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Intervista a gaLoni: “Canto il paese guardandolo dai tetti”

Emanuele Galoni, in arte gaLoni, è un cantautore romano uscito il 20 marzo col secondo lavoro “Troppo bassi per i podi” in cui mescola folk e pop, facendo molta attenzione alle parole e alle immagini e condendo il tutto con un’ironia non banale.
A cura di Francesco Raiola
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Nel variegato mondo cantautorale che a ondate torna a rivivere i fasti del passato, quando la gente voleva ascoltare il racconto del nostro paese fatto da alcuni musicisti, si ascrive anche la vita artistica di gaLoni. Ma non diteglielo, perché vi risponderà che "Per quanto mi riguarda non avuto mai la presunzione di ritenermi tale, è un appellativo che col passare del tempo ti viene attribuito da altri alla luce delle cose che hai scritto. Sicuramente c’è l’urgente il bisogno di raccontare questa realtà" come ha fatto rispondendo alle nostre domande. Emanuele Galoni, in arte gaLoni, appunto, è uscito il 20 marzo scorso con il suo secondo album "Troppo bassi per i podi", seguito di "Greenwich", in cui continua il suo racconto della quotidianità con la prospettiva di chi è sui tetti ad osservare quello che avviene sotto di lui; un'evoluzione rispetto al precedente: "Non c’è più una rabbia di fondo nel dire certe cose della nostra società ma bensì una comprensione della stessa. Dunque viene meno la presunzione di cambiare la realtà delle cose mentre si matura la consapevolezza di poter cambiare se stessi per meglio rapportarsi a questo tipo di mondo di abbiamo costruito". Il cantautore romano  gioca con le parole mescolando folk e pop, lavorando per accostamenti di immagini e condendo tutto con un'ironia mai banale.

“Troppo bassi per i podi” è il verso di un pezzo: “Ballata sulla gru” (che mi ricorda tantissimo i Nomadi), ma preso da solo, come titolo dell'album sembrerebbe una dichiarazione di sconfitta (del tipo: non ci arriveremo mai ai podi). Invece? Cosa sono i podi?

Non è una sconfitta ma bensì una vittoria. Nel senso che non avremo più bisogno di podi dopo aver scoperto altezze diverse e più vere, sulle quali non troveremo metalli pregiati. Ecco, i podi non sono più l’obiettivo prioritario delle nostre carriere, dei nostri progetti. Quei podi che abbiamo voluto costruire come traguardi per le nostre vite in realtà sono i punti più bassi da cui osservare il mondo, a differenza di altre altezze che non abbiamo il coraggio di esplorare e da cui possiamo vedere i nostri passi verso il futuro con più ottimismo.

Nelle tue canzoni lavori molto sulle parole e sull'accostamento di immagini. Esistono priorità tra parole e musica? Come nascono le tue canzoni?

Preferisco la scrittura metaforica a quella descrittiva, cerco di ricreare narrazioni che hanno un qualcosa di visionario, concettuale e che possono avere vagamente un effetto di straniamento in chi le ascolta. Non c’è un modo preciso di scrivere, almeno nel mio caso. Cerco di stare attento ad ogni parola che scrivo perché anche una congiunzione o una preposizione articolata può fare la differenza. Spesso vengono fuori già pronte, altre hanno bisogno di tempo prima che mi soddisfino, altre invece hanno bisogno di essere sistemate o adattate musicalmente quindi mi affido alla produzione artistica di Emanuele Colandrea mio collaboratore ormai da tre anni.

Spesso il genere diventa una gabbia: “cantautorato”. Però ultimamente c'è una riscoperta di quello che è stato uno dei cavalli di battaglia della musica italiana. Cosa vuol dire oggi essere un cantautore?

Nella storia ognuno è stato cantautore a suo modo, il cantautorato ricopre una spazio talmente vasto che è quasi impossibile dare ad esso una definizione. Per quanto mi riguarda non avuto mai la presunzione di ritenermi tale, è un appellativo che col passare del tempo ti viene attribuito da altri alla luce delle cose che hai scritto. Sicuramente c’è l’urgente il bisogno di raccontare questa realtà, questa generazione, e chi riesce a farlo meglio con naturalezza senza “monete false nelle borse degli occhi” citando Dylan Thomas, non avrà problemi ad essere definito un cantautore.

Questo secondo lavoro – come anche il primo – è un album molto politico, nel senso ampio del termine. Qual è la differenza tra lo sguardo di oggi e quello di due anni fa?

Questo album segue la strada tracciata da “Greenwich”, il mio primo album. Le tematiche non sono cambiate ma forse il modo di raccontarle sì. Non c’è più una rabbia di fondo nel dire certe cose della nostra società ma bensì una comprensione della stessa. Dunque viene meno la presunzione di cambiare la realtà delle cose mentre si matura la consapevolezza di poter cambiare se stessi per meglio rapportarsi a questo tipo di mondo di abbiamo costruito. Ecco perché mi piace dire che in questo disco ci sono storie reali, quotidiane, ma con dei personaggi che camminano sui tetti, a metà strada tra l’asfalto e l’instabilità che esso incarna, e un’altezza irreale su cui poter spendere ancora del tempo a studiare i trucchi del volo e sperare in una condizione sociale migliore.

Onestamente, qual è il traguardo che ti renderebbe soddisfatto alla fine del percorso di quest'album?

Che questo disco non venga ascoltato da più gente possibile ma sia arrivato a più gente possibile.

La musica che fai, le canzoni che scrivi, potrebbero tranquillamente ascriversi a un filone commerciale, che affonda le radici, appunto, nella tradizione, eppure navighi ancora nel mondo indipendente. Qual è il limite oltre il quale non andresti per “la fama”. 

Non so ancora cosa significhi mondo indipendente. Ho l’impressione che ormai con il web si arrivi subito ad una mole impressionante di ascoltatori. Quindi credo che col tempo anche l’ascolto si stia democratizzando. La gente cerca, scopre, ascolta, anche se è normale che ci sia certa comunicazione militarizzata a favore di progetti che si ritengono più interessanti. Io continuo a scrivere canzoni sempre con naturalezza e spero con autenticità, anche perché diversamente non saprei fare, poi decidete voi in quale filone io debba stare. Se la fama è salire sul podio preferisco rimanere sui tetti.

Sanremo potrebbe essere un palco su cui poter vedere gaLoni?

Non c’ho mai pensato, mi sembra una cosa talmente lontana.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Non c’è un autore italiano che ho seguito in prevalenza. Potrei dire i soliti noti e poi metterci del cantautorato folk d’oltreoceano. Tuttavia in questi ultimi anni, tra le mie ispirazioni voglio metterci dei libri, alcune personaggi che nulla hanno che vedere con la musica, ci metto notizie, ritagli di giornali, chiacchiericci di passanti che riempiono le strade, i bar, i treni e le metropolitane. C’è gente in giro che dice cose interessanti e non sa che è stata spunto per le mie canzoni.

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