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La critica di Rancore alla società, tra fantascienza e crisi sociale: la guida a Xenoverso

La realtà sociale e la finzione, il linguaggio e la sua derivazione: la guida a “Xenoverso”, l’ultimo album di Rancore.
A cura di Vincenzo Nasto
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Rancore 2022, foto di Giovanni Onofri
Rancore 2022, foto di Giovanni Onofri

Rancore non esiste, di lui non c'è traccia terrena, se non la sua missione. Messaggero nel tempo e nello spazio, il suo ruolo di cantastorie e disseminatore di simboli e ragioni ha raccontato più di quanto Tarek Iurcik abbia mai fatto dal vivo. Ma come in ogni rapporto con la natura, come terra che scompare tra le mani, la sua figura è diabolicamente svanita nell'industria musicale. Una scelta, una perversione letteraria che ha origini antiche e a cui l'artista romano ci ha abituati. Semmai ad impressionare era la sua figura sul palco del Festival di Sanremo con "Eden" o nell'edizione prima con Daniele Silvestri in "Argentovivo": Rancore era ancora in viaggio e aveva dato qualche cenno di sé pubblicamente, scomparendo poi nella nebbia di altri universi. Raccontare "Xenoverso", il suo ultimo album, pubblicato nelle scorse ore, movimenta lo stesso inquietante animo dello scrittore, che concepisce e poi analizza, che descrive ma non semplifica i passi: la complessità e la stratificazione degli argomenti è la chiave di lettura, ma è necessario ritornare a "Musica Per Bambini" del 2018 per riconoscere la visione.

Allora ci fu la prima presa di coscienza con il pubblico, proprio nel presentare un racconto anacronistico. La prima caramella lasciata a terra dall'autore fu invertire il senso del disco, cominciando il progetto con "Underman" in cui si richiedeva al mondo di alzare la voce, dopo che l'ultima traccia "Questo pianeta" terminava con: "Non capisco mezza parola di ciò che dici". La sensibilità emotiva di quel disco aveva sotterrato l'ascia di guerra, disseminando costumi e dolori, racconti fantastici e di infanzie a cui la vita aveva strappato i suoi "Giocattoli". Le persone che avevano attaccato Rancore per la complessità delle sue rime, venivano poi incastrate nell'ennesimo duello rusticano: "Mi avete detto spesso che il mio rap e le mie rime si capiscono solamente dopo mille ascolti. Sono più di mille volte che sento questa frase, me lo dite continuamente, ma sinceramente sono io a non capire quello che mi state dicendo". Se "Musica per bambini" ha rappresentato una finestra sull'infanzia dell'uomo e dei simboli che lo hanno caratterizzato, in esso covava le uova di un nuovo universo: mancano le coordinate, mancano i paralleli, cadono i dogmi sociali. Il frutto era acerbo, ed "Eden" era solo una mela da mordere di fronte a una classe annoiata, che nel suo universo spazio-temporale ha visto i confini della scrittura superba, meno i codici di una nuova realtà. Rancore non ha approfittato del tempo, anche questa volta: invece di distrarsi in un raccolto temporaneo, ha lasciato crescere un albero della memoria, a cui il pubblico può accedere. Questa volta però, ha teso la mano in "Xenoverso", come un bambino a un adulto costretto a viaggiare da solo in autostrada: in una xenoera non solo le parole son importanti, ma anche il flusso musicale che le raccoglie.

"Ho sognato l'Eden, poi un albero e una mela che si stacca e che inizia a rotolare. Mentre rotola ripercorre la storia dell'uomo, dall'inizio fino ai giorni nostri. Ho deciso di scriverci una canzone che raccontasse i tempi che stiamo vivendo e che parlasse di come, ancora una volta, l'uomo è di fronte a una scelta che potrebbe cambiare tutto il suo futuro": aveva descritto così la sua idea del tempo, che potrebbe essere circoscritta musicalmente anche in "La macchina del tempo". Il brano, prodotto da Big Fish, può essere uno dei primi elementi che hanno portato alla concezione di "Xenoverso", che però ha visto i due primi episodi in "Musica per bambini". Come ha raccontato lo stesso Rancore, le tracce 5 e 9 di "Xenoverso" sono assenti e ripiegati in due skit, perché quel posto appartiene alle tracce 5 e 9 di "Musica per bambini": "Sangue di Drago" e "Quando piove". Il primo brano è una metafora del Potere: attraverso lo schema narrativo del principe medievale, viene esplorata la costruzione a tavolino dell'eroe attuale. Il mondo che viene conquistato dal potere è nella mano degli uomini che creano dei dei capri espiatori per distruggerli e ottenere ancora più vantaggi. Il principe malvagio, che attraverso un mago, trasforma il principe azzurro in un drago: la favola dell'eroe porta all'uccisione del drago e al matrimonio con la principessa. Non è un lieto fine, non è il trionfo dei buoni in cui tutti applaudono.

