L’arresto di Shiva, il dissing e il rap che diventa scusa per giustificare la violenza
Shiva
C'è un senso di accettazione, quasi silenziosa, nella notizia dell'arresto di Shiva, nome d'arte del rapper Andrea Arrigoni. Non perché nella sua rapida ascesa Shiva abbia mai proposto platealmente gesti che potessero ricondurre a reati espliciti, com'era invece avvenuto nel caso tra Simba La Rue e Baby Touché. Anzi, la sua realtà personale è rimasta nascosta all'ombra del personaggio musicale/mediatico, interpretata ormai dal 2016. Appare quasi naturale quindi, che il soggetto a cui si riconducono le accuse e le ricostruzioni sia una versione edulcorata di Andrea Arrigoni, il risultato del suo lavoro artistico, come se la persona Andrea andasse incontro al personaggio Shiva, diventando un'estensione naturale di ciò che racconta nella sua musica e nella sua comunicazione social. E proprio in questa commistione tra i codici narrativi musicali e il personaggio musicale interpretato da Shiva, che i fatti accaduti lo scorso 11 luglio si vanno a collocare: la rappresaglia nei suoi confronti, l'agguato e poi la risposta finale nel cortile del palazzo che si trova in via Cusago al civico 154, dov'è collocato il suo studio Milano Ovest, sono la fotografia di un'immagine che tradurremo molto lontana dalla discografia musicale italiana.
Il regolamento di conti e l'umiliazione social
Non siamo a Compton, men che meno a New York o Las Vegas. Ciò che è accaduto a Settimo Milanese, nel cortile dello studio di registrazione Milano Ovest appare come un regolamento dei conti, in cui la musica appare lontana dai temi dibattuti. Anzi la natura dello scontro, partito con una spedizione punitiva di un gruppo proveniente da Cassano D'Adda, nella cinta della città metropolitana di Milano, sembra sia stato motivato inizialmente con una diatriba sui social. Ed è proprio questo aspetto che sembra calibrare e correlare gli ultimi casi di cronaca legati al mondo musicale. È passato solo un anno da ciò che è accaduto tra Simba La Rue e Touché, uno scontro nato sui social e tradotto in strada per poi essere ripostati nell'ambiente virtuale di una story Instagram. È l'umiliazione social ciò che sposta e polarizza l'opinione del pubblico, è il conflitto tra vincitori e vinti dalla vita, in una dimensione orizzontale in cui il punteggio di chi vince la partita viene scelto su un solo campo da gioco: le piattaforme di streaming musicali.
L'arrivismo e il consumo fast-food
Appare quindi ancora più lontana la dimensione in cui la musica di Shiva abbia qualche tipo di correlazione con ciò che è accaduto lo scorso 11 luglio. C'è però un elemento nella lettura di ciò che è accaduto che si può legare a uno dei macro-temi dell'industria musicale, che sembra soffiare sul vento di violenza innescatosi in più episodi. Oltre alla dimensione realness che ha perso negli anni le sue coordinate, con Marracash che ne ha mostrato le dovute distanze in Rapper/Criminale contenuto in King del rap, c'è un aspetto completamente legato all'arrivismo economico che il nuovo mercato ha difficoltà ad accogliere. Infatti, con un pubblico d'ascolto sempre più ampio e una possibilità di guadagno più veloce, che può tradursi anche in dinamiche di consumo fast-food, uno degli aspetti su cui i rapper concentrano la propria comunicazione, è la propria autodeterminazione. Non c'è posto per chi decide di rimanere nel buio, c'è meno posto per chi non abbina alla propria narrazione musicale una comunicazione del proprio personaggio che rispecchi l'immaginario creato.
Le parole di Shiva dopo l'attacco
Proprio in questo senso sembrano leggersi le parole di Shiva, che nei giorni successivi all'agguato subito nel cortile del suo studio di registrazione, ha chiarito con storie su Instagram: "Questo è l’ultimo di una serie di episodi dovuti ad una continua sfida nei miei confronti e nei confronti del mio gruppo. Siete venuti illegalmente dentro casa mia cercando di cogliermi di sorpresa ma l’unico risultato che avete ottenuto è che siete scappati e avete chiamato la polizia in vostro aiuto. Io ormai è anni che sono nella musica e per chi lo sa è da sempre che cerco di fare progetti per i quartieri e per i ragazzi, soprattutto per evadere da certi contesti tramite sport ed altre iniziative. Sono anni che sento commenti sul mio nome facendo finta di non sentire e in troppi hanno preso la mia benevolenza per debolezza. Non sapete nemmeno che cosa vuol dire essere real e portare avanti un’intera famiglia. La mia potenza nella musica rimane con un piede solido in strada ed è sempre stata vista dagli hater come finzione e dagli altri come invidia, motivo per cui cercano di affondarmi. Questo episodio non mi intimidisce, anzi mi rende ancora più forte. Ci tengo a comunicare che io e tutta la mia gente siamo in ottime condizioni e nessuno di noi ha subito alcun tipo di ferite. Ringrazio i miei fan che sono i più veri e sempre al mio fianco, e lascio un avviso a tutti: non giocate col fuoco se avete paura di bruciarvi. Rispettate il prossimo perché senno il karma vi colpirà duramente. Non mi esprimerò ulteriormente a riguardo di questo argomento perché queste persone non meritano l’attenzione che purtroppo queste situazioni creano, e senza le quali questi soggetti non esisterebbero nemmeno".
La musica come velo per giustificare la violenza
In questo caso, il rapper 24enne che diventerà padre tra alcuni mesi, come annunciato su Instagram, non ha la necessità di condannare il gesto ma di rilanciare, con veemenza, la sua vittoria. È il frutto di questo gioco tra persona/personaggio che si autodetermina quando sottolinea che rimane con "un piede solido in strada", che elimina la dimensione degli altri rapper non per la loro musica, ma per il gesto condannabile. Si nota chiaramente quanto poco sia la musica a determinare il conflitto, sicuramente meno della posizione e del successo di Shiva percepito dal pubblico, non solo quello che gli sorride. E siamo di nuovo qui, costretti a rivedere la solita linea di racconto, per cui un giovane cantante, che con la musica ha deciso anche di fare progetti per il proprio quartiere, come la squadra di calcio Red Devils Santana, giustifica la difesa a mano armata come segno della propria realness musicale, un cortocircuito in cui appare ancora più incomprensibile la relazione tra la musica rap e la violenza. Ma le parole di Kento, in un'intervista a Rockit, sembrano almeno chiarire un aspetto, per chi si chiede se la violenza nasce dalla musica o è la musica che viene utilizzata come velo per nascondere/giustificare la violenza: "Ai ragazzi che oggi si trovano invischiati in brutti episodi di cronaca, direi invece quello che dico durante i miei incontri nelle aule musica dei penitenziari minorili: occhio che le gabbie più strette spesso sono quelle mentali, in cui ci mettiamo noi stessi o ci facciamo mettere dalla società. In questo gioco al massacro avete solo da perdere. Nel migliore dei casi, farete ancora una volta il gioco di chi vi vede solo come i cattivi, i violenti, gli scarti della società".