14 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Il ritorno rap di Deda: “Non voglio farmi influenzare dalle dinamiche dello streaming”

Si chiama House Party l’album che segna il ritorno da producer di Deda, che coi Sangue Misto ha scritto una delle pagine più importanti del rap italiano.
A cura di Francesco Raiola
14 CONDIVISIONI
Immagine

Per anni in molti si sono chiesti quanto tempo avremmo dovuto aspettare per tornare a vedere Deda nei panni di produttore di musica rap. Lui che è stato autore dell'album simbolo del rap italiano anni '90, ovvero quel SXM dei Sangue Misto (con lui Neffa e Dj Gruff), lavoro che per una serie di cause contingenti non ebbe una diffusione capillare inizialmente per divenire, col tempo un must, il disco che rappresenta meglio di tutti l'hip hop anni '90 (Deda è anche la mano dietro la strumentale di "Aspettando il sole"). E pur non asciando mai la scena, Deda è rimasto attivo con progetti più laterali rispetto al rap (il principale è il progetto Katzuma), prima di tornare con Frah Quintale e capire che c'era voglia e margine per dare vita a un producer album. E così è uscito House Party, un album che unisce il suo sound cercando di attualizzarlo, ma senza scimmiottare la nuova scena. Per farlo ha chiesto a un po' di artisti di accompagnarlo e così in questo album di debutto (sic) troviamo oltre a Neffa anche Fabri Fibra, Coma_Cose, Davide Shorty, Danno, Emis Killa, Ensi, Frah Quintale, Gemitaiz, Ghemon, Inoki, Jake La Furia, Salmo, Mistaman, Al Castellana e Sean Martin.

Non so se possiamo parlare realmente di ritorno, alla fine non sei mai andato via, ma è comunque un ritorno all'hip hop. Sentivi pressione?

All'inizio no, non l'ho vissuta con ansia, perché in maniera un po' ingenua mi sembrava un percorso naturale che sto cercando di raccontare. Però, ovviamente, vedo che da fuori è percepita molto questa cosa, ed è anche un po' naturale. Sono tornato a produrre per un genere musicale che avevo lasciato da parte per tanti anni e notavo che dopo 35 anni più o meno di carriera, questo è il primo disco che esce a nome mio.

L'altro giorno guardavo i commenti al video YouTube de La calma e c'era un affetto enorme e la richiesta di un album a nome tuo…

Sì è vero, ricordo di aver letto qualcosa. Ti dico la verità, cerco di non leggere i commenti perché ho sempre un po' paura, ma in quell'occasione – anche perché era una delle prime cose che facevo in quel senso – ricordo di averlo fatto e mi ha fatto anche piacere perché a volte la mia figura come produttore viene un po' dimenticata rispetto a quella di rapper; sai, il produttore rimane sempre un po' nelle retrovie. Se guardi alla mia carriera, però, è la cosa principale che ho fatto e che continuo a fare, quindi il fatto che la gente si aspettasse qualcosa in tal senso era molto in sintonia con quello che sentivo io.

Quando hai deciso che era il momento di tornare con questo progetto?

Nel periodo in cui ho collaborato con Frah la prima volta ha iniziato a prendere forma l'idea, proprio perché la cosa era andata bene, era stato divertente e dopo tanti anni che facevo musica strumentale, collaborare con una persona al microfono mi aveva stimolato. Poi negli ultimi due anni, più o meno, ci ho lavorato materialmente. È stato un processo un po' lungo, per vari motivi, il primo tra tutti è proprio che il producer album, come progetto, richiede tempi un po' dilatati per forza di cose.

Si sente molto la voglia oltre che di affermare ciò che è stato, di metterti proprio in gioco.

Proprio in quel periodo ho pensato che le cose che stavo producendo potevano essere adatte a questo mondo che nel frattempo era cambiato tanto, quindi è stato un po' come ritrovarsi dopo tanti anni, sebbene entrambi diversi da quelli che eravamo prima. Era interessante mettersi in gioco in quel senso, perché comunque avevo ferma nella mia mente l'idea di produrre un disco che mi rappresentasse e che rappresentasse anche tutto il mio percorso degli ultimi vent'anni. Ed ero convinto che ce ne fosse la possibilità, vedendo anche come molti tra gli artisti italiani avevano raggiunto una maturità, una consapevolezza che gli permetteva anche di sperimentare in direzioni a volte anche inaspettate, mi sembrava proprio che fosse abbastanza automatico farlo, a quel punto.

