Kurt Cobain: il ricordo a 20 anni dalla morte
"La band sapeva come suonare. Era così semplice: la migliore parte dei R.E.M., dei Beatles, dei Buzzcocks e dei Black Flag. Ma nessuna band lo stava facendo. Nessuno sano di mente avrebbe fatto ancora riferimento ai R.E.M. o ai Beatles. Ma loro lo fecero. E funzionava". Con queste parole Thurston Moore, leader dei Sonic Youth, descriveva quello che furono i Nirvana, la band di Seattle che mise un punto nel mondo del rock degli anni '90. Oggi ricorre l'anniversario dei 20 anni dalla morte di Kurt Cobain, leader di quella band che vedeva protagonisti anche Kris Novoselic e Dave Grohl, subentrato in un secondo momento.
Il 5 aprile del 1994, pochi mesi dopo l'uscita dell'ultimo album del gruppo "In Utero", Kurt Cobain decise di togliersi la vita sparandosi in testa, riuscendo allo stesso tempo a togliere la vita a uno dei musicisti più amati della storia e rendendone infinito il mito.
La storia della band
Alla fine degli anni '80 Kurt Cobain e Kris Novoselich, ispirati dai Melvins, tra gli altri, suonavano in piccoli locali con una trentina di persone ad applaudirne l'energia rock e i modi da rockstar, con gli strumenti distrutti a fine concerto. Da lì a poco quella band avrebbe pubblicato "Bleach" (1989) e in pochissimo tempo – un tempo molto breve perché si possa costruire un mito attorno ad una band – riuscirono a imporsi come una delle band simbolo della storia della musica, riuscendo là dove altri sono falliti e ben prima della morte violenta di Kurt. "Bleach" esce per la Sub Pop, etichetta che farà la storia della musica indipendente, ma non è l'album della svolta, anzi, Cobain pensa se mantenere in piedi la band o meno. Il quinto batterista della band è fatto fuori, il contratto con la Sub Pop viene stracciato, ma la band firma con la Geffen. Cobain decide che si può continuare e "Nevermind" è un fulmine a ciel sereno, per quel ragazzo dai capelli biondi, il viso angelico, i jeans e le camicie a quadri che diventerà divisa d'ordinanza del grunge. Cobain lotta contro un successo che lo soffoca giorno dopo giorno, è quasi ossessionato dalla morte, al punto che durante il live forse più famoso della band, l'Unplugged in New York di Mtv, disegna lui stesso la scenografia, come fosse la scena di un funerale.
"[Cobain] era uno che era ispirato dai Melvins ma ascoltava molto i Beatles – disse di lui Danny Goldberg, ex manager dei Nirvana -. Aveva questo doppio talento: un talento emozionale e un genio nello scrivere (…) Kurt era uno dei grandi del mestiere e oltre ad essere la voce degli adolescenti di tutti i tempi". Un talento è quello che i molti trovano in questo ragazzo che oggi riempie le camere e le magliette di mezzo mondo.
Nonostante l'iconografia del personaggio sia caratterizzata dal suo atteggiamento depressivo, in un'intervista data a Rolling Stone Usa poco prima di morire, Cobain risultava addirittura allegro, nonostante fosse reduce da un pessimo concerto: "Ci fosse stato un corso per imparare a fare la rockstar, mi ci sarei iscritto di corsa" disse, parlando della disperazione che ha dovuto affrontare a causa della fama improvvisa che lo portò ad abusare dell'eroina, "Leggo sulle riviste descrizioni tipo: ‘Kurt Cobain, quel piagnucolone lagnoso, nevrotico e stronzo, che odia tutto e tutti: le stelle del rock, la propria stessa esistenza'. Eppure non sono mai stato tanto felice in vita mia. Sono una persona molto più felice di quanto si pensi”.
Era il 27 gennaio del 1994 quando sulla rivista uscirono queste parole del cantante che da lì a poco prima tentò e/o minaccio varie volte il suicidio prima di riuscirci veramente.
La morte e le teorie cospirazioniste
Il corpo del cantante fu trovato dopo tre giorni dalla morte grazie a un elettricista che doveva fargli dei lavori a casa. Tre giorni in cui non si avevano notizie di Cobain che, come si scoprì, si era sparato. Un suicidio che per anni – e per alcuni tuttora – è stato avvolto nel mistero, nella dietrologia di chi non riusciva a capacitarsi della sua morte. Le tesi cospirazioniste si sono sprecate, al punto che quest'anno, con settimane di anticipo la polizia di Seattle ha ristudiato il caso – senza riaprirlo – permettendo all'investigatore Mike Ciesynski, addetto ai "cold case", di studiare degli elementi che in passato non erano stati ritenuti importanti (comprese delle foto inedite che la polizia ha rilasciato in parte). Ma per l'ennesima volta il responso è stato lo stesso: "Kurt Cobain si è ucciso. È stato un suicidio. Il caso è chiuso". È di ieri la notizia, però, che uno di quelli che reputano la morte del cantante per nulla chiara ha denunciato la Polizia di Seattle.
L'Italia e il tentativo di suicidio a Roma
Poche settimane che il corpo fosse ritrovato, il 18 marzo, Cobain si chiuse in bagno minacciando di uccidersi, benché, all'arrivo delle forze dell'ordine avesse, poi, negato tutto. E nella cronaca delle crisi del cantante anche l'Italia ha il suo ruolo da protagonista. Cobain ha toccato Roma, per i suoi tour, tre volte durante la sua carriera. La prima fu nel 1989, quando la band venne a promuovere "Bleach" in Europa. Le cronache raccontano di un 22enne che si presenta al Piper di Roma dove suona subendo una serie enorme di problemi tecnici. I Nirvana sono un gruppo che comincia ad avere un seguito, ma non sono le star mondiali che diventeranno con "Nevermind". Come da copione spacca la chitarra, viene preso a brutte parole dal pubblico e minaccia di gettarsi dagli amplificatori. Insomma non è proprio quello che si definirebbe un concerto da ricordare, al punto che la crisi si fa ancora più acuta. La band resiste, pubblica il secondo album, e ritorna nella capitale il 19 novembre del 1991, ma questa volta va tutto liscio. È nel 1994 che le cose precipitano. I Nirvana ormai sono una delle grosse realtà della musica mondiale e suonano al Palaghiaccio di Marino dove eseguono i loro successi. Cobain decide di tornare a Roma pochi giorni dopo, per passare qualche giorno di vacanza assieme alla moglie Courtney Love e la figlia Frances Bean, di quasi 2 anni. La vacanza doveva essere di relax, ma in breve tempo rischia di risolversi in tragedia. Il 4 marzo la donna trova il marito a letto privo di sensi, in coma per overdose da psicofarmaci e champagne. Secondo la Love è un tentativo di suicidio che riuscirà ad attuare solo un mese più tardi.
Quello che resta, però, è la storia di un ragazzo schiacciato dal suo talento e dalla fama che quel talento gli aveva donato: potente sul palco e fragilissimo nel suo intimo, riuscito ad ascriversi nel mito della musica con soli tre album alle spalle.