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Il discorso di Bob Dylan (assente) al Nobel: “Non avrei mai immaginato di vincere”

Ecco il discorso completo inviato da Bob Dylan per l’accettazione del premio Nobel, letto dall’ambasciatore americano in Svezia al posto del cantante, assente per precedenti impegni: “Non ho mai trovato il tempo di chiedermi: “Le mie canzoni sono letteratura? Grazie all’Accademia per questa meravigliosa risposta”.
A cura di Valeria Morini
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Nonostante la sua assenza, Bob Dylan è stato grande protagonista alla cerimonia dei Nobel che sono stati assegnati a Stoccolma sabato 10 dicembre. Il chiacchieratissimo forfait del menestrello del Minnesota ai prestigiosi premi non ha impedito che Dylan fosse il personaggio più osannato della serata. Merito della presenza di Patti Smith, che ha cantato la sua celebre "A Hard Rain's A-Gonna Fall" emozionandosi moltissimo, e del discorso di accettazione inviato da Dylan, letto dall'ambasciatore degli Stati Uniti in Svezia Azita Raji.

Le lacrime di Patti Smith e le parole di Dylan resteranno nella Storia, chiudendo una volta per tutte le polemiche per la scelta di insignire proprio lui del prestigioso Nobel alla Letteratura. Ecco il testo completo del discorso.

Buonasera a tutti. Invio i miei più calorosi saluti ai membri dell'Accademia Svedese e a tutti gli altri illustri ospiti di stasera.

Sono dispiaciuto di non poter essere con voi di persona, ma voglio che sappiate che sono con voi nello spirito e che sono onorato di ricevere un premio così prestigioso. Vincere il Nobel per la Letteratura è qualcosa che non avrei mai immaginato potesse accadere. Fin dalla tenerà eta, ho conosciuto, letto e assorbito i lavori di coloro che sono stati onorati di un tale riconoscimento: Kipling, Shaw, Thomas Mann, Pearl Buck, Albert Camus, Hemingway. Questi giganti della letteratura, le cui opere vengono insegnate a scuola, custodite nelle librerie di tutto il mondo e recitate con toni reverenziali, hanno sempre lasciato un profondo segno su di me. Il fatto che ora io mi unisca ai loro nomi su questa lista, mi lascia davvero senza parole.

Non so se questi uomini e donne abbiano mai pensato di meritare un Nobel, ma suppongo che chiunque scriva un libro, una poesia o una sceneggiatura, in qualsiasi parte del mondo, custodisca nel profondo questo sogno segreto. È probabilmente sepolto così in profondità che neanche sanno che esista.

Se qualcuno mi avesse detto che avevo una minima possibilità di vincere il Premio Nobel, avrei pensato di avere la stessa percentuale di probabilità di andare sulla luna. Infatti, nell'anno in cui sono anno e per qualche anno a seguire, non c'era nessuno al mondo che potesse essere considerato bravo abbastanza da vincere un Premio Nobel. Perciò, riconosco di trovarmi in speciale compagnia, a dir poco.

Ero per strada, quando ho ricevuto la sorprendente notizia, e mi ci è voluto più di qualche minuto per elaborarla come si deve. Ho iniziato a pensare a William Shakespeare, la grande figura letteraria. Immagino che pensasse di se stesso come di un drammaturgo. Il pensiero che lui stesse scrivendo letteratura non può essergli passato per la testa. Le sue parole erano state scritte per un palco, per essere recitate, non lette. Quando ha scritto Amleto, sono sicuro che abbia pensato a tante questioni diverse: "Chi sono gli attori giusti per questi ruoli?" "Come dovrebbe essere allestito il palco?" "Voglio davvero ambientare questa storia in Danimarca?". La sua visione creativa e le sue ambizioni erano senza dubbio le sue priorità, ma c'erano anche altri aspetti più noiosi da considerare e da affrontare. "I pagamenti sono in regola?" "Ci sono abbastanza posti a sedere adeguati per i miei mecenati?" "Dove lo trovo un teschio umano?". Scommetto che l'ultima cosa che gli passava per la mente era: "Questa è letteratura?".

Quando ho iniziato a scrivere da adolescente, e anche quando ho iniziato a ricevere qualche riconoscimento per le mie abilità, le mie aspirazioni per queste canzoni non si spingevano oltre. Pensavo potessero essere ascoltate in caffé e bar, forse più tardi in posti come la Carnegie Hall, la London Palladium. Se proprio mi trovavo a sognare in grande, forse riuscivo a immaginare di riuscire a fare un album e poi ascoltare le mie canzoni in radio. Quello per me era il riconoscimento migliore. Fare album e ascoltare le tue canzoni in radio significava che avevi raggiunto un ampio pubblico e che forse potevi continuare a fare quello che ti eri prefisso.

Beh, faccio quello che mi ero prefisso da diverso tempo, ormai. Ho fatto dozzine di album e suonato migliaia di concerti in tutto il mondo. Ma sono le mie canzoni, il fulcro essenziale di quasi tutto ciò che faccio. Sembra che abbiano trovato un posto nelle vite di molte persone di culture diverse, e sono grato per questo.

Ma c'è una cosa che devo dire. Da musicista, ho suonato sia per 50.000 che per 50 persone, e posso dirvi che è più difficile suonare per 50 persone. 50.000 persone diventano un'unica entità, cosa che non accade con 50. Ogni persona ha una propria identità individuale e separata, un mondo dentro di sé. Possono percepire le cose con maggiore chiarezza. La tua onestà e il modo in cui ti relazioni alla profondità del tuo talento, vengono messi alla prova. Il fatto che la commissione del Nobel sia così ristretta, mi fa un certo effetto.

Ma, come Shakespeare, anche io sono spesso occupato a perseguire i miei sforzi creativi e ad affrontare tutti le questioni banali della vita. "Chi sono i migliori musicisti per queste canzoni?" "Sto registrando nello studio giusto?" "Questa canzone è nella giusta tonalità?". Certe cose non cambiano mai, neanche in 400 anni.

Non ho mai trovato il tempo di chiedermi: "Le mie canzoni sono letteratura?".

Perciò, ringrazio l'Accademia Svedese, sia per aver trovato il tempo di prendermi in considerazione che per essersi posta la domanda ed aver poi concluso con questa meravigliosa risposta.

I miei migliori auguri a tutti voi,

Bob Dylan

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