dire che non va bene, per me, per come sono fatta io, e fortunatamente quell'approccio mi aiutava. In più ogni tanto tra nonni, tata eccetera mi staccavo, però è la testa che non ti aiuta in quel momento, c'è proprio un'impronta su alcuni brani che ho scritto durante il post parto che è proprio buia.

Cosa che non vale per Vivo, però…

"Vivo" ha preso una muscolarità successivamente, grazie alla produzione di Antonio Filippelli e Daniel Bestonzo. Vivo nasce tristona, in 4/4, ma la immaginavo con la cassa in quattro, Mater idem, poi fortunatamente sono stata aiutata, nel senso che attorno a me si è creato questo coro di voci che diceva: "Non ti preoccupare, abbiamo tutto il tempo del mondo, abbiamo deciso di uscire il prossimo anno e facciamo tutto con calma". Questa cosa mi ha sollevata perché finalmente avevo il tempo di prendermi cura di ogni cosa per bene. E infatti le canzoni sono undici, ma una è stata tirata fuori perché ci siamo detti che potevamo lanciarla in estate.

Perché non si confaceva al mood dell'album?

L'album è abbastanza eterogeneo, devo dire che questo brano qui effettivamente nel racconto non era così tanto giusto

Perché?

È un brano che avevo scritto nel 2018 con altri autori, mi piaceva tantissimo, è molto bello ma ci siamo detti che sarebbe stato un singolo estivo e infatti, alla fine, i brani sono dieci, è il disco più corto che abbia mai fatto. Allo stesso tempo mi sono arrivate delle bellissime risposte perché mi dicono che è vero che dura di meno, ma è bello ascoltarlo più volte. E poi c'è soltanto un brano che non ho composto io, ovvero "Capitale, mio capitale" che hanno composto Antonio Filippelli e Daniel Bestonzo. Mi hanno mandato questa base a cui io non volevo assolutamente lavorare perché non la ritenevo abbastanza in linea con quello che stavo scrivendo: non era triste, non era malinconica, poi un giorno per sbaglio vado nella chat con Antonio, dovevo ascoltarmi "Vivo", premo play e becco questa canzone, però sono rimasta ad ascoltarla, mi è venuta una melodia pazzesca, mi dico che devo assolutamente lavorarci e ho iniziato a scrivere "Sto male, io sto male" (canta, ndr) ed è partito questo tema che poi è quello che ha colpito molti, perché ogni tanto io ho qualche sassolino nella scarpa me lo levo.

Come si incastrano le parti più politico-sociali in questo racconto?

Appartiene tutto a una sfera emotiva, anche l'atto politico è emotivo, quando ti esponi il tuo pensiero parte sempre da un istinto, da un qualcosa di emotivo per cui se sposi una causa, se ti batti per qualcosa, è perché quella cosa ti fa male e così ti butti nel fuoco. In questo caso ero stufa di sentir banalizzare dei temi, alla fine il centro di "Capitale, mio capitale" è quello: è bello che la gente si batta per qualcosa, ma deve essere un impegno onesto e sincero perché se diventa banalizzare un tema, si diventa un trend, parlare di qualcosa perché se dico qualcosa esisto. Questa cosa è grave, perché comunque è un atto politico e se lo banalizzi a chi ha bisogno di determinare se stesso gli viene sottratta l'importanza del tema per cui si batte. Rischia di partire un filone di attivismo performativo spaventoso, quindi, o sei preparato sul tema di cui vuoi parlare e lo affronti con serietà, oppure, se è solo per aprire la bocca diventa grave perché stai banalizzando un argomento che altri affrontano con grande serietà. Questo è un po' il sunto di "Capitale, mio capitale".

È passato un po' di tempo, ormai, come è stato questo Sanremo?

Molto meno incasinato del primo, la seconda volta è già più facile affrontare tutte quelle emozioni che ti assalgono: le scale, quel palco… sai che cosa aspettarti e in qualche modo la gestisci. Poi abbiamo fatto la scelta migliore che potessimo fare, ovvero evitare gli hotel, abbiamo preso questa casa in cui ci siamo in qualche modo ricreati una sorta di familiarità insieme anche a tutto il team. C'era Alma con noi, che stata un talismano, un vero talismano, perché anche nei momenti in cui c'erano stanchezza e stress riusciva a ridimensionare ogni cosa. Questo è il potere dei bambini e quindi me la sono vissuta con grande gioia. Ho fatto un po' meno rispetto al primo anno, con le interviste e tutto e anche da questo punto di vista c'è stata una sorta di protezione nei miei confronti, perché è giusto così, perché tu sei lì per cantare, per esibirti e il fatto che vieni spremuto come un agrume non va bene.

E invece com'è stato mettersi a nudo in un contesto come quello, raccontare te stessa al mondo, anche tramite le interviste, diventando per quei giorni simbolo di un argomento di cui non si parla quanto se ne dovrebbe e che ha bisogno di testimonial?

