“L’amore e la violenza” dei Baustelle: “Cantiamo per emozionare, puntando all’eternità”
Cosa si può dire ancora de "L'amore e la violenza", ultimo album dei Baustelle? Quello della band di Montepulciano era senza dubbio uno dei lavori più attesi di questo inizio 2017 ma già dagli ultimi mesi del 2016, con due canzoni – uno dei quali è il singolo "Amanda Lear" -, hanno acceso la curiosità dei fan e non solo. "Amanda Lear", quindi, aveva dato l'impressione, poi confermata, che "L'amore e la violenza" si allontanasse da un album bello e poetico come "Fantasma" che, però, era abbastanza ostico, per tematiche e sonorità, nel panorama pop italiano, soprattutto quello di una band che aspira alle zone alte della classifica. E infatti questo lavoro della band di Montepulciano è stato analizzato fino all'osso, a partire dai testi, fino alla ricerca delle minime citazioni – che pure non sono poche – in un gioco tra la band e i lettori o, almeno, sicuramente per questi ultimi, visto che al telefono Bianconi, gentilissimo, storce un po' la bocca quando tocchiamo l'argomento, spiegando come quella delle citazioni sia una caratteristica di tutta la musica, chiedendosi se tutta questa attenzione nei confronti dell'argomento non sia dovuta al fatto che "siamo disabituati ad ascoltare musica stratificata".
"L'amore e la violenza", comunque, è un perfetto prodotto pop e il secondo posto in classifica nella settimana d'esordio, è solo la punta dell'iceberg di quella che è ormai un'ovvietà, dopo 8 album in studio e uno live. Un album che ripercorre alcuni dei temi degli album precedenti come la religione, di cui è pregno, riuscendo, però, a non essere preponderante né fastidioso, il racconto dell'adolescenza, ma anche alcune novità, sfumature dovute al cambiamento nella vita di Bianconi, che nel frattempo è diventato padre. L'ascolto, come sempre capita, comunque, è sempre multiforme e vede significati diversi a seconda delle esperienze dei singoli. Vale per Pierantozzi, che ne ha scritto una sorta di prologo, e vale anche per l'intervistatore che, nel caso specifico, si è soffermato, appunto, sull'aspetto religioso dei loro testi, ma anche sulla paternità – e nel caso specifico nel "contrasto" con un termine, "maternità", curioso in un testo scritto da un uomo appena diventato padre -, affrontando il concetto di "racconto della realtà", adolescenza – e di conseguenza del pubblico -, fino all'accusa di essere fighetti, che Bianconi, ridendo, ma non troppo, rifiuta categoricamente.
Quando ho letto che il nuovo album si sarebbe chiamato “L’amore e la violenza” ho pensato subito a Sebastien Tellier, autore molto amato, sicuramente, per quello che ho letto, da te e Rachele. Ci avete pensato o è una delle tante casualità che possono capitare?
In realtà sapevamo che Tellier aveva fatto una canzone con questo titolo, però è anche vero che l'amore e la violenza sono una classica associazione e ce ne siamo abbondantemente fregati di Tellier, che ammiriamo e seguiamo, per cui alla fine vuol dire che abbiamo delle sensibilità comuni.
Ascoltandolo, l’album, poi (però) ho notato, ma lo hanno fatto in tanti, citazioni sparse e multiformi. Una sorta di gioco per ci ascolta, quello che potrebbe essere un godimento nel godimento dell’ascolto… è valso anche nella scrittura?
A noi viene naturale scrivere così, tutto questo discorso delle citazioni che si fa spesso quando si parla di Baustelle lo capisco poco. Io sento delle citazioni negli artisti che mi piacciono, sento un casino di citazioni, sento molti artisti blues, bianchi e neri, se ascolto Nick Cave, dentro i Beach Boys sento altre cose, non so perché questa cosa è associata ai Baustelle. Forse perché ci siamo disabituati ad ascoltare musica stratificata o complessa – non lo dico come ‘noi facciamo musica complessa', ma musica che, bella o brutta che sia, è diversa da quella che si sente in giro, e la gente rimane molto sorpresa quando gli arriva in faccia questa musica che è un caleidoscopio di melodie, arrangiamenti non convenzionali, non la sa spiegare e si attacca a cose che ha già sentito. Io non sono un citazionista, non me ne frega nulla. Quando si è veramente liberi, quando un musicista è realmente libero, non ha paura a riallacciarsi a cose già scritte.
