Tre anni, un mese e undici giorni fa, La Famosa Etichetta Trovarobato di Bologna – una delle più brillanti realtà della discografia “alternativa” italiana – pubblicava “La macarena su Roma”, l’esordio di Iosonouncane: una “one man band” atipica nel cui stile convergono musica elettronica non troppo sofisticata e canzone d’autore sospesa fra impegno e ironia, il tutto impreziosito da un tocco di surrealtà. Accolto con entusiasmo dalla critica, come attestato dalla conquista della Targa PIMI come “album indipendente dell’anno”, il CD otteneva anche il plauso degli appassionati più ricettivi alle soluzioni non standardizzate, al punto di rendere l’oggi trentenne Jacopo Incani quasi una potenziale star. Secondo logica, il musicista sardo naturalizzato bolognese avrebbe dovuto battere il ferro finché era caldo, magari realizzando in fretta un sequel appena più accessibile. Invece, (frequenti) esibizioni a parte, Iosonouncane è stato silenzioso, concedendosi solo una cover di “Ciao amore ciao” per un tributo a Luigi Tenco e un nuovo brano, “Le sirene di luglio”, diffuso in Rete nell’estate del 2012. Quest’ultimo avrebbe dovuto essere il prologo del secondo disco, annunciato per l’inizio del 2013, e invece… “Invece”, ci ha raccontato Jacopo, “ho messo mano al materiale accumulato fra un concerto e l’altro nei due anni precedenti soltanto lo scorso autunno. Avevo tantissime bozze differenti – beat, frammenti complessi, passaggi armonici, frasi cantate, campionature sparse, singoli suoni – ho operato una cernita, ho trasformato alcune bozze in ‘canzoni’, ho elaborato l’architettura dell’album, ho scritto quel che mancava. In parallelo, ho portato avanti gli arrangiamenti, studiato la tavolozza sonora e inciso molte ore di musica ‘suonata’. Ora si aprirà la fase di chiusura, che riguarda principalmente il suono. Ho da sempre un’idea chiarissima di ciò che sto costruendo: il mio problema principale, avendo un’infinità di alternative, è il dover lavorare per sottrazione. So bene che tempistiche di questo genere sono controindicate in un’epoca in cui l’imperativo è mettere continuamente in circolazione roba da far ingerire e digerire in tempi brevissimi, ma sinceramente me ne frego, o cerco di farlo. Non vivo sulla luna e mi accorgo dell’attesa che c’è, ma io lavoro così: passo attraverso diverse stesure, perché fare un disco è passare attraverso un pezzo di vita”.
Fuori dagli schemi, d’accordo, ma non fuori dal mondo. Prima del ritorno sul mercato, Iosonouncane ha infatti concepito un mini-tour di sei tappe, battezzato “Tre” in quanto al suo fianco ci saranno due stimati colleghi quali Paolo Iocca (Boxeur The Coeur) all’elettronica e Simone Cavina (Junkfood) alle percussioni, senza dimenticare Bruno Germano al mixer: partenza il 12 dicembre dal Circolo degli Artisti di Roma e conclusione il 21 al Glue di Firenze, con in mezzo il TPO di Bologna (13), il Blah Blah di Torino (14), il 75beat di Milano (18) e il Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno (20). “Non sarà una nuova tournée del primo disco”, ha spiegato Jacopo, “né sarà una tournée col nuovo album in anteprima. Ci sarà materiale dall’uno e dall’altro, materiale mai eseguito dal vivo e spazi di improvvisazione. Più di un anno fa avevo deciso che avrei smesso con i concerti, definitivamente. In realtà sul palco sono a mio agio e, nonostante non ami la vita da tour, la voglia e il bisogno di tornare a suonare si sono rifatti vivi. Non ho pensato neanche per un istante di riprendere a suonare da solo – per me l’autarchia non è mai stata una meta ideologica, ma un mezzo, una necessità pratica – e ho quindi voluto coinvolgere due musicisti dai quali ho grandissima stima. Durante le prove ci stiamo divertendo da matti, saranno spettacoli importanti”.
Notevole curiosità, quindi, nonché parecchia fiducia per un’avventura che di sicuro si rivelerà ancora una volta inusuale e ricca di stimoli. Dalla sua, Jacopo ha la creatività (ha anche sonorizzato “Tomato Soap”, pièce del gruppo teatrale Manimotò che debutterà il 5 dicembre al Teatro Aurora di Marghera) e una sorta di disincanto che sembra renderlo impermeabile alle controindicazioni del “successo”. “La cosiddetta scena continua a non mi piacermi e non interessarmi”, ha risposto senza esitazioni a una nostra domanda sull’argomento. “A vederla dall’interno fa un po’ paura, una specie di vicinato abitato da comari d’un paesino che non brillano certo d’iniziativa, per dirla con Fabrizio De André. Ovviamente ci sono progetti che apprezzo e mi trascinano, più di recente Father Murphy e L'AMO, ma sono casi sporadici e spesso defilati. Della mia professione di musicista non saprei davvero dir nulla: allo stato attuale è qualcosa di non consolidato, in divenire sotto ogni profilo. Probabilmente ne saprò di più fra qualche anno, sorseggiando champagne fra i gorgoglii di una vasca idromassaggio. O zappando le cipolle per il fabbisogno”.