Poi si arriva a "Quando Piove", anche essa scoperta da Rancore in un viaggio nel tempo nel 2020: il brano arriva dal futuro distopico, ma riprende un concetto del libro settimo de "La Repubblica" di Platone nel 540 a.c. La caverna viene traslata in un futuro lontano, in cui nella foresta gli uomini si nascondono sotto gli alberi, credendo alla teoria della pioggia infinita. Il tutto viene rinchiuso in: "Quando piove, sotto gli alberi non piove. Quando fuori smette, è sotto gli alberi che piove". Il protagonista decide di uscire, affrontando l'impervio sentimento di incomprensione del popolo rimasto sotto gli alberi, che lo stigmatizza nella sua "anormalità", nella sua pazzia individualista. La metafora del cantante non compreso dall'industria discografica e dal pubblico mainstream arriva troppo facilmente per essere il nodo della questione: sembra essere più un inno all'arte dell'osare, del comunicare con gli altri animi coraggiosi, a non perdersi dietro le categorizzazioni. Siamo tutti parte di un universo semplificato per confini geografici e storici, ma siamo noi stessi a esserci imposti questi confini per semplificare la comprensione di ciò che è più vasto, illeggibile a confronto.

Un mondo così vasto e diverso che quattro anni dopo, ritroviamo in "Xenoverso". Per presentare i giorni e le notti in viaggio, Rancore lascia una legenda per il pubblico: "Scrivo a te lettore sicuramente proveniente dall'Universo, nella consapevolezza che questa non è la fine del racconto ma solo l'ennesimo tentativo di provare a spiegare ciò che è inspiegabile. Scrivo a te perché io sono stato nello Xenoverso e mi sento in dovere di raccontartelo. Ho viaggiato per molti anni e in questi lunghi viaggi ho raccolto testimonianze e accumulato più informazioni possibili su quello che esiste fuori dal nostro Universo. Difficile poter spiegare a parole i luoghi in cui le parole stesse non sono mai arrivate. Ho visto diversi tempi, diversi spazi, ho vissuto diverse versioni di me, sono stato un bambino come un adulto, ho vissuto il passato come il futuro. Ho incontrato tante vite che mi hanno raccontato tante storie. Mi hanno chiesto di portare con me i loro messaggi. Oggi scrivo a te, in un tempo che una volta mi apparteneva e che dopo questo lungo viaggio forse non mi appartiene più. Questa è un'era di cambiamenti, una di quelle ere di confine. Lo Xenoverso ha aperto non solo a grandi possibilità, ma anche a grandi pericoli". Ad accompagnarlo in questo viaggio, vecchi e nuovi ospiti: da Stardust, che ha curato "Eden" ed "Equatore" a Dade, d.whale, Michelangelo, Meiden e Jano già al fianco di Rancore nel precedente "Musica per Bambini", oltre alla presenza di Nayt con un featuring nel brano "Guardie&Ladri".

Come il Creatore, anche Rancore ha dovuto ricostruire una natura, più che le pareti pluridimensionali per questo mondo: una lista che potrebbe confondersi con quella utilizzata da Noè per il suo letterario viaggio, una manciata di elementi a cui ricondurre significati. Il primo dei 15 singoli (i due skit mantengono il posto di "Sangue di Drago" e "Quando piove") che conterranno gli album è "Ombra": Rancore decide di immedesimarsi nella sua ombra, una fidata inseguitrice del suo corpo. Dalla variazione della posizione del sole, all'ombra risucchiata dal tramonto, quando la sua forma è gigante prima dell'addio della notte. L'outro riflette sulle pluridimensioni dell'essere umano, quando Rancore canta: "Quante orde di ombre fanno una danza, questo è il momento di pensare, oltre. Non puoi nascondere nel buio la tua ignoranza, non puoi buttare su di me tutte le tue colpe. Se vuoi vedere quante forme ha la mia sostanza, guarda il mare profondo, guarda bene la spiaggia, la tua ombra che danza". Nel brano anche un momento amarcord, quando la figura di Tarek Iurcik scompariva dietro il cappello e gli indumenti neri, nelle sue prime immagini da rapper. Una visuale che si dissolve, perché Rancore è ancora un personaggio metafisico, amante della scienza e dei suoi elementi ignoti.

