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Il regalo per Pino Daniele? Continuare a far suonare la sua musica per le strade

Oggi, 19 marzo, Pino Daniele avrebbe compiuto 60 anni. L’artista napoletano, scomparso lo scorso gennaio, vive ancora con la sua musica tra le strade della città che ha cantato.
A cura di Francesco Raiola
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Nei vicoli di Napoli, ancora oggi, si mescolano Mario Merola e Elvis Priesley, il nuovo neomelodico e Mina. Ci si sveglia e si cresce con le orecchie piene dei suoni più diversi, dove la lingua napoletana si mescola agli anglismi, cantiamo, tra il serio e il faceto, i nuovi cantanti popolari napoletani, rimettiamo questo peccato mescolandoli con ascolti alti. Succedeva anche 40 anni fa, lo raccontava anche Pino Daniele, quando in un'intervista spiegò come nacque quella sua voglia di fondere musiche e linguaggi, diventando uno dei maggiori esponenti italiani della fusion. Lui che era un bluesman e che ha conquistato l'Italia con il pop, ponendo le basi con un sound che univa lo swing, il blues, il rock e la world music, cantando rigorosamente in napoletano, sia nel lemma che nell'atteggiamento.

"Io sono nato con mio papà che ascoltava Glenn Miller, il boogie-woogie e la musica napoletana; io ascoltavo Elvis. Quello sotto casa mia teneva tutti i dischi di Elvis Priesley e me lo faceva ascoltare. Dall'altra parte c'era quello che metteva Mario Merola e mi faceva ascoltare ‘O Zappatore. Quindi tra ‘O Zappatore e King Creole di Elvis, le due orecchie si sono fuse e ne è uscito qualcosa che non si sa bene cos'è", disse in un'intervista a Ciao2001. Ora sappiamo bene cos'è, ce lo siamo detti in questi decenni e ce lo siamo confermati in quei giorni di dolore che seguirono la sua morte. Che Pino Daniele fosse Napoli, parte integrante del racconto della città è una dato di fatto indiscutibile e il fatto che a Napoli non vivesse più da tempo non leva nulla alla sua importanza. La differenza con la strada che ricorda Daniele è che oggi è la sua voce a percorrere in lungo e in largo le strade di Napoli. Zio Pino, come lo chiamano tutti i musicisti che vi si sono ispirati, è stato un padre, era uno dei migliori della sua generazione e lo sapeva bene, come lo sapevano tutti quelli che hanno avuto la fortuna di accompagnare i suoi primi passi in un periodo storico in cui Napoli si stava riprendendo una fetta di cultura musicale che da sempre la caratterizzava. C'erano i Zezi, c'erano i Napoli Centrale, gli Showmen del "nero a metà" Mario Musella, ispirazione per Pino che gli dedicò il titolo di un album, a plasmare quel nuovo sound partenopeo che si apriva al mondo senza rinnegare la propria tradizione, ma fu zio Pino, il suo concetto di fusion, a dare la spinta definitiva a che Napoli tornasse al centro del discorso musicale.

Quello che il bluesman ha portato avanti era un racconto che di oleografico non aveva nulla, un racconto che pregno di odori e immagini di una Napoli che oggi è diventata (suo malgrado?) cartolina, ma all'epoca era denuncia e impegno. Due mesi fa erano decine di migliaia le persone che si riunirono in Piazza del Plebiscito, luogo simbolo della città, per ricordarlo e cantarlo, unendosi in quel canto che unisce tutti, che descrive Napoli usando immagini comuni che non scadono nella retorica e altrettante saranno quelle che ripeteranno il rito durante il flashmob organizzato per ricordarlo. Bastava poco a passare quella linea e perdersi nella retorica, ma Pino è riuscito sempre a tenersene a distanza, raccontando i vic' ‘e ‘sta città, la tazzulella ‘e cafè, la terra sua, senza perdersi. Poi a un certo punto ha scelto di esplorare nuove strade, più pop, più nazional popolare lo ha definito qualcuno. Nella vita si cresce e si fanno scelte e lui ha deciso di farle, senza rinnegare nulla ma cominciando a prediligere l'italiano e suoni più radiofonici. Aveva consegnato, ormai, all'Italia un sound partenopeo apprezzato anche all'estero. Daniele, infatti, come ormai sanno anche i sassi, nella sua carriera ha collaborato coi più grandi e alla sua morte da loro è stato ricordato: c'era Eric Clapton, uno dei suoi miti, che ha voluto ricordarlo il giorno della sua morte ("Ci mancherai"), ma anche Chick Corea (da cui nasce "Sicily", suo pezzo strumentale che Daniele ha trasformato in uno dei suoi pezzi più amati), o Wayne Shorter, ma sono tantissimi quelli ne avevano ispirato gli inizi e con cui, col tempo, ha imparato a farsi apprezzare.

Zio Pino, assieme a quella generazione irripetibile di musicisti (da James Senese a Tony Esposito, passando per Tullio De Piscopo etc) ha creato le basi di un nuovo sound partenopeo, che negli anni ha ispirato intere generazioni di giovani musicisti napoletani. Ragazzi che hanno scelto il folk, il reggae, il pop, l'hip hop ma che da bambini ascoltavano lui. Perché è difficile essere napoletano e non essere cresciuto con Pino nelle orecchie, è quasi impossibile non avere un suo pezzo stampato a memoria in testa. È facile dirlo oggi, certo, oggi che non c'è più, ma è così. Si possono criticare, c'è chi l'ha fatto, le sue ultime cose, quella svolta "mainstream", pop, ma chi ha fatto la storia lascia sempre un fianco scoperto ai detrattori.

In questi mesi, chi legge i giornali avrà letto soprattutto di eredità, guerre più o meno acclamate tra familiari, autopsie. Chi cammina per Napoli, però, e ne percorre strade e arterie si sarà soprattutto reso conto di quanto ormai Daniele, oggi più che mai, sia diventato una colonna sonora costante nella quotidianità partenopea, un flusso costante di note che ripercorrono la sua carriera e la nostra vita. Pino Daniele oggi avrebbe compiuto 60 anni, e commemorazioni a parte, l'unico regalo che possiamo fargli, oggi e sempre, è conservare il godimento che chi lo ha amato prova ogni volta che lo ascolta e lo fa ascoltare.

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