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Le Stelle forever di Leo Pari: “Le mie donne alternativa al racconto sgradevole che fa la trap”

Con “Stelle forever” Leo Pari continua a percorrere la strada del pop con il femminile come stella polare. L’album è un inno alla donna, alle donne, smitizzate dal racconto aulico che talvolta se ne fa e in contrapposizione, come Leo Pari spiega a Fanpage, all’immagine che troviamo talvolta nella nuova scena trap.
A cura di Francesco Raiola
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Leo Pari (ph Francesco Marchini)
Leo Pari (ph Francesco Marchini)

Era il 2016 quando Leo Pari pubblicò "Spazio", album che dava una svolta importante al proprio sound, portandolo dal folk precedente direttamente in quello che oggi definiamo It-Pop e che era ancora in fase di costruzione. Con "Stelle forever" il cantautore romano continua quel percorso – che nel mezzo ha visto una parentesi più italo disco come "Hotel Califano" – spingendo sulla strada del pop con il femminile come stella polare, per restare in tema. L'album è un inno alla donna, alle donne, smitizzate dal racconto aulico che talvolta se ne fa e in contrapposizione, come Leo Pari spiega a Fanpage all'immagine che troviamo talvolta nella nuova scena trap.

Ciao Leo, hai scritto l'album nel 2019, ma nel frattempo sono cambiate un po' di cose. Hanno avuto influenza su Stelle forever?

Il disco è stato registrato nel novembre del 2019 poi mixato durante il lockdown, ma la produzione è stata fatta precedentemente, quindi le canzoni sono rimaste così come erano, non ho riaperto niente e non ci ho rimesso mano.

Inoltre è un album che non ha nulla a che vedere con la pandemia, ma con il femminile, no?

Esatto, nulla a che vedere anche se poi alcuni titoli fanno sospettare, tipo "Vicino vicino", ma è stato un caso. Poi conta che sono brani freschi, scritti tra l'estate e l'autunno 2019, quindi registrati subito dopo, oltre a essere stati scritti tutti insieme, quindi sono piuttosto coerenti sia dal punto di vista della tematiche che del fil rouge dell'elemento femminile.

Ma l'album nasce con questa idea o scrivendo scrivendo hai visto che c'era questo tema che univa tutti i brani?

Mi sono reso conto che quando ho scritto le prime canzoni dell'album- le primissime che ho scritto sono "Le donne sono come le stelle" e "Matrioska" e "Vicino vicino" – erano canzoni in cui mi rivolgevo a un'ideale interlocutrice e così ho cominciato a ragionarci e mi sono detto che sarebbe stato bello fare tutto il disco con un discorso diretto in cui io parlo a una tu che mi sta ascoltando dall'altra parte. È nato un po casualmente ma una volta che ho agganciato il concept ho iniziato a sistemare tutto in quel senso.

Tra l'altro le prime due che hai citato sono anche contraltari musicali, con Matrioska che rallenta un inizio più up, e a proposito di suono praticamente è un tutt'uno con il testo, spesso sottolineando proprio passaggi e parole.

Sì, questo perché nel mio stile di scrittura le parole nascono con la musica, non c'è mai una prevaricazione tra i due mondi, che sono importanti allo stesso modo e poi vengono man mano: talvolta col testo aggiusto la musica o viceversa, è sempre un lavoro parallelo.

"In para", "la depre", com'è cambiato il linguaggio delle tue canzoni in questi anni?

In questo disco, ma anche nel precedente, "Hotel Califano", ho cominciato a utilizzare un linguaggio quotidiano, non mi sono più posto il problema di usare un linguaggio aulico e "da canzone", anzi ho pensato che usare espressioni della quotidianità che utilizzo veramente avrebbe potuto dare una caratteristica di maggior verismo ai brani, poi sperimentando mi piaceva. A volte usare un termine che non usi pare forzato ma se parli come mangi fai acquistare a tutto maggiore sincerità.

Elisioni che aiutano anche nella metrica, e che orami sono la base di tanti testi rap e trap…

Certamente, a proposito, lasciami dire anche una cosa su rap e trap perché questo disco nasce anche in contrapposizione a come viene trattata la figura della donna all'interno non del rap classico ma nel mondo di questa nuova trap. Non mi piace il modo in cui ci si rivolge alle donne, lo trovo sgradevole e gratuito, quindi ci stava fare un bel disco pop, con sonorità diverse da queste ma allo stesso tempo che potesse anche parlare con giustizia e giustezza di quel mondo.

Tra l'altro, nel tuo racconto levi la caratterizzazione aulica e universale: le donne che racconti sono quelle che litigano col t9, quelle che ti tornano in mente mentre fai l'aerosol.

Mi è piaciuto rappresentare il mondo femminile nelle sue varie sfaccettature, nella visione più terrestre. Devo dire che mi sono sentito molto sincero e poi i testi di questo disco sono venute a ruota libera, non ho faticato molto a scrivere i testi a differenza del passato dove talvolta sono stato tanto tempo su un testo perché non mi convinceva un passaggio etc. In questo caso è tutto scorso in maniera liscia.

E poi c'è il treno, grande classico delle storie d'amore, che è qualcosa di poetico e letterario.

