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La musica che gira: “La crisi della pandemia è un’occasione per riformare il settore musicale”

Si chiama La musica che gira il collettivo di addetti del settore musicale che durante la pandemia si è formato e ha cominciato a portare avanti delle istanze per far ripartire la musica e per gettare le basi per una riforma sensata che non lasci indietro nessuno, come spiega una delle fondatrici, Stefania Giuffrè.
A cura di Francesco Raiola
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La pandemia di Covid-19 ha portato enormi sconvolgimenti nel mondo della musica italiana. Oltre ai problemi economici di cui si è parlato nelle scorse settimane e che stanno trovando più o meno spazio nei vari decreti economici discussi e in discussione, anche problemi strutturali, portando al pettine dei nodi formatisi in tanti anni in cui il settore ha vissuto più in maniera individuale e competitiva che come un vero e proprio corpo unico. Un lavoro lobbystico frammentato, soprattutto per quanto riguarda realtà medie e piccole, che con lo scoppio dell'epidemia ha sollevato problematicità non indifferenti. Il risultato è stato però che finalmente si è presa coscienza della cosa e qualcosa ha cominciato a muoversi. Uno dei prodotti di questo sconvolgimento è la nascita del collettivo La musica che gira, un gruppo nato come uno scambio di informazioni tra alcuni addetti al settore – manager, uffici stampa etc – e pian piano diventato un collettivo in grado di far sentire la propria voce anche nei confronti delle Istituzioni oltre che in campo mediatico, come ha dimostrato la campagna "Senza musica". Abbiamo chiesto a Stefania Giuffrè, con altri colleghi tra le prime a dare vita al progetto, manager di Levante, fondatrice con Ilaria Boccardi di TAIGA società di management e edizioni (che rappresenta artisti come Mannarino, Levante, Eugenio Finardi, Selton, The Jab) di parlarci di cosa ha significato e significherà la nascita di questo progetto

Cosa state facendo come La musica che gira?

La musica che gira ha parlato con diverse forze politiche, coi sindacati, etc in maniera approfondita e immediata, andando a vedere i vari decreti e la legislazione preesistente, e notando che c'è una legge sulla musica per la quale non si sono mai fatti i decreti attuativi e così ci si è detti: proviamo a partire in una maniera organizzata, ragioniamo su cose concrete piuttosto che sui massimi sistemi o se proprio vogliamo farlo cerchiamo di capire come farlo operativamente, come ottenere interventi concreti, quindi con un'azione di pressione mediatica e istituzionale forte. Le nostre sono istanze che hanno una logica per far ripartire la musica, per gettare le basi per una riforma sensata che non lasci indietro nessuno, quindi questo è il senso.

Come vi siete confrontati, visto che siete tantissimi e con ruoli diversi?

Ascoltando il maggior numero possibile di voci, ascoltando i coordinamenti dei tecnici, facendo riunioni fiume che hanno anche avuto come effetto positivo quello di farci superare il lockdown, che per molti di noi è stato particolarmente difficile. Questa cosa ci è esplosa in mano, a fine marzo è cominciato un tam tam spontaneo da parte di alcuni di noi, tra quelli che si conoscevano bene, che si sentivano al telefono, nelle chat Whatsapp: ci chiedevamo come andava, ovviamente, ma anche se qualcuno avesse capito come funzionavano un po' le cose per quanto riguarda gli artisti, le detrazioni fiscali, informazioni varie insomma.

E a quel punto avete capito che c'erano un po' di cose che non andavano…

Sì, questa cosa ha creato un agglomerato di informazioni tra noi e spontaneamente è nato prima un gruppo ristretto, che nel giro di pochi giorni, però, si è allargato e siamo diventati tantissimi. A quel punto ci siamo trovati a doverci organizzare come un vero e proprio coordinamento, darci un organigramma e una struttura, altrimenti sarebbe diventato impossibile capire come procedere. Quando ti dico tantissimi intendo tipo persone come me e Ilaria (Boccardi, ndr) che lavorano in Taiga, che è una microimpresa – anche se ci definiscono piccole e medie imprese -, ma anche partite iva, lavoratori intermittenti che partecipano alle produzioni dei live, figure jolly che fanno un po' di management, ma sanno curare produzioni di eventi e i social, perché alla fine questa è la realtà del mondo musicale. Il coordinamento non è qui per attribuire colpe, ma per cogliere concretamente l'opportunità di non essere lasciati indietro per l'ennesima volta, come settore musica. Il vero problema è che molti dei locali pubblici dove si esegue musica dal vivo, ad esempio, hanno estensione normativa dei ristoranti per le questioni operative, c'è un vuoto normativo.

Come la mancanza di un codice Ateco (codici che identificano una attività economica specifica), per esempio?

Esatto, e infatti la trovi come una delle prime istanze, condivise dalla maggior parte del settore. Avere dei codici che ci permettano di operare in sicurezza e secondo legge in base a quello che è il core business della nostra attività. È stata una situazione paradossale quando ci siamo resi conto che avevamo codici Ateco diversissimi, perché si procede per estensione e non effettivo ambito di operatività.

Ma materialmente come vi muovete tra voi?

Ci riuniamo con una cadenza a volte giornaliera, quando ci sono temi stringenti, oppure a giorni alternati, c'è un coordinamento che è incluso in una chat e un direttivo con un numero variabile di persone che fa tutta una serie di riunioni: abbiamo una struttura orizzontale e una modalità di funzionamento di veicolazione delle informazioni che è il più possibile ampio e organico. Devo dire che da questo punto di vista è stata interessante anche come esperienza, considera che fino a prima di costituire il coordinamento tutti sapevamo chi eravamo, ci conoscevamo perché ci eravamo incontrati in un backstage, a concerto o durante un evento, ma ci percepivamo come competitor, io mi auguro che quello che ci siamo detti e quello che abbiamo capito, ovvero che da soli non si va da nessuna parte e insieme si può andare ovunque, diventi una modalità operativa anche in seguito.