Ne hai parlato anche con Danno dei ritorni dopo tanti anni, visto che col Colle ne sanno qualcosa?

Certamente, però per quel che riguarda Danno non parlerei di un ritorno, lui è sempre rimasto attivo, se non con la produzione dei Colle, comunque coi live, con le varie collaborazioni che fa, però sì, se noti nel disco ci sono una serie di amici che ho voluto coinvolgere proprio perché avevamo condiviso tanto nel corso di tutti questi anni e mi sembrava abbastanza naturale anche averli con me in quest'album.

In un mondo che ha bisogno sempre di stream, si sente che è un album che cerca la voce e l'attitudine giusta, senza la ricerca del giovane per fare numeri…

Non era proprio il mio caso, la prerogativa di questo progetto è che mi rappresentasse, che quindi anche dal punto di vista degli ospiti ci fosse in qualche modo un legame che se non era quello di amicizia, fosse comunque quello di una stima reciproca o di un background comune. Questo non toglie il fatto che a me il mondo dei giovanissimi piace tanto, mi incuriosisce ed è anche roba che ascolto volentieri, però per il mio disco non mi sembrava nelle mie corde muovermi in quei territori.

A proposito di ascolti, che tipo di ricerca hai fatto in questi anni?

Uno degli aspetti fondamentali di questo album è che è suonato, non è più basato sui sample, che era il metodo di produzione che avevo utilizzato per tanti anni. Nel frattempo ho iniziato a collaborare con dei musicisti, ho iniziato a studiare un po' di teoria musicale, insomma un po' di armonia e con un po' di anni e un po' di pratica sono riuscito a far fruttare tutti questi studi. Poi, insomma, mi vergogno sempre un po' a dirlo, perché io collaboro con gente che fa il Conservatorio e loro sono veramente persone che studiano lo strumento, però per me è stato importante imparare il linguaggio della musica in quel senso, perché mi ha permesso di creare questi scenari musicali con più facilità. Il fatto di parlare bene quel linguaggio è semplicemente un modo di accorciare il più possibile il tragitto tra l'idea e la realizzazione finale della cosa, essendo anche un disco molto vario e, come ti dicevo, un disco che per me era importante che non fosse solo rap, ma che avesse una componente anche soul, cantata. Avere queste conoscenze mi ha aiutato tanto, era importante per me che avesse la continuità di cui ti parlavo.

Le collaborazioni (Ghemon, David Shorty, lo stesso Frah Quintale, Neffa) danno questa idea. Il fatto che in questi ultimi anni ci siano stati un fiorire di album di producer ti ha dato una spinta ulteriore?

Certo, oltretutto un paio di questi episodi mi hanno colpito anche proprio dal punto di vista della qualità.

Tipo?

Il disco di Mace, per esempio, è molto bello. Ciò non toglie che la figura del producer, pure in Italia, ha avuto momenti rilevanti anche nel passato. Episodi del genere erano già esistiti negli anni '90, penso al disco di Fritz da Cat, "Novecinquanta", a DJ Sciocca, insomma l'idea del producer album esiste da tanto nella cultura un po' urban e un po' hip hop, proprio perché la figura del produttore è quella che plasma l'immaginario musicale di tutta la faccenda.

Però è cambiata la percezione, no?

Sì, esattamente, è un po' anche il concept dell'album: la copertina stessa è un po' un tributo alla figura del producer che in qualche modo, da solo col computer, crea questi mondi che in realtà sembrano affollatissimi di musicisti e dà anche il contrasto col titolo, House Party, visto che in copertina vedi una stanza vuota con solo un computer. È un po' un tributo alla figura del producer e anche del dj.

Anche ai testi hai messo mano tu? Come avete collaborato con gli altri musicisti?

