Di sicuro è andata diversamente, ma a me piace immaginarla così. In un giorno imprecisato di qualche mese fa, Zucchero è in riunione alla Universal, sua etichetta discografica da sempre, per parlare del prossimo album, “Black Cat”, la cui uscita sarà fissata al 29 aprile. Piena soddisfazione per il “featuring” di Mark Knopfler nei brani “Ci si arrende” e “Streets Of Surrender (S.O.S.)”, quest’ultima impreziosita da un testo opera di Bono, per l’innesto di T-Bone Burnett accanto agli altri produttori Don Was e Brendan O’Brien, per il ritorno al brioso stile “classico” del musicista dopo un paio di lavori di indirizzo un po’ differente. “E il singolo apripista?”, domanda qualcuno. “Ah, nessun problema”, è la risposta, “è una bomba. Si chiama ‘Partigiano reggiano’”. Un attimo di silenzio, e poi una voce: “Adelmo, il Consorzio l’hai già sentito? Sai, è un marchio registrato, potrebbero farci il culo”. Zucchero scoppia a ridere. “Ah ah ah, ci sei cascato pure tu, non avevo dubbi che funzionasse! Non è ‘parmigiano’… è ‘parTigiano’, con la T! Hai presente, no? La Resistenza contro i nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo so, sono trascorsi settant’anni, ma è un tema sempre di attualità. E poi anch’io sono di Reggio Emilia!”. Nella stanza, attorno al tavolo presumibilmente ovale, si incrociano sguardi perplessi. “Ma il testo non è una roba politica noiosa, vero? Sai, la massa non vuole pensare a queste storie da comunisti, rischiamo il flop… e dopo sei anni dal tuo ultimo album di canzoni inedite non sarebbe una buona cosa”. Il cantante sorride, si abbassa gli occhiali da sole e, un minimo stizzito, dice: “Mi avrai mica confuso con i Modena City Ramblers o i 99 Posse? Guarda che sono Adelmo Zucchero Sugar Fornaciari e ‘robe politiche noiose’ non ne faccio”. Applausi. Mentre un cameriere entra con un piccolo ma appetitoso rinfresco, il responsabile della promozione annota su un foglio “Partigiano reggiano, OCCHIO ALLA T, dal 24 marzo alle 20.00 in contemporanea sulle radio italiane che vorranno aderire. Dalle 14.00 in esclusiva streaming sulla piattaforma TIMMusic”.
Per Zucchero, calembour e doppi sensi non sono affatto una novità. Un suo vendutissimo album del 1989 si intitolava “Oro, incenso & birra”, un altro del 1995 “Spirito DiVino” e nel suo repertorio figurano “Pippo”, “Nice (Nietzsche) che dice”, “Pene” e “Datemi una pompa”. Del resto, lui è fatto così: non ama solo il R&B, il soul e il funk, ma anche il cazzeggio. Insomma… sdrammatizzare va sempre bene, ma il volontario equivoco partigiano/parmigiano, prima di aver ascoltato una sola nota del pezzo, mi sembrava un po’ una… sì, vaccata. Però, forse, il testo avrebbe potuto essere un omaggio, magari ironico ma efficace, a tutti coloro – non necessariamente di Reggio Emilia – che hanno combattuto, e spesso perso la vita, per la libertà. Meglio attendere “i fatti”, per giudicare. I fatti arrivano, puntuali, sotto forma di
“Black cat / my bone
Un po’ di slempito / boom boom
Black cat / ma belle
Le insidie pullulano / bang bang
È così
è così
Ma il mondo è libero / un sogno libero
Un canto libero / come un partigiano reggiano
Il canto libero / l’amore libero
un cuore unico /
come un partigiano reggiano”
Ed è solo la prima parte. Nella seconda si rincara la dose citando “Bella ciao” e, sì, lo sconforto cresce. Non che sia stata una sorpresa, eh. Quando dall’ugola di Zucchero esce qualcosa di poetico e/o vagamente letterario, si può essere ragionevolmente certi che l’autore sia qualcun altro. La sua cifra stilistica è fatta di citazioni, di parole che suonano bene, di tormentoni, “come fanno gli americani” o almeno – e per fortuna! – solo alcuni americani. Adelmo Zucchero Sugar non è Guccini, non è un intellettuale… è un uomo tutto ritmo e “oh yeah” che fa bene “il suo” e di solito è divertente e coinvolgente, aiutato da musiche perfettamente arrangiate ed eseguite che frullano quantità industriali di luoghi comuni; ogni suo brano fa pensare subito a una cover e, a scanso di equivoci, “Partigiano reggiano” non è proprio l’eccezione che conferma la regola.
Mi sono fatto un giro in Rete, non scientifico ma “random”, in cerca di qualcuno che condividesse la tesi sul cattivo gusto di un singolo così concepito, perché la Resistenza è stata (no: diciamo pure “è”) una faccenda seria e ridurla a macchietta non è opportuno. Sarò stato disattento o poco fortunato, ma non ho trovato nulla; in compenso, più d’uno ha commentato il neologismo “slempito” (dal gergale “slemp”? Ah, saperlo), mentre in meno si sono accorti di “umanico”, l’altro termine inventato; nemmeno un pixel, invece, sulla povera Resistenza derisa, ne sono sinceramente convinto, per superficialità e non per dolo. Me ne sono fatto una ragione, come purtroppo accade spesso con mille altre (ben più gravi) tristezze di questa Italia ignorante e senza memoria, e sono passato, in verità con poche speranze, al videoclip diretto dal veterano Gaetano Morbioli. Molto dinamico, (ovviamente) ben girato e in buona misura efficace (l’Adelmo, nei panni del pianista da saloon sul quale non si dovrebbe sparare, ci sta assai bene), ma non ho colto il senso dell’ambientazione western e soprattutto non ho capito quale vorrebbe essere il “messaggio” – perché un messaggio c’è, vero? – della storia raccontata dalle immagini. Ok per il generico riferimento al concetto di libertà, ok per la gioiosa convivenza di razze e culture, ma… boh. Probabile che sia pazzo, a pretendere un minimo di “profondità” da Zucchero. La chiudo qui, allora, e incrocio le dita per il testo composto da Bono a proposito della tragedia del Bataclan.