Anche se è molto probabile che il futuro gli riserverà ancor più grandi soddisfazioni, sarà molto difficile che Riccardo Sinigallia possa dimenticare il suo folgorante 2014. Un anno inaugurato dalla prima partecipazione al Festival di Sanremo, rivelatasi fortunatissima a dispetto della squalifica a causa di un'infrazione al regolamento (il pezzo presentato, “Prima di andare via”, era stato eseguito una volta dal vivo, benché per pochi intimi), e segnato da un'intensa attività sul palco e dai notevoli consensi raccolti dal terzo album “Per tutti”, edito a febbraio con il marchio Sugar; consensi nient'affatto fugaci, come testimoniano i piazzamenti nelle classifiche annuali delle riviste di musica – è stato il titolo italiano più votato dagli staff di “Blow Up” e “Rumore” – e il premio ufficiale assegnatogli dalla giuria del PIMI per il miglior disco indipendente della stagione 2013/14. Fosse entrato pure nella rosa dei finalisti del Tenco, per il quarantaquattrenne musicista romano il trionfo sarebbe stato assoluto, ma va lo stesso bene; i passi compiuti sono ugualmente decisivi per ottenere quanto gli spetterebbe di diritto, in termini di visibilità e considerazione, ovvero il ruolo di primo piano nell'ambito della nostra canzone d'autore finora negatogli non solo da qualche contingenza sfavorevole ma anche da una certa ritrosia al protagonismo. Atteggiamento imperdonabile, in giorni in cui chiunque è disposto a qualsiasi cosa pur di conquistare un minimo di spazio sotto i riflettori.
“Quella di ìnascondermi' era una caratteristica in linea con il mio carattere, che molte persone a me vicine contestavano perché la reputavano autolesionistica”, mi ha detto Riccardo qualche mese fa. “A un certo punto mi è venuto il dubbio che potevano avere ragione, e da lì è nata la voglia, ma è meglio dire l'esigenza, di affrontare l‘ambiente in maniera diversa. Mi sono dovuto fare coraggio per vincere le mie remore, ma poi sono stato felice di essermi potuto mettere in gioco, con la coerenza di sempre”. A chi dovesse ritenere tutto questo clamore un po' eccessivo, sarà magari il caso ricordare che Sinigallia non è il solito emergente di belle speranze, bensì una sorta di Re Mida della scena nazionale a metà strada fra musica “alta” e pop. Senza scendere nei dettagli di un quarto di secolo di biografia professionale, mi limiterò a citare la produzione di Niccolò Fabi e Max Gazzè nel periodo cruciale dei loro esordi, la firma da lui apposta su brani famosi come "Vento d'estate", "Cara Valentina" o "Lasciarsi un giorno a Roma" e l'invenzione del sound con cui i Tiromancino – dei quali il Nostro, ai tempi de “La descrizione di un attimo”, era alter ego creativo-compositivo di Federico Zampaglione – divennero la band di successo che sono tuttora. E poi, ovvio, gli altri lavori solistici: “Riccardo Sinigallia” del 2003, all'insegna di un intimismo un po' cupo, e il più estroverso “Incontri a metà strada” del 2006. Splendidi ma purtroppo relativamente oscuri, magari perché scambiati per “capricci” di uno che in realtà faceva un altro mestiere. Nulla di più errato.
“L'identità di produttore e ‘manipolatore‘ di suoni ha messo in ombra la mia vera passione, quella per le parole. Scrivevo già da ragazzino, persino prima di prendere in mano una chitarra. Per me il testo è centrale: non a caso, benché io possa tradurla e capirla, ho abbandonato o quasi la musica angloamericana a favore di quella italiana. Tutte le attività che svolgo in parallelo alla mia musica, che per comodità definiamo cantautorale, sono fatte per necessità, curiosità o divertimento. Illo tempore ho cominciato a produrre perché capivo che portare avanti il mio progetto era complicato. Realizzare dischi è impegnativo, e se dopo averli realizzati nessuno se ne interessa, è quasi inevitabile smettere. Credo di essere stato abbastanza intelligente da rendermi conto, in questo senso, della mia fragilità, del mio non essere pronto a mettermi sul mercato”. Nel 2014, però, Riccardo Sinigallia si è “messo sul mercato” nel miglior modo possibile, con un album dove le trame elettroacustiche si legano a meraviglia a quelle elettroniche e dove ciascuno dei nove episodi parla il linguaggio dell'intensità, dell'emozione, della bellezza. Non è possibile stilare graduatorie, ma dovendone evidenziare uno solo opterei per la title track, definita dal suo autore “uno sfogo nei confronti degli organi di mediazione, chiamiamoli così, tra chi fa musica e il pubblico, ma anche un attestato di fiducia nella possibilità che do a me stesso e a tutti coloro – tanti – che hanno subito e subiscono l‘indifferenza delle strutture discografiche e di comunicazione. Strutture che per operare delle scelte si sono concentrate su numeri, immagine e gossip invece che sulle questioni culturali e artistiche. In ogni caso, la colpa di questa situazione non è solo delle major e dei media: tutti i miei colleghi che hanno avallato questi meccanismi sono corresponsabili”. Applausi a scena aperta. E buon natale, con Riccardo Sinigallia.