L’amore e la violenza sono due dei temi trattati, appunto. Hai sempre avuto uno sguardo molto attento a quello che gira intorno, come si suol dire, dai jeans a vita bassa (ispirato da un articolo di Marco Lodoli) al "liberismo" nei giorni d'oggi. Come siete arrivati a un album come questo dopo la parentesi "Fantasma"?
Forse per reazione, per non annoiarci, credo che sia dovuto anche al fatto che noi naturalmente tendiamo un po' ad annoiarci. Secondo me "Fantasma" è uno dei dischi più belli che abbiamo scritto, però, evidentemente, ci ha lasciato anche come una storia d'amore importante che però deve finire e tu rimani con quel senso di vuoto, quindi non dico che vai con la prima che passa per strada, ma lo spirito è un po' quello (sorride, ndr). Secondo me "L'amore e la violenza" è l'aver voglia di aprire un po' i pori al mondo.
Pierantozzi, nella presentazione, parla dei romanzi di Miriam Toews, io nei temi, almeno del suo più famoso in Italia "I miei piccoli dispiaceri", ci vedo più il tono (l’ironia) che la trama (suicidio), forse più vicina a "Fantasma", che la morte l’affrontava anche a volto scoperto.
Sicuramente c'è ispirazione, ma spesso non coincide con quella che vedono gli altri, comunque Alcide ha scritto parole meravigliose su questo disco, però spesso ispirazione che hai tu e i semi che tu hai dentro, che derivano da letture, visioni, poi non coincidono con quelli che a prodotto finito può leggervi dentro un giornalista o uno scrittore, che è altro da te. Io nel mio piccolo sto cercando di sfruttare al meglio il tempo che ho, sono un lettore, leggo e tutto rientra nelle canzoni, però non è che dico ‘adesso devo scrivere un disco di un certo tipo' e mi metto a leggere Kafka o Foster Wallace, no, quello che leggo fa parte della mia vita, poi nella vita faccio anche lo scrittore di canzoni e di prosa e lascio che quello che ho mangiato poi venga fuori naturalmente.
Tra “Fantasma” e “L’amore e la violenza” sei diventato padre, e immagino che per un autore come te questo non sia stato indifferente dalla tua scrittura, o sbaglio? E poi una curiosità: come mai canti “La vita è forte, le emozioni, i figli, la maternità”?
Beh, perché ritengo la maternità un'emozione più forte. Se devo sintetizzare la vita, tra le cose forti che si possono provare nella vita c'è una cosa che noi padri non potremmo mai provare, ovvero la maternità, perché è una cosa legata non solo ai sentimenti, ma anche al corpo, al dolore, alla sofferenza, è una cosa fisica la maternità… mettere al mondo un figlio, per cui ho volontariamente scelto la maternità e sono contento. Metterci la paternità sarebbe stato egocentrico, voglio dire, chi cazzo sono io per mettermi al centro dell'universo?
E sull'incidenza in quello che fai?
Ah, vero… La paternità ha certamente un'influenza sulla vita, l'essere padre – che forse è un po' meno che essere madre – ti cambia, io sono cambiato da quando sono padre, sono cambiato e devo dire, per certi versi, migliorato dal punto di vista della mia capacità di sopravvivere senza impazzire o quella di restare vivo nel mondo. Tra l'altro mi sono anche separato con la mia compagna e devo dire che l'essere diventato padre aiuta anche lì: il fatto di avere una figlia mi ha aiutato anche a provare meno dolore, a essere concentrato più su di lei che su aspetti anche, secondo me, superflui che ci possono essere nella separazione di una coppia. Perde subito d'importanza, vedi che la cosa più importante è tua figlia ed è lei su cui devi essere concentrato.
C'è una forte tensione religiosa da sempre vi caratterizza, senza, però, essere mai troppo invasiva. Una tensione che si è materializza anche nell’affrontare temi universali come la morte. E anche questa volta non si sfugge. Come gestisci questa tensione religiosa all'interno di pezzi?
