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Le eroine di Beatrice Venezi, da Isotta a Medea: “Non sappiamo raccontare il valore delle donne”

Il direttore d’orchestra Beatrice Venezi ha racconto in Heroines le figure musicali di alcune donne che hanno rappresentato il femminile in musica.
A cura di Francesco Raiola
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Beatrice Venezi (LaPresse)
Beatrice Venezi (LaPresse)

Giovanna D'Arco, Medea, Lady Macbeth, Isotta, Evita, sono alcune delle eroine della lirica mondiale scelte dal Direttore d'orchestra Beatrice Venezi per il suo ultimo album "Heroines". L'album "si concentra su Preludi, Sinfonie, Intermezzi e Suite orchestrali tratte da opere che presentano degli straordinari personaggi femminili di Verdi, Strauss, Shostakovich, Cherubini" come si legge nella nota stampa e tratta, appunto, "figure molto controverse e storie molto diverse tra loro che ho scelto anche sulla base della loro complementarietà per evidenziare tratti del femminile diversi" come Beatrice Venezi spiega a Fanpage.it raccontando l'album. È un lavoro di ricerca musicale, di scelta certosina e anche di volontà di raccontare in maniera diversa il femminile. Venezi si concentra sull'idea che queste donne hanno rappresentato, ovvero la capacità di resistere e contrapporsi alle idee stereotipate delle società in cui sono state raccontate in cui la donna era quasi sempre subordinata all'uomo. Una caratteristica che continua anche adesso e che Venezi vive sulla propria pelle in un mondo, quello della Musica classica, in cui se sei donna devi dimostrare molto più di quanto bisogna fare se sei uomo.

Un viaggio nella storia della musica partendo dalle donne: come nasce l’idea musicale di Heroines?

La tematica femminile è un qualcosa che contraddistingue il mio personaggio, la mia storia, e devo dire che sempre di più mi rendo conto di quanto manchi una narrazione corretta di quello che è il valore delle donne. Credo che sia necessario anche costruire una narrazione diversa delle donne, sia nella lirica ma anche nella musica in generale, era una cosa cominciata già col mio secondo libro "Le sorelle di Mozart" e che porto avanti in maniera ancora più forte anche con questo disco.

Cos’è che accomuna tutte queste donne?

Ci sono figure molto controverse e storie molto diverse tra loro che ho scelto anche sulla base della loro complementarietà, proprio per evidenziare tratti del femminile diversi. Quando parlo di eroine non do un giudizio morale, sospendo quel giudizio rispetto alle azioni e giudico esclusivamente il tratto comune a tutte loro: il coraggio, la perseveranza, la resilienza, il prendere posizioni talvolta scomode, cantare fuori dal coro, sono tutte tematiche attuali in una società che è sempre giudicante. Siamo convinti che parlare ed esprimere la propria opinione sulle piattaforme social ci renda persone più libere ma guardando più da vicino ci renderemmo conto che siamo sempre sottoposti al giudizio altrui e questo spesso ci preclude la possibilità di esprimere pienamente le proprie opinioni per paura di quel giudizio e delle conseguenze del nostro pensiero.

Sembra che in qualche modo parli un po' di lei con quest'album: tra qualche anno potrebbe far parte lei stessa di un progetto simile, vivendo in un mondo maschile. In che modo è cambiato questo paradigma?

Mi permetta di dire che in questo disco ogni donna può riconoscersi all'interno delle storie di queste eroine straordinarie e trovare una fonte d'ispirazione, in virtù di quella narrazione mancata di cui parlavamo prima, per cui è necessario raccontare le donne per quello che realmente sono. Il paradigma nel mio settore è cambiato relativamente, nel senso che sono sempre più presenti figure femminili, però i problemi sono molti e percepibili sul lavoro. A parità di curriculum un uomo non deve dimostrare sempre qualcosa, per una donna che sale sul podio è diverso, è sempre posta sotto la lente d'ingrandimento del giudizio, come se a prescindere da tutto quello che ha già ottenuto nella sua carriera debba comunque dimostrare sempre il proprio valore, non viene mai dato per scontato il suo valore sul podio.

