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La musica incredibile dei C’mon Tigre: “Avendo chiare le nostre radici possiamo muoverci nel mondo”

I C’mon Tigre sono un collettivo di musicisti che partendo dall’Italia abbraccia tutto il mondo: il loro ultimo album, Habitat, parte dal Brasile e si confronta, per la prima volta con l’italiano.
A cura di Francesco Raiola
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C'Mon Tigre (ph Margherita Caprilli)
C'Mon Tigre (ph Margherita Caprilli)

Habitat è il quarto album dei C'mon Tigre, collettivo che da 10 anni unisce stili musicali diversi, dal jazz al funk, passando per l'elettronica, cercando in tutto il mondo ciò che meglio può rappresentare la propria idea globale di musica. Sono senza dubbio uno dei progetti italiani più internazionali e uno dei più interessanti, in grado di variare di album in album senza perdere la propria cifra stilistica, come dimostrano anche in questo Habitat, album che parte dai suoni brasiliani e che vede tra le collaborazioni artisti e artiste come Sean Kuti, Xênia França, Arto Lindsay ma anche Giovanni Truppi con cui hanno realizzato la loro prima canzone in italiano: "Quattro album non son pochi, abbiamo messo su una lunga serie di lavori, con un colpo di reni negli ultimi due anni (con la pubblicazioni di due album, ndr), facendo crescere il ritmo rispetto ai tempi nostri che sono sempre molto più blandi".

Come mai avete velocizzato?

Avevamo delle pratiche esigenze di produzione, però è stato anche molto interessante perché quando sei sotto stress, sotto consegna, e hai delle scadenze, ti ritrovi a sviluppare delle modalità di lavoro diverse, che non avevi provato prima, sei molto più focalizzato solo sulle cose più serie, sei più rapido e questo ha anche i suoi vantaggi.

Questa cosa vi ha portato a cambiare un po' il metodo di lavoro delle canzoni o avete solo dovuto chiudere più velocemente?

Il metodo è rimasto più o meno quello, abbiamo solo dovuto scegliere in tempi più stretti, però è stato un bene, guardando a posteriori e riascoltando i risultati. Abbiamo avuto una parentesi abbastanza buona e direi che ne siamo usciti molto soddisfatti.

È un album che parte dal Brasile…

È vero che parte dal Brasile, ma in realtà ci arriva, perché abbiamo sempre avuto una forte influenza da parte delle sonorità del continente africano e queste sono comunque, anche storicamente, legate alla sonorità del Sudamerica, della tradizione sudamericana, c'è un filo conduttore tra l'evoluzione di strumenti che sono stati portati, trasportati, spostati. Abbiamo anche scoperto che certi stili e certe tradizioni sono molto più vicine di quanto non ti aspetti, spalmati in una parentesi temporale importante, insomma è tutta un'unione e in fondo è sempre stata la nostra caratteristica. Collaboriamo anche in questo disco col collettivo Drumetrics che sta di base in California, quindi tendiamo a mescolare le carte in ogni lavoro.

Per citarvi, avete piantato i vostri semi e li state vedendo crescere, no?

Potremmo vederla così, ci piace molto l'idea del piantare un seme, perché vuol dire prendere l'iniziativa, prendersi cura di qualcosa, seguire un processo fino a che non germoglia. È proprio un consiglio che diamo anche a noi stessi: piantare, investire delle cose, prendersene soprattutto cura.

Le radici attraversano come un filo rosso i vostri lavori, ma al contempo parlate anche dell'importanza dell'essere nomadi…

In generale è l'approccio che abbiamo come C'mon Tigre, è importante riconoscere le proprie radici e averle chiare, senza però sedersi su di esse, è sempre importante sentirsi nomadi e dare peso alle cose, capire che tutto in movimento. L'idea di Habitat, titolo che si riferisce appunto a un ambiente, a un luogo di benessere e di forte energia che ci siamo immaginati, è comunque quella di un ambiente in movimento: lavori su su qualcosa di diverso giorno dopo giorno, quindi è importante non fermarsi e tenere sempre il motore acceso.