Nel momento in cui inviti un artista a collaborare un po' lo conosci, ti piace e quindi ti ci affidi, nel rispetto della sua sensibilità, di quello che ha voglia di dire. Quello che io ho fatto è stato cercare di creare delle basi ogni volta adatte alla persona a cui le proponevo, senza assecondare troppo quello che magari avevano già fatto. Cercando anche di ottenere dei risultati un po' diversi da quello che solitamente facevano, cercando, però, allo stesso tempo, di essere molto attento a proporgli cose adatte. Dal punto di vista dei testi, invece, mi sono fidato ciecamente, penso che sia giusto così.

Anche tu gli streaming non li conti, come dice Fibra nel pezzo? Che aspettative e rapporto hai di confronto con questo mercato?

Questo è il mio primo progetto che può avere degli stream da contare perché le cose che ho fatto negli ultimi anni erano pensate più per un mondo diverso, e i risultati si basavano su altri parametri. Ovviamente cerco di stare un po' fuori da queste dinamiche perché sono convinto che poi, insomma, possano anche falsare l'entusiasmo e la creatività. Non credo che la qualità della musica sia sempre rispecchiata nel numero degli streaming: a volte succede, a volte no. Diciamo che butto un occhio, ma cerco di non farmi influenzare troppo. Poi, insomma, per ora le cose stanno andando anche bene.

SXM è diventato un cult, non posso non chiederti come mai, secondo te.

Credo che una componente sia stata il fatto che è stato un disco realizzato in un momento in cui non c'era quasi nulla, per cui tutto era una novità, tutto era abbastanza pionieristico. Sicuramente abbiamo azzeccato un paio di formule che in qualche modo hanno risuonato: penso soprattutto al linguaggio, al modo di trattare anche certi temi. Era un un linguaggio molto personale, quasi un codice che funzionava tra di noi e che aveva anche il fascino di essere non del tutto comprensibile, come ogni codice che si rispetti, quindi il fatto che abbia risuonato così tanto con persone che erano al di fuori della nostra cerchia, ovviamente ci ha stupito. Penso che questa sia una componente.

Le altre?

C'è un aspetto musicale, probabilmente, che lo rende ancora oggi interessante all'ascolto. Poi ci aggiungo il fatto che in realtà è un disco che è diventato culto nel corso del tempo e che invece quando è uscito ha avuto dei risultati non giganteschi, quindi è sempre stato un po' avvolto da un'aura di mistero, anche perché per molto tempo non è stato recuperabile tanto facilmente. Le copie fisiche sono sempre state poche, oggi viene venduto a delle cifre stupide e quindi una componente di tutte queste cose che ti ho detto l'hanno reso quello che è. Penso anche che sia stata una stagione, quella del culto di SXM, che giustamente sta anche un po' finendo.

È interessante la questione sul linguaggio perché lo lega, in qualche modo, anche al rap attuale che, piaccia o meno, fa ricerca sul linguaggio.

È una prerogativa del rap da sempre, non l'abbiamo certo inventata noi. Quando prima ho detto quello che ho detto e che noi probabilmente abbiamo azzeccato una formula che funzionava, ma l'idea di fare rap utilizzando lo slang è intrinseca al rap, da sempre. Anche l'idea del codice e del linguaggio che serve anche a non farsi capire dall'esterno, che si autoprotegge fa parte del rap e non a caso il modo che usa thasup di scrivere i titoli nasce da un linguaggio che si chiama leet, che è il linguaggio che usavano gli hacker e i programmatori di computer nei primi anni 90 per non farsi sgamare nelle varie chat quando si scambiavano i software pirata o cose simili, o comunque per tenere la gente al di fuori, nasce tutto da questi metodi di inventare un linguaggio nuovo, all'inizio per capirsi solo tra amici ma che poi diventa utilizzato da tutti.

Ci hai preso gusto? Possiamo aspettarci un continuo?

Sì, ci ho preso gusto, ci sono altri artisti con cui mi piacerebbe lavorare, quindi spero di mantenere l'entusiasmo alto e continuare anche in questa direzione. tenendo comunque attivi tutti gli altri progetti.

14 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views