La sua scelta è caduta su personaggi come Giovanna D’Arco e Isotta, ma anche su donne che l’opera vuole più controverse come Medea e Lady Macbeth. Ci parla di queste ultime scelte?

Lady Macbeth è colei da cui ho cominciato il disco, è il primo personaggio a cui ho pensato perché è estremamente controverso ma anche con una forza incredibile, talmente forte da mettere in crisi un intero regime. È un'opera che venne proibita dal regime sovietico, nonostante Shostakovich fosse uno dei compositori più in voga di quel periodo, ma la storia di una donna che si ribellava all'ordine precostituito e rivendicava la propria indipendenza fu considerata eversiva. Per carità, lo faceva attraverso l'omicidio, è vero, ma comunque rivendicava la propria libertà mettendo paura a un regime. Anche in questo caso, come nel caso di Medea sospendiamo il giudizio rispetto all'azione compiuta, all'omicidio, ma cerchiamo di vedere la grandezza di questa donna.

A proposito di Medea, questo discorso vale anche per lei, giusto?

Vale anche per Medea, sì. Si sospende il giudizio rispetto all'azione compiuta, rispetto a questa cosa, l'infanticidio, che deve essere stato drammatico anche per lei, eppure se guardiamo la sua storia vediamo quella di una donna, tradita dal marito, che secondo la società dell'epoca – e forse anche per la società della fine del 700 – deve stare zitta e farsi da parte, secondo le aspettative della società. E invece lei non si fa da parte, hai ucciso un membro della mia famiglia e poi mi abbandoni anche per una questione di opportunismo, io non ci sto e mi vendico. C'è una ribellione nei confronti di quello che la società decide sia valido e buono e giusto per la donna.

Senta, negli anni passati si è discusso molto della sua volontà di farsi chiamare Direttore, scelta che persegue tuttora. Le chiedo se quindi non pensa che il cambiamento di cui abbiamo parlato prima non passi anche per un linguaggio più inclusivo.

Io non lo ritengo più inclusivo questo linguaggio, è questo il problema di fondo. Anzi lo ritengo ulteriormente ghettizzante, divisivo. Credo che quando si parli di lavori, mestiere e posizioni bisogna parlare indipendentemente dal genere.

Però il genere c'è ed è maschile.

Però la parola deve indicare la funzione e il merito che quella persona ha, indipendentemente dal proprio genere, ma soprattutto il merito di ricoprire quel ruolo, ruolo che dovrebbe essere una parola neutra.

Ma non lo è…

Deriva dal latino ed è diventato quello che oggi chiamiamo maschile inclusivo, la lingua si evolve da quello. Io non lo trovo sminuente essere chiamato Direttore o Maestro, a parte che il titolo accademico di Maestro non esiste, non è un titolo accademico, quindi su quello non possiamo neanche discutere. Il tema è che se andiamo a dividere e suddividere in categorie significa avere a priori un preconcetto nei confronti della persona che ci troviamo davanti. La giudichiamo già di base sulla base del genere. Se diciamo direttore e direttrice facciamo già una divisione tra uomo e donna, non le mettiamo sullo stesso piano, quindi non è inclusivo ma ulteriormente divisivo e non è – ma è la mia opinione personale – quello di cui abbiamo bisogno in questo momento. Ogni tanto guardo con entusiasmo il mondo anglosassone perché pur non essendo esterofilo qualcosa da quella società abbiamo da imparare per quello che ha a che fare col gender gap: attualmente le attrici pur avendo la possibilità di essere chiamate actress lottano per essere chiamate actor ed essere trattate allo stesso livello, avere la stessa retribuzione, le stesse opportunità, forse una domanda ce la potremmo fare rispetto all'uso del linguaggio.

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