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Italia da esportazione

La Sub Pop, storica etichetta americana che nel 1988 fece debuttare i Nirvana, ha accolto nella sua scuderia un gruppo italiano. Si chiama His Electro Blue Voice e, ascoltandolo, non si potrebbero mai capire le sue origini.
A cura di Federico Guglielmi
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His Electro Blue Voice
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Chiunque abbia frequentato anche di sfuggita il rock dell’ultimo quarto di secolo dovrebbe conoscere la Sub Pop Records, responsabile del lancio di band come Mudhoney, Soundgarden e soprattutto Nirvana. Quanti seguono con più attenzione le cronache musicali sanno invece come l’etichetta statunitense, spentasi l’eco del grunge, abbia proseguito per la sua strada, abbracciando molti altri generi musicali e divenendo una delle strutture-cardine, sul piano qualitativo e quantitativo, del giro indie mondiale: nello scorso aprile il catalogo ha raggiunto la millesima produzione e, insomma, è un traguardo da non sottovalutare.

Ai maniaci della musica, specie se “alternativa”, non sarà però sfuggito che il brano di apertura di “Sub Pop 1000”, l’album con cui la label di Seattle ha giustamente autocelebrato la propria storia, è di un gruppo italiano. Non il primo messo sotto contratto dalla (non più) piccola casa discografica, dato che nove anni fa tale onore toccò ai padovani Jennifer Gentle, ma ciò ha rilevanza solo per i cultori delle statistiche: la cosa importante è che sia accaduto e che da due settimane il glorioso logo sia impresso su “Ruthless Sperm”, esordio sulla lunga distanza dell’album per gli His Electro Blue Voice. Non si senta ignorante, chi magari di starà domandando “Chi?”: sebbene attivo da vari anni, il terzetto nato a Como non ha avuto grande visibilità e il suo nome è sempre stato propagandato con modalità carbonare, addirittura più all’estero che in patria. Colpa, per così dire, di un sound decisamente non allineato al gusto delle masse oltre che poco trendy, dei testi in inglese, del fatto che tutto il loro vecchio materiale – dal 2007 una mezza dozzina fra singoli ed EP, alcuni dei quali editi fuori dai nostri confini – è stato commercializzato solo in vinile, della riluttanza a coltivare le relazioni con l’ambiente. Sono significative, a tal proposito, le parole del cantante e chitarrista Francesco Mariani – al suo fianco, Claudia Manili al basso e Andrea Napoli alla batteria – in un’intervista rilasciata al sito americano di MTV: “La scena indie italiana non ha più nulla a che spartire con lo spirito originario: è solo moda, drink e una scusa in più per rimorchiare ragazze”. Difficile smentire, specie considerando gli artisti che vanno per la maggiore e non quelli, di norma più genuini, che si sbattono nel circuito underground e che da fighettismi, presenzialismi, leccaculismi e altri brutti “-ismi” si tengono saggiamente alla larga.

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Racchiuso in una copertina di bell’impatto raffigurante un’inquietante massa di spaghetti trattati con vernice spray, e disponibile in LP, CD e download, “Ruthless Sperm” non è di sicuro classificabile come pop. Le sue radici affondano nel post-punk, nel noise e nell’harcore versante emo, con le ritmiche marziali di scuola krautrock e la voce abrasiva a organizzare assalti quasi industrial e la chitarra a intessere trame talvolta imparentate con la psichedelia. In totale, trentatré minuti di atmosfere ricche di cupe e torbide suggestioni per sette tracce energiche e taglienti che solo in un’occasione – “Red Earth”, senza chitarra, posta in chiusura: la quiete dopo la tempesta – diluiscono la tensione in una litania rarefatta e liquidamente ipnotica. Viene da pensare ai Neurosis e all’intera tribù della Neurot Recordings, ma non abbastanza da alimentare fondate ipotesi di plagio; di ispirazione senza dubbio sì, ma da un pezzo il rock ricicla sfacciatamente se stesso e non ci si può meravigliare che dall’ibrido His Electro Blue Voice, apocalittico ma velato di malinconia, emergano anche richiami (involontari?) a venerati maestri come Killing Joke, Joy Division, Savage Republic o Fugazi, combinati in una sintesi che non si può definire rivoluzionaria ma che è certo dotata di notevole forza espressiva ed è sostenuta da una scrittura di alto livello. Se un giorno optassero per l’italiano, Francesco, Claudia e Andrea sarebbero perfetti per la To Lose La Track… ma sarebbe folle pensarci proprio ora che la Sub Pop sta provando ad aprirgli le porte del mondo.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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