È il momento di "Freccia": il brano prodotto da d.whale, nome d'arte di Davide Simonetta, e Michelangelo, producer di Blanco, si candida a essere uno dei brani più ascoltati del progetto. Una trance emotiva, con una costruzione musicale in crescendo, che attraverso i flow di Rancore viene caricato da un filo di tensione emotiva costante: il tutto è necessario per un attacco al mondo moderno. La freccia, metaforicamente riferita anche ad Amazon e alla leggenda delle guerriere della mitologia greca, è una delle chiavi di lettura del brano. All'interno viene esplorato il concetto di violenza verbale e fisica alla natura. In un mondo sempre più veloce in cui "Devi proteggere la tua spiaggia, fermo, in piedi sui frangiflutti, guarderò la diretta, quella di un lutto", è impossibile fermare il progresso. La rivalutazione culturale viene presa e studiata, modellata attraverso gli eventi che si susseguono negli ultimi anni, tra restrizioni linguistiche e divieti contemporanei. Rancore la canta in: "Baci vietati dentro le favole, frecce di amazzoni sulle scatole, tracce di sangue dentro le fragole, campi di grano con sotto trappole. C'è un uragano dentro al megafono, mille colori nel mio semaforo, cose che compri solo guardandole, bombe nel cuore di queste bambole".

Con l'aiuto di Dade, nome d'arte di Davide Pavanello, polistrumentista e cantautore italiano, originario di Torino e membro dei Linea 77, si arriva a "Federico". L'universo splatter ingoia il mondo di Rancore, il passato ritorna ai giorni nostri, con riferimenti a Platone, Schopenhauer, Hobbes, Locke, ma anche Ipazia: una matematica, astronoma e filosofa della Grecia antica. Venne uccisa da una folla di cristiani, ma viene storicamente considerata la prima donna matematica della storia. Un universo in cui Rancore colloquia con Federico, riproposizione moderna in italiano di Friedrich Wilhelm Nietzsche, in cui riprende i concetti dell'eterno ritorno e di "Dio è morto". Il primo si rifà alla "Gaia scienza" dell'autore tedesco, in cui rivela: "Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte". La seconda, più famosa, citazione invece riprende l'affermazione del folle, che annuncia la morte di Dio, come metafora per indicare l'uccisione di tutti gli dei a cui si appoggia l'umanità.

Arriva "Guardie&Ladri", il primo angolo di collaborazione con l'artista romano Nayt: la produzione di Jano e Meiden è una colonna sonora cinematografica. La criminalità e lo spaccio, topic utilizzati nella narrazione odierna del rap italiano, vengono capovolti e diretti alla diffusione di parole e rime. E se fossimo noi l'oggetto sognante di un mondo bidimensionale della scrittura? E se la quarta dimensione che l'uomo vuole raggiungere fosse solo una fuga dalla scoperta di altri elementi del nostro universo? "Guardie&Ladri" è la risposta a questa domanda e a questa scena musicale, che negli artisti e nel pubblico, hanno sottovalutato il potere evolutivo della parola e del lavoro. Tutto raccolto nella provocazione di Nayt: "Vendi tanto a poco ma poi, nessuno apprezza, perché è ciò che non consumi che oggi non ha prezzo. Ho sempre sperato che reggessi ma leggersi i testi è tosta apprezzarne la complessità. Io che l'ho fatto per necessità, ho dato il massimo ad una clientela pessima, ci pensi mai?". Poi è il momento di "Cronosurfisti", lo skit in cui viene rivelato che le tracce cinque e nove sono mancanti, ma che indica soprattutto la direzione dei prossimi tre pezzi, tre lettere da recapitare in tre dimensioni diverse: 2036, 2048, 2100. Il tutto attraverso la navicella 507, fidata compagna di viaggio.

Si parte da "Lontano 2036": la lettera è rivolta a una donna da parte dell'amato guerriero. Rancore fa riferimento a una guerra psicologica che possiamo ritrovare anche sul sito xenoverso.com. L'inizio della seconda strofa si rifà a un post pubblicato il 20 marzo 2020, agli inizi della pandemia, definita su un piano di grande guerra o "terza guerra mondiale". La canzone racconta la morte dell'uomo, la transitorietà dell'Io all'interno dell'Universo stesso, da cui nasce e poi ritorna alla fine dei suoi giorni. Nella lettera all'amata traspare la tristezza per la perdita contro un nemico che ha a disposizione "l'arma più terribile in quanto non ha fattezza, concreta, concreta invece la tua pezza di seta, ne sento spesso la tua essenza. Ho sete, in questa guerra mentale noi siamo preda di un'arma che non si vede". L'esistenza dell'essere umano sul pianeta, privato della dolcezza dell'amore per la sua donna, perde ogni connotazione, diventando astratto: "Abbiamo occhi troppo piccoli per le stelle, eppure grandi per le singole particelle".

