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La Premiata Forneria Marconi alla conquista del mondo

È da una decina di giorni nei negozi “Marconi Bakery 1973-1974”, un ricco cofanetto che racconta i giorni in cui si pensò seriamente dell’esportazione a livello planetario di una band rock italiana. Alla fine non andò proprio così, ma è bello (ri)vivere quell’illusione.
A cura di Federico Guglielmi
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Come il primo amore, il primo concerto non si dimentica mai e del mio, grazie alle agende custodite per quattro decenni, sono pure in grado di dire la data precisa: 4 giugno 1974. La cornice era quella del Palaeur (oggi Palalottomatica) di Roma, che io – con la mia beata innocenza di quattordicenne – credevo essere una soluzione di ripiego nell’attesa che il Comune realizzasse una struttura specifica. I protagonisti dell’evento erano cinque ragazzi lombardi nemmeno trentenni, noti collettivamente come Premiata Forneria Marconi: Franco Mussida suonava la chitarra, Mauro Pagani si destreggiava tra violino e flauto, Flavio Premoli pensava alle tastiere,  l’ultimo arrivato Patrick Djivas provvedeva al basso, Franz Di Cioccio sedeva alla batteria e divideva le parti cantate con Mussida e Premoli, ed erano appena reduci da un lungo e fortunato tour europeo, Gran Bretagna inclusa, e in procinto di recarsi negli Stati Uniti. La gloriosa vicenda del gruppo, tutt’oggi in essere benché con solo due componenti dell’epoca (Di Cioccio e Djivas), ebbe insomma come zenit quel formidabile 1974 in cui le speranze e gli entusiasmi per la semina dell’anno precedente avevano portato a un raccolto concreto: per la prima volta, il rock italiano sembrava poter divenire un fenomeno esportabile, con i musicisti autoctoni in grado di accedere alle classifiche d’oltremanica/atlantico e pertanto trattati da star invece che da provinciali della periferia dell’Impero. Di lì a non troppo tempo, le circostanze avrebbero fatto capire come il sogno fosse in realtà un’illusione, non solo in generale – l’exploit della PFM è rimasto unico, nel contesto rock – ma anche in rapporto al quintetto stesso, cui mancò la costanza necessaria per continuare lungo la strada brillantemente imboccata. D’accordo, la musica stava cambiando e imporsi continuativamente in un mercato enorme come quello americano era e rimane uno sforzo titanico, ma senza dubbio i Nostri, che avevano intanto ingaggiato il frontman di ruolo Bernardo Lanzetti, si diedero un po’ la zappa sui piedi con il disco del 1975 –  “Chocolate Kings”: il testo della title track e la copertina dell’edizione USA, con la bandiera a stelle e strisce che avvolgeva una barretta di cioccolato sul davanti e accartocciata sul retro non favorirono certo la promozione – e non continuando abbastanza a battere il ferro finché era caldo. Le dimissioni di Pagani e alcune modifiche di stile avrebbero poi spinto l’avventura in altre direzioni.

Si è accennato alla “semina”, e i fatti vanno narrati. Tutto era cominciato quando Greg Lake, prima King Crimson e quindi Emerson, Lake & Palmer, si era innamorato della band dopo avere assistito a un suo concerto romano, affiancandola addirittura sul palco per una jam improvvisata. Di lì alla proposta di salire a Londra per incidere un album con il marchio Manticore, l’etichetta appena fondata dal terzetto britannico, il passo fu brevissimo, e nel gennaio 1973 la Premiata – ancora con il bassista originario, Giorgio Piazza – venne affidata al produttore Pete Sinfield, intellettuale e poeta famoso nel circuito per essere stato paroliere dei primi due 33 giri dei King Crimson. Dalla loro bella intesa derivò “Photos Of Ghosts”, versione riveduta e corretta – e con testi ovviamente in inglese, esclusa “Il banchetto” – del secondo LP “Per un amico”, con l’aggiunta dell’inedita “Old Rain” e di un pezzo dell’esordio “Storia di un minuto” (“È festa”, trasformata per l’occasione in “Celebration”); decisiva, inoltre, l’idea di Sinfield di accorciare il nome dell’ensemble, sorta di impronunciabile scioglilingua per gli anglofoni, nel suo acronimo. “Photos Of Ghosts” ottenne riscontri significativi, di stampa così come di vendite, e diede il via a una fitta attività sui palchi europei (in estate, al Festival di Reading, l’alimentazione interrotta durante “La carrozza di Hans” per problemi di tempistiche provocò le protese della platea). Sulle ali dell’adrenalina, dopo l’arrivo di Djivas, venne a breve approntato il nuovo “L’isola di niente”, impreziosito da una splendida copertina fustellata e contenente cinque episodi molto ispirati (“La luna nuova” e “Dolcissima Maria”, per citarne solo due); in “The World Became The World” – corrispettivo per l’estero, con Sinfield (co)autore dei testi – le tracce diventarono sei con l’innesto della title track, adattamento di quella “Impressioni di settembre” che nel 1971 aveva lanciato alla grande il gruppo. A seguire quelle europee, il programma di espansione prevedeva una cinquantina di date nordamericane in estate, che i cinque onorarono con successo; le tappe di Toronto e New York fornirono inoltre il materiale per un album dal vivo, intitolato “Cook” al di là dell’Atlantico e “Live In U.S.A.” qui da noi.

A tale percorso rende giustizia Sandro Neri, in modo assai più dettagliato e con dichiarazioni degli stessi musicisti, nella sessantina di pagine riccamente illustrate di “Marconi Bakery 1973-1974”, il cofanetto formato libro confezionato dalla Sony dove le scalette dei tre album di studio di cui sopra – “Photos Of Ghosts”, “L’isola di niente” e “The World Became The World” – sono impinguate da un totale di sette brani “live”: cinque risalgono alla tournée USA del 1974 (esibizioni di Boston, Cleveland e New York), uno documenta la forzata conclusione dello show a Reading e l’ultimo è una cover di “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson colta presso Milano nel 1971: parrebbe fuori tema ma così non è, come potranno scoprire nelle note quanti vorranno procurarsi il box, dal prezzo oltretutto onesto (30 euro il triplo CD, 55 il quadruplo vinile). Tendenzialmente “l’oggetto” è rivolto più ai cultori che non ai neofiti, ma nonostante l’assenza del LP dal vivo americano – c’entreranno i diritti concessi nel 2010 alla Esoteric per la ristampa con bonus, il timore di alzare troppo i costi o l’intento di celebrarlo in futuro con un’uscita a sé? – impedisca la perfetta chiusura del cerchio, non si può negare che si tratti di un gran bel modo per rievocare un preciso momento che è Storia con la S maiuscola della (nostra) musica. Si alzino allora i calici alla comunque grande impresa di Franz, Franco, Flavio, Mauro e Patrick, che oltre quattro decenni fa ci rese orgogliosi e ci fece credere che il rock nazionale potesse avere un autentico respiro anche fuori dai sempre troppo angusti confini della Penisola.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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