Cos'è che vi piace e da dove volevate partire per quanto riguarda il vasto mondo della musica brasiliana?

Quello che ci ha colpito in maniera diretta è la parte ritmica, ti parlo a livello musicale, a parte gli ascolti di musica tradizionale o di artisti più o meno attuali come Chico Buarque o la stessa Xênia França che per noi è un po' il collegamento con la musica brasiliana attuale. Principalmente è quella forza nel concetto di Habitat in cui appunto ci siamo immaginati questo posto molto vitale, carico di energia, carico di movimento, come dicevo prima, il Brasile sia come colori che come cultura e anche come ambientazione: le foreste sudamericane sono tra gli habitat più complessi e l'attrattiva è stata questa, collegare la nostra idea e la nostra provenienza a questo tipo di cultura, quindi di movimento, ritmica, colori e vitalità.

E la foresta entra molto, nei brani, proprio come insegna il Tropicalismo…

Abbiamo implementato e lavorato sulle parti ritmiche di Habitat utilizzando strumenti tipici della tradizione brasiliana, come la cuíca, uno strumento che riproduce questo suono tipo animale o percussioni, come avevamo iniziato a fare un po' su "Scenario", il disco precedente.

Si sente molto in "Sento un morso dolce", brano con Giovanni Truppi, che è anche il primo in italiano, giusto?

Sì, non abbiamo mai usato l'italiano, però l'idea di Habitat era quella di avere un disco multilingue, che allargasse ancora di più questa idea di spazialità e di apertura e così, pensando all'italiano e avendo collaborato con Xênia França, che ha cantato in portoghese, abbiamo ripreso una cover sudamericana in spagnolo e per l'italiano abbiamo pensato a Giovanni, che per noi è sicuramente uno dei migliori autori della musica italiana contemporanea. Lo conosciamo da un sacco di tempo, adesso a Bologna abbiamo una sorta di centrale operativa in cui lavoriamo e condividiamo anche degli spazi con lui, quindi abbiamo unito un po' i puntini ed è stato molto divertente perché anche per lui poi è stata "una sfida" lavorare su un input musicale che venisse da qualcun altro.

Non voglio fare il gioco dei riferimenti musicali, però a proposito di Bologna in alcune cose sento anche Iosonouncane.

Iosonouncane è un artista che stimiamo infinitamente, quindi è sicuramente bello poter pensare che qualcosa ti abbia ricordato la sua musica perché per noi fa una musica molto potente. Parlando delle influenze, quando qualcuno ti dice cosa sente nella tua musica è bello perché certe volte sono inconsapevoli: sicuramente ascoltiamo Iosonouncane e pur facendo un genere molto distante da lui, probabilmente qualche suono, qualche particolare della sua musica, è andato a seminare.

Sarà la parte più "africana" di IRA…

Sì, sì, è molto vera questa cosa, secondo me, ovvero che quando ascolti musica poi delle volte ti rimane impresso un piccolo frammento e qualcuno riesce a captarlo, è bella questa cosa.

Qualche settimana fa ero a vedere Caetano Veloso che sul palco ha ringraziato solo due persone e una di questa era Arto Lindsay. Quanto è stato importante su un disco che parte dal Brasile avere uno come lui?

Moltissimo, perché per noi è una figura di riferimento per gli ascolti, Lindsay è davvero un faro ed era molto in tema anche per l'idea che avevamo di Habitat: lui vive tra Rio de Janeiro e New York e anche questo tornava molto in quello che è il suono e il raggio d'azione di C'Mon Tigre, era molto coerente col nostro muovere le carte e attingere da mondi tra loro diversi. Arto Lindsay riassume la tradizione di musica brasiliana cantata in portoghese con quella più sperimentali della no wave.

Che è quello che si può vedere in una raccolta come Encyclopedia of Arto con una parte più melodica e una più no wave e rumorista, appunto.