Il secondo viaggio ci porta nel 2048, esattamente il 10 agosto, la notte di San Lorenzo, dove cadono le stelle. Al centro del brano una lettera di un padre al figlio, che dopo la guerra di "Lontano 2036", si ritrova nello spazio a toglie le scorie rilasciate dalle bombe nell'atmosfera, simili alle stelle cadenti. Il 10 agosto è anche il titolo di una poesia di Giovanni Pascoli, che racconta la morte del padre, avvenuto in giovane età come per Rancore. La terza strofa della canzone è il "10 agosto" di Pascoli in versione rap, un filo che collega le tre anime del brano e che racconta gli ultimi momenti, che volge lo sguardo al cielo per trovare suo padre. Proprio come quando muore un genitore, ai bambini viene rivelato che lui è andato in cielo. La terza missiva dista 52 anni dalla prima, vede Rancore nel 2100 in preda a una rivoluzione luddista, contro le macchine e il Grande Telaio che attraverso la tecnologia, controlla l'umanità. Al centro della narrazione la comparsa di Arakno, un gigantesco ragno che combatte contro il Grande Telaio, causa di piogge acide e dell'inversione della rotazione della terra, sinonimo dei grandi mali. La secondo strofa presenta anche l'avatar di Rancore, Arakno Boy, nato dalle battaglie luddiste del 1800 in Gran Bretagna, dove adesso le macchine non rendono schiavi gli umani attraverso il loro lavoro pratico, ma nella costruzione di un mondo virtuale che li soggioga. La canzone rappresenta un inno al movimento, in cui Arakno Boy diventa anche il "Figlio dell'uomo pronto all'attacco, vive nella memoria di tutti noi", una descrizione riservata più volte a Gesù Cristo, figlio di Dio.

È il momento di un nuovo skit: "Guerra dei versi". La conversazione tra Rancore e un altro cronosurfista pone l'accento sul mondo bidimensionale delle parole e di quanto dentro esso ci sia una società che in futuro sogna di vivere in un universo tridimensionale. 507, nome della navicella, diventa anche il numero di parole facente parte della società di vocaboli attraversata in passato dal padre dell'artista. Il numero 507 è anche il volume numerico delle parole contenute nel brano "Le rime". Il singolo è un esercizio di scrittura in cui il rapper conta le parole che canta, come quando nella seconda strofa: "Siamo rimasti tra parentesi sempre più strette, ma se ci pensi è molto meglio di chi è tra virgolette, dopo due pugni perché due punti chiude i passaggi, dopo un cielo di asterischi in infiniti paesaggi. Siamo 333 sotto a chi tocca". "Fantasia", 11a canzone del progetto, è la descrizione di un mondo fantastico in cui il rapper vive, correndo via dal '43 e dal Fuhrer che lo insegue per vivere del suo potere: fondamentale nel brano anche la figura del padre di Rancore, che dopo "X agosto 2048" rifà la sua comparsa: "Quelle notti mio padre mi leggeva un libro, solo dopo capii che era un manoscritto, se ci penso vibro. E guardavo le figure, le più importanti, ero ancora un bimbo, se leggevo per finta imitavo i grandi e cambiavo timbro, ero come te".

"Ignoranze funebri" è un inno alle rigidità sociali, che non può che avere Carmelo Bene come introduzione del brano: "Questa sera stiamo dicendo che non stasera son cazzate, ma che sempre si parla soltanto di parole, cioè di cazzate. Senza che si offenda il fallo". L'esclamazione è tratta da "Uno contro tutti", trasmissione del 1995 del Maurizio Costanzo Show, il cui protagonista è l'attore. "Ignoranze funebri" è anche una raccolta delle incoerenze sociali che viviamo, la polarizzazione del concetto di "politicamente corretto": "Però può darsi che quei ragazzi, hanno nella testa solo immagini della Disney, come il tuo cane che è un po' di destra, in fissa a vedere il logo dell'Italia sul frisbee. Rischia che sposerò un'ideologia che non voglio, solo per i regali di matrimonio. Visto quant'è difficile votare a sinistra, è più facile trovare un nome solo al demonio". Nel brano Rancore raggira il limite della bestemmia, usufruendo di due cantautori: Diodato e Giancane, con quest'ultimo che è stato anche produttore del singolo "Ipocondria" nell'album "Ansia e disagio".

