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I talebani dell’hip hop

Se diventi ricco e famoso hai tradito la scena. Ma a volte i talebani dell’hip hop non perdonano ai propri “figli” neanche le commistioni con altri generi. Eppure questo sincretismo sta portando alla ribalta una scena da tenere assolutamente d’occhio: da Yakamoto Kotzuga a Capibara, passando per Go Dugong e Jolly Mare.
A cura di Stefano Cuzzocrea
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Ice-T-Home-Invasion
La copertina di "Home Invasion" di Ice-T

A cosa servono le guerre? In pura onestà, non c’è dato saperlo. Dunque accontentiamoci di trovarne una plausibilità, ovviamente fuori dalle ragioni istituzionali e utilizzando un po’ di fantasia. Cerchiamo quindi il proverbiale bicchiere mezzo pieno di urine in sostanza. Ad esempio, l’irrisolto conflitto afgano, che non ci è concesso di comprendere se sia stato combattuto per il petrolio, per la solita azione di “polizia internazionale” o per guardare in faccia le donne senza veli, presenta comunque un lato positivo: ha fatto entrare nel gergo comune il termine “talebano”, volto, volgarmente, ad indicare qualunque oltranzista tendente, più che alla coerenza, alla cecità. Cosa c’entra tutto ciò col rap italiano? Barbe a parte, ma quelle ormai sono ovunque, pare che la parola possa indicare orde di b-boy che sarebbero troppo fiere per amare l’hip hop e che, invece, ne hanno fatto una ragione di vita.

La Boldrini, tentando di disarmare Grillo, argomenterebbe che la colpa è dell’Internet, ma l’odio e l’intolleranza sono patrimonio della scena ben prima che lo diventasse anche il web. Che poi la Rete non è fatta da e di persone o è sempre E.T. che, superato il bisogno di telefonare a casa, ha invitato a connettersi tutti i suoi compatrioti e gli appartenenti alle galassie limitrofe? In verità, tornando nel territorio compreso fra “3 m.c. and 1 dj” il rap, fottendosene degli appena citati Beastie Boys, ha contratto il virus dell’odio fin da subito. In principio ci si limitava a coprire le etichette poste al centro dei dischi in vinile, in modo da non poter far leggere i titoli ai rivali; oggi la pratica è superata, ma, cara Presidentessa della Camera, non per via di Shazam. La guerra tra bande, pur sorvolando i legami con Blood e Creeps e le suggestioni del film "Colours", ha portato la faida tra West Coast ed Est Coast americane a segnare col sangue il percorso successivo e di successo del rap. Senza contare la questione razziale e i risentimenti nutriti a pelle, come naturale conseguenza della diaspora e dello schiavismo, che hanno nutrito dissapori fra le etnie mondiali.

Un esempio iconografico e monumentale è “Home Invasion” (nella foto), un vecchio album di Ice T., ben prima che C.S.I. lo assumesse dalla parte degli sbirri: la copertina del disco ritrae un bambino bianco che ascolta musica, con le cuffie, in una stanza nella quale droga e violenza dei quartieri bassi si materializzano sbucando fuori proprio dalle note del rap, come nei migliori horror urbani. Oggi le invettive in forma di canzone che si lanciano Vacca e Fibra restano tipiche manifestazioni di astio plateale che ben si conciliano con la tradizione agonistica alla base di ogni jam e principalmente delle battle più classiche, di ‘ste strofe è pieno il mondo. Anche lasciando da parte gli m.c. e guardando il solo mondo attiguo dei writer, la sfida è un elemento imprescindibile della cultura hip hop, tant’è che nell’ambito della street art è storico il duello a colpi di stancil e spray tra l’ormai troppo celebre Banksy e il king dell’underground art chiamato Robbo, il quale non ha avuto la stessa notorietà ed è deceduto proprio lo scorso 31 luglio (r.i.p.).

In generale, c’è come un supposto tradimento subito dalla scena se qualcuno che ne è parte diventa ricco e famoso. Da qui partono le ritorsioni. A volte queste pratiche generano confronti che edificano, altre volte sono causa di interminabili discorsi offensivi condotti a colpi di mouse su Facebook o su qualche piattaforma wordpress, raramente si sconfina in “pistole o fioretti”, eppure questi comportamenti hanno rallentato l’evoluzione coesa di crew e singoli artisti. Oggi i “Talebani” del rap ce l’hanno con i propri “figli degenerati”. L’hip hop, almeno musicalmente, si è comportato come una matrice, un linguaggio che ha assimilato quelli precedenti, attraverso il campionamento, e ne ha generati altri, più futuribili, che sono appunto quelli che adesso vengono praticati da questa “prole”. Trattasi di giovani musicisti da cameretta che hanno appreso i linguaggi dell’hip hop e li hanno traslati in scale volte a salire su altri piani. Troppo lontani dalla vecchia ricetta del boom bap per esserne considerati delle evoluzioni, anzi, semmai, troppo spesso, disconosciuti dalla “stirpe”. Eppur si muove. Una vecchia frase che si accorda bene a questa storia.

Capibara
Capibara

In Italia, mai come in questo periodo, infatti, una nutrita schiera di patiti del rap si è trasformata in una nuova onda, giusto per usare un termine post-qualcosa. Era già successo con Populous, il salentino che da ventenne conquistò la tedesca Morr Records. E non era una un caso isolato neppure allora. Ad esempio, colui che si nasconde dietro la maschera di Dj Khalab viene fuori dall’hip hop, come il suo amico Digi Galessio, ora tramutatosi in Clap! Clap! per battezzare una sua diversa scelta musicale. Ma questa è già storia. I più, ora, guardano verso Go Dugong, che ha ribadito la propria provenienza chiudendo la performance intavolata per il festival romano “Spring Atttitude” suonando “nella luce delle sei”. Senza contare Jolly Mare, che la Music Accademy di Red Bull ha portato sul palco del “Sonar”, a Barcellona. E che dire di Yakamoto Kotzuga? Un ventenne italiano che oscilla tra Dilla e Bonobo ed è pronto a rilasciare un album per La Tempesta. Ma la cosa più fresca sono certamente i ragazzi di un’etichetta chiamata White Forest. Una label partita dal basso e che è un affare di famiglia nella più piena tradizione da Sly in poi. Tra loro Sabir e Capibara hanno una fantasia eccelsa, l’urgenza degli audaci, ed un retaggio a suon di doppia H capace di spostarne l’asse verso altri baricentri. Il tutto senza presunzioni e, anzi, avendo molto rispetto per l’old school. A guardarli, cappellino a parte, hanno un look un po’ talebano, ma solo quello…

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