È una delle cose che mi è stata detta più volte, ovvero che prima non c'era una "coscienza di classe", mentre questa può essere un primo passo verso una difesa del settore, no?

Sicuramente, io credo che non si possa tornare più indietro, qualunque sia l'esito. Abbiamo istanze molto precise che potete vedere sul sito, come per esempio quella della cancellazione della Netflix della Cultura perché viene unanimemente considerata un abominio che non risolve il nostro problema ma crea sperequazioni. Quei 10 milioni dovrebbero contribuire a compensare i mancati introiti degli spettacoli: guarda, potrei raccontarti mille storie strappalacrime, ma il problema non è la singola storia, il problema è il funzionamento di un settore, quindi non si torna indietro, non ci sarà un momento in cui diremo: ‘Ok, è finita l'emergenza e torniamo ognuno per sé', innanzitutto perché l'emergenza non finirà dall'oggi al domani e poi perché un percorso normativo e attuativo di istanze così capillari, come quelle che abbiamo messo in campo, ha bisogno di un iter lungo. Messo in campo, sia chiaro, non solo come Musica che gira, perché non vi è alcun Leader Maximo, noi siamo un aggregatore, un gruppo di pressione e ha fin dall'inizio accolto istanze di tutti gli elementi del settore.

Di cosa parliamo quando parliamo di settore?

Il focus ora è puntato sulla musica dal vivo, ma questa è una macchina che si muove e include una serie di cose importanti: alla musica dal vivo partecipa la band che suona e da lì partono una serie di cose, chi canta può essere interprete o autore, c'è di mezzo la Siae e tantissime realtà che dovrebbero funzionare in maniera organizzata: da soli non sapremmo dove mettere le mani, tutti insieme invece sappiamo come organizzare i vari elementi. Per questo l'obiettivo è stato il bisogno di avere un dialogo di tipo politico, al di là delle campagne mediatiche che pure sono importanti, pensa a "Senza musica" che ha avuto un impatto al di sopra delle nostre aspettative, abbiamo avuto condivisione anche dei nomi più grossi, pure senza averli stimolati direttamente.

La parte complessa arriva però quando bisogna fare di queste istanze una legge, come vi state muovendo su questa cosa. In che modo riuscite a fare pressione sulla politica?

Innanzitutto abbiamo creato un comitato scientifico con giuristi, giuslavoristi, esperti di fiscalità, un po' per fare ordine, un po' per proporre riforme coordinate. Poi proponendo e presentando questi emendamenti al decreto rilancio. Più nello specifico con una campagna mediatica e di pressione con le Istituzioni per ottenere una riforma globale del settore musica, con un respiro più ampio: nel nostro documento c'è una parte che è più emergenziale, un'altra più dedicata alla musica dal vivo, una parte molto corposa che si propone di immaginare e rendere concreta una ripresa cambiando totalmente le logiche di produzione e consumo culturale, nello specifico del settore musica, e con una vocazione contemporanea abbiamo inserito un'ultima parte che si propone di immaginare e proporre una serie di investimenti green, sostenibili in termini sia di innovazione che di tecnologia affinché i piani di azione ambientale possano essere applicati anche al settore musica in una maniera sostenibile.

Pensate di coinvolgere ancora qualche volto noto?

È vero che mediaticamente il volto dell'artista funziona di più, parte del gruppo fondatore de La musica che gira è composto da manager, quindi abbiamo un doppio ruolo. Devo dirti la verità, è importante conservare quel ruolo e quindi ricordarsi che gettare in pasto un artista nell'arena mediatica può avere delle ricadute sbagliate. Ti faccio un esempio: Tiziano Ferro è stato lapidato pubblicamente per un suo intervento che secondo me aveva un'intenzione positiva, perché siamo in tempi di rabbia. A tutti noi è dispiaciuto tantissimo perché Tiziano Ferro, in assoluta buonafede, ha solo voluto dire: ‘Uso la mia faccia per chiedere al Governo un intervento o per sollevare un problema che in fondo ci riguarda tutti' e purtroppo è stato molto attaccato. Ce lo siamo chiesti, comunque, se potesse essere uno strumento per portare avanti questa campagna, ma la risposta è stata che preferivamo di no perché possono essere uno degli strumenti ma non cadiamo nell'ennesimo errore di fare la campagna solo coi volti degli artisti, che arrivano al pubblico ma non dove devono arrivare.

In futuro potrà essere strumento di altre battaglie? Penso a quella di genere, tra le varie…

Assolutamente sì, e hai intercettato una cosa su cui già ci siamo posti il problema, sono istanze che abbiamo già accolto. Lo vedi in parte in alcuni passaggi del documento e della nostra azione, questa cosa verrà ampliata e diffusa, è impossibile prescindere da questo. È fondamentale il fatto di riuscire a immaginarsi una modalità di lavoro diversa partendo dall'abbattimento delle differenze di genere. Lo vediamo quotidianamente, io faccio la manager, sono avvocato e quando mi trovo in alcuni contesti e giro con Levante, mi chiedono se sia la stylist. Questa è la mia piccola e ininfluente esperienza, ma quello che bisogna capire è che bisogna ridefinire i ruoli sociali in maniera più ampia.

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