Se "Eden" fa parte di un passato quanto mai presente, "Equatore" risponde alla seconda collaborazione presente nel disco, questa volta con Margherita Vicario. I due protagonisti, indefiniti nel genere, nascono e si rincorrono da una parte all'altra del mondo. Il brano, come più volte affermato dallo stesso Rancore dopo la sua uscita, è un esperimento del giro del mondo in 80 parole. Qualcosa che in passato entrambi i cantanti avevano provato a fare, chi in "Non esistono" come Rancore, chi in "Mandela", come Margherita Vicario: "Manila, Praga, Tirana, prendi la metro scendi a L'Avana, Messina, Guadalajara, dal Vaticano fino ad Ankara, Pechino, Lima, Lubiana, da Gioia Tauro vai in Guatemala. Brasilia, Copacabana, ceni a Milano dormi a Tijuana, sorridi Mandela, che questo è il tuo posto". La titletrack del progetto è un ricongiungimento astratto: all'interno è possibile trovare l'Eden, la "Divina Commedia" di Dante, e quel futuro in cui "L'universo conosciuto è solo una regione, una colonia conquistata solo dal consenso". Nella prima strofa si riflette sulle origini, quando Rancore canta: "Ogni uomo era una rosa per il mondo nuovo, un mortorio vivevamo anche se in un vivaio. Quante volte avrò pensato fosse un grande scherzo, eravamo pieni d'oro ma in un manicomio". Nella seconda strofa si fa riferimento alle ottave della "Divina Commedia" del Sommo Poeta, ma soprattutto alla morte della parola stessa, racchiusa in un hashtag: "Ma chi calpestò parole rovinò le aiuole, quindi le chiudemmo una per una dietro un cancelletto".

Siamo arrivati alle ultime due tracce del progetto: per la prima volta, alla frenesia della battaglia, sembra ergersi contro una distesa di serenità. Qualcosa di troppo stretto anche per i panni di un inguaribile guerriero come Rancore. In "Questa cosa che io ho scritto mi piace", per la prima volta Rancore vede sotto una luce diversa ciò che racconta, come se più che aprire gli occhi agli altri, il brano stesse diffondendo serenità nei suoi. Nel ritornello canta: "Io mi sento che ho fatto pace con il mondo di merda che ho intorno, questa cosa che io ho scritto mi piace e rispecchia bene questo giorno. Io mi sento che ho fatto pace con il mondo di merda che ho intorno". Tutto agli ultimi sgoccioli di un viaggio straordinario, che trasporta l'ascoltatore in altre epoche e giudizi, a pochi secondi da "Io non sono io". Il brano è prodotto da d.whale e Michelangelo, di nuovo dopo "Freccia", e si apre con la ripresa della risposta a un intervista di Rancore sul senso della sua musica: "Avere un motivo per fare la musica che si fa, avere qualcosa da raccontare e non, e non un motivo che sia fine a sé stesso ma un motivo che vada oltre te stesso. È un po' quella la mia, la mia luce. La musica che porto cerca di non limitarsi nella complessità, anche se magari può subirne dei danni in questo. Però ‘sti cazzi, nel senso che è quello che dicevo prima: forse quando hai un motivo per fare le cose, le cose assumono molto più senso e dare un senso alle cose è la cosa di cui io, almeno come persona, ho più bisogno adesso".

La musica diventa la linea di confine tra le tante identità di Tarek Iurcik e Rancore, un passaggio di consegna in cui le emozioni vengono fuori da un uomo senza sapere l'identità che le ha provocate. Il mondo multiforme disegnato nelle 17 tracce, una disamina della società che si semplifica fino a ridursi all'osso, viene banalizzato con il sentimento pratico del sesso: "Sono un uomo sotto le mie palpebre, sono donna dentro le mie costole, l'universo è parte di un sistema grande, c'è chi è un abitante, c'è chi è ospite". Tre strofe che riassumono il viaggio appena intrapreso con "Xenoverso", il nuovo racconto musicale di un filosofo rinascimentale qual è Rancore, l'ennesimo inno all'arte come stimolo sociale. "Io non sono io" non è una richiesta d'aiuto, ma il valore dell'essere umano in questo tempo, che termina con il più dolce dei contrasti: "Cercherò una stanza dentro l'anima, solamente per chiuderci il buio in me. Il tuo mondo di notte ha le lucciole, come il mio che di giorno ha le buiole. Io quest’anno lo so sarà un luglio che passerò tra gli accenti di sdrucciole. Fanno tutti l'amore tra loro come non ci stessimo poi per distruggere".

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