E ce l'ho messo, poi lo uso sempre: in "Milano addio" ho descritto una situazione vera, con questo treno che separa Roma e Milano e rende così vicine le persone, ma poi ogni volta che lo prendi sai che stai andando da un'altra parte. In quella canzone ho provato a descrivere una relazione a distanza e credo che ce ne siano tante di persone che vivono questo tipo di rapporto. È qualcosa con cui fai i conti, c'è sempre quel velo di nostalgia quando vai via dalla città o ti ritrovi che quando vai via e sai che quella partenza ti sta allontanando veramente da quella persona, non solo in senso geografico.

"Baciami, tanto il passato non torna, è una carogna", questa la uso in maniera strumentale per chiederti qual è il rapporto che hai con il Leo Pari del passato, quello di un altro mondo musicale. Cosa ti porti appresso di quel mondo?

I miei dischi sono sempre stati diversi tra loro, ho sempre considerato ogni album un po' una tappa di un unico percorso, non ci sono punti di arrivo o partenza, ma sono sempre come un lavoro a sé, di rottura, che però vanno a riprendere cose passate. In "Stelle forever" mi sento molto più vicino a "Spazio", come tipo di sound, argomento, melodie, piuttosto che a "Hotel Califano" che era un album in maschera, in cui interpretavo un personaggio raccontando il lato scuro su un sound volutamente house e italo disco. Questo disco riprende il discorso di Spazio, forse è ancora un pelino più pop, già dal titolo, ma sono dischi paralleli, anche se guardi i colori della copertina. Ciò non toglie che, in futuro, però, potrei fare cose più elettroniche…

O più folk.

Esatto, magari più folk, acustiche, come feci con "Resina" e altro. Sono tutti lati di uno stesso carattere musicale.

Quando è cambiato il pop di questi ultimi anni?

È ricambiato, dopo tanti anni di buio – sì, i gruppi indie facevano i club, ma non si parlava di grandissimi numeri -, lentamente dal 2010/2012 in poi, alcune realtà come The Giornalisti e Calcutta hanno in qualche modo avvicinato quello che era l'indie trasformandolo in It-Pop, facendolo diventare di fatto la vera musica leggera italiana, anche con l'ausilio delle radio, di pubblici che crescevano e la trasformazione di quello che era un sound di un tempo un po' alternativo, indie rock, più pop e internazionale. Aggiungici anche che i pubblici sono cresciuti, la gente ci si immedesimava sempre di più all'interno di queste realtà, quel suono ha cominciato anche a prendere un pubblico più adulto, diventando di massa. A quel punto è cambiato completamente, ma è cambiato proprio il pop italiano: anni fa si faceva musica leggera, poco personale, poco intima, a differenza di questa nuova ondata musicale, con la sincerità come fattore più importante, la gente ha bisogno di sentire realtà di ascoltare storie vissute veramente da chi le canta.

Quegli anni coi Thegiornalisti come sono stati?

Meravigliosi, mi hanno permesso di stare su palchi che non avevo mai calcato, come i palazzetti o l'exploit finale del Circo Massimo che è stato un sogno, qualcosa di meraviglioso. Poi mi ha aiutato molto a capire da vicino, toccare con mano, quella che è la reazione del pubblico a certi stimoli e mi ha dato la possibilità di capire cos'era che emozionava davvero le persone, come, quando, in che modo e questo ha sicuramente influenzato i miei ultimi lavori.

Da cosa ci si fa ispirare quando si scrive un canzoniere d'amore?

Innanzitutto il disco è stato scritto in un momento di transizione, venivo dalla fine di un rapporto molto lungo e l'inizio di una nuova relazione, era un momento particolare, di sensibilità molto alta che o blocca o ti fa scrivere. Da lì ho fatto una serie di riflessione, mi sono trovato da grande, a 40 anni, a chiudere una relazione di 8 anni, ero un po' sperso e mi sono trovato a dover fare dei ragionamenti, delle riflessione e guardare indietro, infatti queste canzoni parlano di donne, di ricordi e imagini e sensazioni che si sovrappongono: avevo bisogno di scrivere per sentirmi meglio e allo stesso modo volevo celebrare la gioia e la serenità che stavo godendo grazie a questa nuova storia che dura tutt'ora e mi rende molto sereno.

Musicalmente, invece?

Beh, sono sempre gli stessi i miei miti, c'è Battisti prima di tutti, al primo, secondo e terzo posto, perché la sua visione della musica mi ha sempre colpito, era uno tra i pochi che dava un'importanza al sound, all'arrangiamento, alla scelta dei suoni, era un uomo di studio di registrazione, cosa che non si usava molto, il cantautorato italiano è tradizionalmente più legato alla parola.

Ti lancio al volo un Enzo Carella…

Beh, sì Carella è un altro che ha dato importanza alla musica, ma anche uno come Pino Daniele dava importanza all'arrangiamento, al sound, ai musicisti, più del cantautorato storico italiano che, meraviglioso, ma ritagliava sempre un 80% di importanza al testo e la musica era un pretesto per accompagnare. Poi, indubbiamente, Franco Battiato, una delle risorse a cui attingo nei momenti di scarsa ispirazione.

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