La Tribù urbana di Ermal Meta, re di Sanremo: “Quello che vogliamo, oggi, è non stare soli”
Ermal Meta ha chiuso primo nella classifica generale del festival di Sanremo, dopo le prime due serate in cui sono esibiti i 26 Big. Il cantante, che su quel palco ha già vinto in coppia con Fabrizio Moro, ha portato la ballad "Un milione di cose da dirti" che fa parte anche del suo nuovo album "Tribù urbana". Un progetto inclusivo, il suo prossimo disco, in cui ha raccontato come l'unione anche di suoni distorti, di voci stonate, possa creare una melodia unica. Meta si esibirà nella serata delle cover, nel giorno del compleanno di Lucio Dalla, con la sua celebre "Caruso", accompagnato dalla Napoli Mandolin Orchestra. L'intervista è stata fatta prima dell'esibizione del cantante.
Partiamo dal disco. Perché hai scelto il singolo "No satisfaction" per presentare il nuovo disco? È una scelta di rottura rispetto al passato?
Era un modo per creare un solco, e per dire che da questo punto in avanti stiamo parlando di "Tribù urbana". Non è un punto di rottura, perché sono orgoglioso di ciò che ho fatto. Più o meno tutte le canzoni di quest'album sono un unicum, perciò ho scelto di chiamarlo così. Ascoltando tutte le canzoni del disco messe in fila, ho pensato che l'unica cosa che mi veniva in mente era una tribù, di persone, di cose, di posti. Un po' come le nostre città adesso, sono una tribù di tantissime cose differenti, dissonanti, contrastanti. Però alla fine quello che cerchiamo è di non stare soli.
In che modo questa canzone cerca di allontanarsi dall'attualità stretta, da un periodo che ormai conosciamo tutti?
Estate 2019, per me la parola pandemia iniziava con la p. Ecco ci sta bene in questo disco, perché mi sono reso conto in maniera inconscia, che è tutto quello che ci manca in questo momento: la libertà. Non la libertà di poter fare qualsiasi cosa, ma di poter fare le cose basilari. Quando ho scritto le canzoni di quest'album, ho immaginato di essere nel pubblico, non sopra al palco. Perché poi alla fine, quando si fa un concerto, non si va solo ad ascoltare musica, ma anche a cantarla. Mi sono messo nei panni di chi vuole cantare una canzone, tutto stonato ma va bene così. Un coro è sempre intonato, se ci pensi quando cantano 1000 persone, prese singolarmente stonano tutte, ma se vengono prese tutte assieme, l'intonazione è perfetta. La stessa cosa accade ai violini. Per quanto ci siano, all'interno di quello che viviamo, tensioni e dissonanze, la tribù è sempre intonata.
Una tribù inclusiva, che ribadisci.
Questo è un disco inclusivo ed è un modo di pensare e concepire il disco in maniera inclusiva.
"Quante sconfitte devo ingoiare pensando in fondo che una cosa migliore non poteva succedere" Uso questa frase per chiederti: quante sconfitte hai dovuto ingoiare per arrivare a un 2021 in cui torni a Sanremo, senza la pressione. Dall'esterno arrivi già con una vittoria, non arrivi più scarico, ma libero.
Arrivo più leggero, perché quando cominciano ad arrivare i bookmaker, che ti appioppano dei numeretti, e vedi che sono bassi e che sei lanciato secondo loro verso la vittoria, non è che cresce la pressione in te, ma in tutti quelli che ti stanno intorno. Secondo i bookmaker i miei numeri sono alti, quindi vuol dire che sono basso in classifica, e io sono molto contento per questa roba.
Visto che non hai pressione, te la metti da solo con la cover di Caruso di Lucio Dalla?
Certo, preferisco complicarmi la vita, la canto il 4 marzo ma è stato tutto fortuito. Me lo ha fatto notare la mia ragazza, che mi ha detto: ma tu non ti sei accorto che giorno è il 4 marzo? Sono rimasto un attimino scosso, è una bellissima coincidenza.
Come sei arrivata a scegliere la canzone di Sanremo?
Non ho mai portato una ballad di Sanremo, le altre volte erano tutti pezzi mid. Ho pensato che volevo andarci in un altro modo, da sfruttare l'orchestra a pieno per il tipo di canzone. Se devo essere onesto, non si sfrutta a pieno l'orchestra, ma il loro lavoro impreziosisce tutto. Siamo dovuti entrare anche nelle dinamiche, perché il brano ha delle dinamiche particolari e non bisogna mai eccedere. Si rischia di strafare perché la canzone è delicata, ma ha una forza nella sua delicatezza che mi ha costretto a ri-arrangiare il pezzo tre volte, perché alla fine c'era il piano e la voce che buttavano fuori qualsiasi altra cosa. Infine è stata realizzata con micro suoni che compaiono una sola volta, per esempio il theremin. Ha richiesto un bel po' di lavoro, quasi un mese.
Invece la scelta dei Napoli Mandolin Orchestra?
Ho sentito il maestro che ha fatto l'arrangiamento del mio pezzo e gli ho detto che mi serviva un'orchestra di mandolini, con un solo obbligo: dovevano essere napoletani, altrimenti non vale. Loro in realtà sono più di quattro, ma non li ho potuti portare tutti. Sono bravissimi ed è venuto tutto da paura. Ho chiesto anche consigli sulla pronuncia. Io ci tengo perché sono innamorato di quella città, meravigliosa su tutti i punti di vista. Non volevo salire sul palco e non dare giustizia con la pronuncia. Uno dei mandolinisti mi ha detto anche che è "T vogl' ben assaj" non "Te".
Chi sono tutti questi fenomeni, innamorati del passato di cui parli nell'album?
Arrivi a un certo punto che ti senti ancora un fenomeno, ma non lo sei più. E ci vogliono tre, quattro anni per capirlo. Sei un fenomeno fino a 37/38 anni, dai 38 ai 42 pensi di esserlo ancora ma non lo sei più, dopo però lo capisci. È un pezzo anche scherzoso, non ha a che fare solo quello, ma anche con la concezione di una vita quotidiana vissuta in un certo modo. Insomma non siamo neanche più buoni a stare calmi, non sapendo più quali sono i nostri limiti, perché a un certo punto tendiamo anche a perderli nel caos quotidiano. E poi la Giulia della 3b, che chissà se mi avrà perdonato, anche se non ricordo il perché. I fenomeni se lo ricordano, io non me lo ricordo.
Con la collaborazione di Vincenzo Nasto