Dal punto di vista personale non credo in Dio, ma non sono neanche uno che è soddisfatto del piatto materialista in cui mangia. Sono in ricerca, il materialismo non soddisfa a fondo il mio appetito, quindi mi ritengo uno che va in cerca, non trova e non so nemmeno se troverà mai, ma non è importante, però continuo a farmi delle domande, penso spesso anche alla possibilità di una metafisica dell'esistenza, però rimane irrisolta. Questa cosa, evidentemente, un po' nelle canzoni ci rientra e in più nelle canzoni, spesso, come si fa quando si scrive qualcosa, anche in prosa o in poesia, si usano delle immagini, delle metafore, e i libri di tutte le religioni sono libri bellissimi, pieni di immagini e quindi sì, come dice anche qualche detrattore dei Baustelle, gioco con le figurine, ma anche Dylan lo faceva: cioè, in una canzone tu prendi la storia di Giobbe e ce la infili dentro, magari associata a una cosa che non c'entra niente, per creare degli scontri, delle associazioni, che poi non dovrebbero essere fini a se stesse, ma dovrebbero generare delle reazioni emotive in chi ascolta. Spesso la poesia è così, associazioni di due immagini molto distanti tra loro: un'immagine della Bibbia e un dialogo da bar o una frase fatta e spesso il discorso diventa più interessante.
Si parla spesso di storytelling, ultimamente, in vari campi. Ecco, esiste, nel discorso Baustelle, il concetto di storytelling, ovvero un’idea di descrizione, anzi, di racconto del mondo?
Lo storytelling, il raccontare storie, è naturale per chi fa questo mestiere, le canzoni dovrebbero essere sempre questo, avere questa funzione di raccontare il mondo, poi il problema è il come lo si fa: perché ci sono canzoni che raccontano il mondo e ci tengono a far sapere ‘Ah, questa è una canzone importante che sta raccontando il mondo, spiegando dei problemi e lasciando messaggi', poi ci sono delle canzoni che raccontano il mondo a loro insaputa, una canzone d'amore melensa, per quanto non c'entri niente con la situazione politica mondiale, ha comunque a che fare col mondo, quindi è comunque una questione di consapevolezza, di storytelling, di tipo di narrazione che si fa. Insomma, lo storytelling è naturale, chiunque imbraccia una chitarra e suona una canzone di qualsiasi tipo, lo fa.
E secondo te esiste un'incidenza della parola sulla realtà. Domanda forse banale e ampia, perdonami, forse è una fissazione mia, ne parlavo l'atro giorno con Dario Brunori e mi piace capire se, e in che modo, questa cosa incide su chi arriva a così tante persone.
Se intendi che la musica può cambiare il mondo sono scettico…
No, no, in realtà non voleva essere così ampia, parlavo più della capacità di toccare le persone…
Può influenzare gli uomini, certo, però tra l'influenza che una canzone può avere su un uomo e quanto quell'uomo possa decidere o meno di premere il pulsante per sganciare una bomba ce ne passa. Io non chiedo tanto, cerco di emozionare qualcuno nell'ascolto, mi fermo lì, però emozionando qualcuno, quel qualcuno riascoltando la canzone continui ad emozionarsi, questo mi piace: l'eternità, l'eternità dei prodotti che facciamo che talvolta possono durare anche oltre la tua vita di cantante.
Ho letto che vorresti che fosse un album “over 35” eppure da sempre siete tra i gruppi che riescono a cristallizzare meglio le manie, i problemi e i vezzi degli adolescenti…
No, non è esattamente così, mi spiego meglio. Durante un'intervista ho chiesto all'intervistatrice: "Questo disco, secondo te, lo capisce anche un 18enne?" e da lì è venuto fuori che era un album collocabile dai 25 in su, ma non lo so qual è il mio pubblico e non voglio manco saperlo. Spero che i dischi… non è una questione di essere facile o difficile, ma di riuscire a intrigare, irretire nell'ascolto o nel gioco di interpretazione dell'ascolto il pubblico. Certe cose di Battiato che sono andate in classifica, ad esempio, avevano delle parole incomprensibili: io ero un ragazzino di 6 anni quando uscì "La voce del padrone" e ascoltavo solo quello, sospesi l'ascolto di tutto il resto della musica, giuro, e sentivo solo queste canzoni che parlavano di Shivaismo tantrico e io l'ho capito solo l'altroieri cos'era, ma non è una questione di capire o non capire, tu puoi dare anche delle cose complesse, ma è quanto queste vengano presentate in una maniera attraente per il pubblico e l'ascoltatore che, se anche non capisce tutto, ci si identifica.
"Abbiamo tanti difetti ma non siamo mai stati dei fighetti” scrivi tu nella presentazione, eppure è una delle critiche che capita di sentire su di voi dai detrattori di cui sopra.
Perché non ci conoscono di persona, non mi conoscono di persona, alla fine i fighetti non mi sono mai stati simpatici e non mi ritengo tale. Ho molti difetti, però no, fighetto non va bene, piuttosto venite a cena con me e ve lo dimostro. No, no, lo dico per scherzo, non voglio cenare con tutti.