Ecco, tornando ai frammenti di ispirazione, ogni volta che Arto Lindsay inizia a suonare in maniera un po' diversa è un riferimento, quindi nella cover di Keep Watching me e anche nell'approccio della chitarra, in generale, sul brano era uno dei pensieri.

Siete un collettivo che guarda oltre l'Italia, ormai ragionate sempre a livello internazionale o ogni tanto vi guardate anche all'interno di un mercato nazionale?

La nostra idea non è quella di una musica che è radicata in Italia, che racconta la tradizione italiana, per cui abbiamo inizialmente voluto allargare il bacino di provenienza di C'Mon Tigre, ma anche per economia di comunicazione: il genere, l'ispirazione e la forma del progetto aveva un'area più ampia, che comprende ovviamente anche l'Italia, però non abbiamo voluto stringere lo zoom sul nostro Paese perché non avrebbe avuto senso, da un certo punto di vista, abbiamo allargato la lente e poi abbiamo continuato a farlo spostandoci di disco in disco, perché secondo noi quella è una cosa molto stimolante. Non ci piace di fare le stesse cose, lavoro dopo lavoro, per cui ci vediamo all'interno della musica italiana come ci sentiamo allo stesso modo all'interno della musica francese o inglese. Avere la base in un posto ti dà molte più possibilità di agire in maniera più efficace, però avevamo l'idea di una musica che fosse comune a più aree geografiche, un po' perché era una musica cantata in una lingua diversa dall'italiano, poi perché raccontava appunto temi più generali, più legati a molti posti diversi, tra cui l'Italia, certo, che comunque è stata una delle influenze di importanza primaria, per quanto riguarda i posti in cui siamo nati e cresciuti.

La scelta di non apparire rientra all'interno dell'idea di collettivo e di lasciare alla musica l'importanza?

Sì, è proprio mettere avanti quello che fa C'mon Tigre, nome che raccoglie una produzione e un collettivo di persone. Noi ne siamo i registi, teniamo i fili, ma solo per far sì che le cose accadano, però poi è un dato di fatto che C'Mon Tigre esiste grazie alla possibilità di condividere, di collaborare, di espandere la produzione, oltre ovviamente a noi due. Abbiamo deciso semplicemente di fare un passo indietro e mettere in risalto anche i nomi delle persone che hanno collaborato con noi e che spesso l'hanno fatto semplicemente per amore verso il progetto, un progetto per cui le collaborazioni viaggiano proprio per passione, per il gran rispetto che c'è del lavoro degli altri. C'è una grande messa in discussione del nostro lavoro, per cui tutto si costruisce insieme, così abbiamo voluto che la comunicazione vertesse sul collettivo C'mon Tigre e non sulle singole persone.

A questo farvi indietro come immagine, però corrisponde una caratterizzazione fortissima nella grafica: è un progetto che partiva come qualcosa che doveva essere così anche successivamente o vi siete resi conto dopo della potenza di questa scelta?

Alcuni di noi hanno dei pregressi anche nel mondo della grafica e dell'arte visiva e fin dall'inizio, proprio per il nostro modo di lavorare, abbiamo sempre pensato di scrivere musica collegando un immaginario visivo ben preciso e che fosse come un abito tagliato su misura, quindi direi che è una cosa che abbiamo voluto fin dall'inizio e mantenuto poi nel corso degli anni, sia con le uscite dei C'mon Tigre che con i video che sono di fatto dei film d'animazione. L'idea era proprio quella di dare proprio un corrispettivo visivo che crediamo amplifichi il concetto e la forza della musica. Tendiamo a scrivere musica come se lo facessimo per immagini, abbiamo un'ambientazione, un colore, una luce, dobbiamo avere un corrispettivo visivo e l'abbiamo messo in pratica con le copertine, con tutta la parte grafica e con le collaborazioni che abbiamo avuto la fortuna di costruire negli anni.

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