Non è stato facile, anche perché io sapevo di portare un brano molto muscolare con un messaggio che gridava "Vivo un sogno erotico", quindi la prima cosa che ho voluto dire e specificare è che questo brano è stato scritto a due settimane dal parto, in una condizione di buio: ormonale, fisico, mentale. Però è stato scritto come una preghiera, perché si realizzasse il desiderio di riprendermi tutto. Quando ho iniziato ad argomentare questo tema alla stampa, mi sono praticamente buttata nel fuoco, avrei potuto farmi i cazzi miei e dire "Sono figa, sono tornata nel mio corpo, parlo di erotismo etc", in realtà, oltre alla necessità di raccontare una verità mia – cosa che ho sempre fatto – ho sentito anche la responsabilità di farlo e di farlo attraverso la musica e non attraverso la foto di una mutanda post-parto, perché anche quello è banalizzare un tema.

Poi cosa è successo?

La cosa è sfuggita un po' di mano, è stata come per una bomba, la musica è finita in secondo piano e tutte le testate hanno raccontato soltanto di questo post-parto, di questa gravidanza, è diventata pesante, mi è dispiaciuto anche che "Vivo" non avesse ricevuto l'attenzione che meritava. Non è facile, non è semplice, però poi mi sono detta: "Se non lo faccio chi lo fa?". Sono anni che se non lo faccio, chi lo fa e mi dispiace dirlo. Nella musica pop nessuno va a raccontare con questa schiettezza certi argomenti, poi io vengo punita, ma va bene così. Non volevo essere Giovanna d'Arco, non volevo essere la paladina di niente, anzi, mi ha fatto storcere il naso sentir dire questo è un brano femminista: questo è un brano femminile, perché non c'è una parola in questo testo in cui determino il genere: "Vivo come viene, vivo il male, vivo il bene", poteva cantarla un uomo questa canzone e tra l'altro anche il fatto di parlare di come io ho scritto il brano non significa che tu la debba sentire per come l'ho scritta io.

Forse è un discorso che vale più per Mater, che è più esplicito sul peso delle aspettative culturali dell'essere madre…

Certo, Mater che ovviamente non è Pater. Io ho parlato della radice di "Vivo", quindi da dove è nato tutto, però quello che ho cercato di dire in tutte le interviste è che il buio è di tutti, non è solo del post parto. Il post parto è stata la scintilla che mi ha fatto scrivere questa cosa, ma il buio mentale, del corpo, è di tutti. Infatti adesso anche molti ragazzi mi stanno scrivendo: "Grazie per questa canzone, mi è servita in un momento difficile, finalmente sta arrivando un senso".

Pian piano sta prendendo piede, ma sei tu stessa a dire che a volte c'è bisogno di qualche ascolto in più per capire veramente le tue canzoni…

Lo dico spesso che non sono immediata: non sono immediata come persona, non sono immediata come cantautrice. Da quando ero piccola, all'asilo, mi dicono: "Credevo fosse antipatica", poi magari lo sono pure, eh!, eppure mi sento sincera nell'approcciare gli altri, ma a primo acchito sono sempre un'altra cosa per chi mi guarda e chi mi ascolta.

Senti che nella questione sul cantautorato femminile sia cambiato qualcosa?

Personalmente non ho una percezione di questo cambiamento, anzitutto si fa ancora fatica a dire cantautrice, spesso sento "cantante Levante". Cioè, ok, canto, però scrivo anche da quando avevo nove anni. Io non ho mai sentito dire il cantante Brunori, poi magari qualcuno per velocità lo fa però non ho mai sentito dire neanche il cantante De Gregori, è il cantautore De Gregori, senza nulla togliere ai cantanti, però è come la differenza tra geometra e architetto, uno firma i progetti, l'altro no. Spesso ci tengo a dire "guarda, io sono una cantautrice", però comunque passi per l'antipatica che deve mettere i puntini sulle i. Stanno uscendo allo scoperto sempre più penne femminili, questo sì, ma siamo sempre molto poche rispetto al numero di cantautori che hanno spazio in Italia. Un po' perché forse alla base manca una sorta di sprone a queste ragazze a fare da sole, forse è proprio la radice che è problematica.

Però c'è una sorta di sorellanza sempre più forte, no?

Per quanto riguarda la sorellanza, quella c'è assolutamente, però in classifica, per esempio, ci sono ancora poche donne. Io sento di fare ancora molta fatica, non che mi venga da sgomitare, però in questi giorni pensavo alla me agli esordi, quando ero piccola piccola ed ero sola con la chitarra. Facevo quasi concorsi voce e chitarra ed ero sempre la ragazzina da sola, nel cast non c'era mai una ragazza che scriveva e cantava. Nel 2013, quando sono uscita con "Alfonso" ha fatto scalpore la frase "Che vita di merda", ma contemporaneamente dicevano: chi la veste? Chi le scrive le canzoni? E le musiche? Ma è una cosa difficile da percepire, è come se per noi, riconoscere i nostri talenti, sia sempre faticoso. Ma ti faccio un esempio: tutti si sono concentrati sui miei cazzo di capelli biondi, ma io ho solo cambiato un colore di capelli. Nessuno parla del fatto che ho scritto cinque dischi da sola, ho scritto tre romanzi, ho fatto live in America, in Europa e in Italia, canto da quando avevo 13 anni, nessuno parla di questo. Nessuno sta parlando del fatto che qualche uomo, qualche artista, si sia cambiato il colore dei capelli e quanto questo sia grave. Quindi io sinceramente non sento questo cambiamento, io sento rabbia, da parte di molte delle mie colleghe, perché comunque ci sono delle ingiustizie, ci sono delle stranezze ancora e sento che c'è tanto parlare ma nella sostanza c'è poco.

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