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Il Fabrizio De André ancora “negato” a 17 anni dalla morte

Diciassette anni or sono, proprio l’11 gennaio, un autentico monumento della nostra canzone d’autore ci lasciava appena cinquantottenne. Ovviamente nessuno lo dimentica, ma parte della sua opera continua purtroppo a essere “maltrattata”.
A cura di Federico Guglielmi
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Come tutti ben sanno, la carriera discografica di Fabrizio De André non è cominciata con la pubblicazione su Bluebell Records, nel 1967, dell’album “Volume I”. Fra il 1961 e il 1966, il cantautore genovese aveva infatti realizzato dieci 45 giri per la piccola Karim: venti facciate per un totale di diciotto titoli, ma con due di essi proposti in versioni diverse. Brani per lo più famosi, perché in massima parte raccolti in alcuni 33 giri antologici fra il 1966 e i primi ‘80, ma soprattutto perché tredici di essi vennero reincisi dall’autore per i suoi 33 giri ufficiali: uno in “Volume I” (“Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”), sei in “Volume III” del 1968 (“La ballata del Miché”, La guerra di Piero”, “La canzone di Marinella”, “Il testamento”, “La ballata dell’eroe” e “Amore che vieni, amore che vai”) e sei in “Canzoni” del 1974 (“La città vecchia”, “La ballata dell’amore cieco”, “La canzone dell’amore perduto”, “Fila la lana”, “Delitto di paese” e “Valzer per un amore”). Gli ultimi cinque, ovvero “Nuvole barocche”, “E fu la notte”, “Il fannullone”, “Per i tuoi larghi occhi” e “Geordie”, non furono invece mai ripresi, quantomeno in studio. Per quanto concerne il formato CD, i diciotto pezzi uscirono prima in “Il viaggio” (un Philips del 1991), poi in “La canzone di Marinella” (Replay Music, 1995), ma senza “Delitto di paese” e “Geordie”, e infine in “Peccati di gioventù” (Universal, 2000; mancano però “E fu la notte” e “Nuvole barocche”). Di questi compact, solo l’ultimo è ancora in catalogo, ma è comunque un “incompleto”; le ragioni per le quali non sia mai stata confezionata una integrale, comprendente anche le registrazioni de “La ballata dell’eroe” e “La ballata del Michè” edite sul secondo singolo del 1961 e differenti dalle successive del 1964 e del 1963, rimane un mistero. Non può attribuirsi all’eventuale smarrimento dei nastri (nel caso, per quanto finora non digitalizzato, si potrebbero chiedere i vinili a un collezionista e restaurare da lì), né può dipendere dai diritti, visto che appartengono tutti alla Universal. È allora una questione di volontà? “Non capisco ma mi adeguo”, per citare il vecchio Maurizio Ferrini.

Le fissazioni da completista non c’entrano: riunire questo materiale in un unico supporto è un obbligo nei confronti della Storia. A dirla tutta, sarebbe inoltre da recuperare la primissima “La città vecchia”, indicativa di un approccio più esplicito e sboccato: De André vi canta “quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia / quella che di notte stabilisce il prezzo alla tua gioia”: dunque, “specie di troia” e non “pubblica moglie” e, per esigenze di rima, “alla tua gioia” e non “alle tue voglie”. Quella di alcuni pezzi – gli stessi pezzi – che presentano discrepanze più o meno sensibili da disco a disco non è tuttavia un’esclusiva del periodo Karim, ma riguarda pure gli anni della Bluebell e della Produttori Associati. Senza inoltrarsi nel ginepraio degli arrangiamenti cambiati o dei remix, e limitandosi alle modifiche di testo, le curiosità non difettano. Esistono, ad esempio, due “Bocca di rosa”: nella più “sommersa”, il primo dei paesini visitati dalla protagonista non è Sant’Ilario bensì San Vicario, mentre l’irridente “Spesso gli sbirri e i carabinieri / al proprio dovere vengono meno / ma non quando sono in alta uniforme / e l’accompagnarono al primo treno” è trasformato in “Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri / ma quella volta a prendere il treno l’accompagnaron malvolentieri”, cioè come l’artista aveva preso, sembra su cortese richiesta dell’Arma, a eseguirla dal vivo. Persino più eclatante è il caso di “Giovanna d’Arco”, adattamento italiano di “Joan Of Arc” di Leonard Cohen, che nel 45 giri commercializzato nel 1972 (e quindi due anni prima di “Canzoni”, per il quale fu rielaborato), si conclude con una strofa in più: “Ho visto la smorfia del suo dolore / Ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante / anche io vorrei luce e amore / ma se arriva deve essere sempre così crudele e accecante”. E la celebre “Caro amore”, apparsa nel 1967 su singolo e solo nelle stampe iniziali di “Volume I” e in seguito cassata perché Joacquin Rodrigo non aveva gradito i versi inseriti sulla musica del “Concierto de Aranjuez”? Quasi mezzo secolo dopo, e con entrambi gli autori scomparsi, non sarebbe opportuno restituirla al mondo? E infine, perché non estrarre dalla cassaforte la versione in inglese – mai diffusa sul mercato – di “Tutti morimmo a stento”, che sarà magari discutibile a livello di pronuncia ma è senza dubbio una testimonianza cruciale?

Pensate un po’: mentre all’estero non hanno avuto problemi ad assemblare un cofanetto di diciotto CD sulle session del 1965/66 di Bob Dylan, con un dischetto interamente dedicato a “Like A Rolling Stone”, in Italia si preferisce che, per fruire di musica a suo tempo pubblicata, gli appassionati si affidino ai file di qualità per lo più pietosa reperibili su YouTube. È tristemente noto come da noi si sia bravissimi a sminuire – se non addirittura a oltraggiare – la cultura e l’arte che dovremmo proteggere ed esaltare, ma di fronte a certi atteggiamenti, che non si sa bene come definire e meno che mai si riescono a capire, c’è da rimanere basiti. Ancor più considerando che anni fa, per diffondere la conoscenza dell’opera di Fabrizio De André e salvaguardarne lo spirito, è stata istituita la Fondazione a lui intitolata; nel sito sono menzionati un Presidente, un Vice Presidente, cinque consiglieri e ben dieci membri del comitato direttivo, e che in diciassette non abbiano ancora disposto l’organizzazione davvero razionale di una discografia di studio frastagliata ma in fondo nemmeno estesissima (si veda, a tale proposito, il box dello scorso novembre)… beh, sì, indigna.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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