Agosto 1984, studio Global Art System di Firenze. I Litfiba registravano i brani “Onda araba” e “Versante est”, così come facevano i Moda (niente accento, please) con “Nubi d'oriente” e “La voce”. I loro master finivano su uno scaffale accanto a quello di “Siberia” e “Delorenzo” dei Diaframma, inciso a luglio; a settembre toccava a “India” e “Glasarchitektur” degli Underground Life. Otto pezzi per quattro ipotetici 45 giri che erano allineati in un LP dalla copertina elegante, di gusto un po' rétro, che arrivava nei negozi a novembre. Era la prima uscita dell'IRA, etichetta con sede sempre nel capoluogo toscano il cui fondatore e socio principale, Alberto Pirelli, coltivava un piccolo (grande) sogno: affermare su assai più vasta scala un nuovo rock nazionale con testi nella lingua che fu di Dante, alla faccia degli scettici – all'epoca numerosissimi – per i quali l'unica via praticabile era quella dell'inglese. Sola concessione (o una sorta di sfottò?) a quanti guardavano solo Oltremanica, il titolo: “Catalogue Issue”.
Nel circuito indipendente/alternativo, molti si interrogavano sul significato di IRA. Era lo stesso Pirelli a spiegare che l'acronimo stava per Immortal Record Alliance, curiosamente un'altra espressione britannica. In realtà la sigla era nata da una battuta: visto che la label intendeva opporsi al rock in inglese, cosa si poteva trovare di meglio di un rimando diretto all'Irish Republican Army? L'essere in qualche modo accostati a un'organizzazione nel cui curriculum figuravano attentati e omicidi non era però un bel biglietto da visita, e per questo motivo la genesi del nome veniva mascherata. Del tutto esplicito, invece, lo slogan adottato come manifesto di intenti: “La nuova musica italiana cantata in italiano”. Una scommessa nella quale Pirelli credeva fermamente, al punto di barattare le sue quote del G.A.S. con un tot di ore gratuite di registrazione e con il contratto che legava lo studio ai Litfiba, al tempo band di culto che doveva ancora pubblicare il primo album; nonché per inimicarsi Contempo, il più grande negozio di dischi cittadino, strappando alla sua etichetta i Diaframma di Federico Fiumani, anch'essi prossimi al debutto sulla lunga distanza del LP. Nessun ostacolo, al contrario, per aggiudicarsi i contributi dei due gruppi non fiorentini, ovvero gli Underground Life di GianCarlo Onorato e i Moda di Andrea Chimenti; i primi non erano vincolati a chicchessia ed erano felici – poiché (inconsapevoli) inventori della “nuova musica italiana cantata in italiano”, nella loro Monza, già dai tardi anni ‘70 – di giocarsi qualche carta in più con il sostegno di una struttura professionale e determinata, mentre i secondi, aretini, si erano formati da poco e vedevano la convocazione al fianco di colleghi in giro da anni come una straordinaria opportunità di lancio.
“Catalogue Issue” centrava gli obiettivi fissati, dimostrando la lungimiranza del suo ideatore e la bontà di una “scena” i cui esponenti sapevano conciliare energia rock, raffinatezza, atmosfere suggestive e lingua italiana. Non vendeva un numero esagerato di copie, ma svolgeva perfettamente la sua funzione di tazebao, aprendo la strada a 33 giri poi scolpiti negli annales quali “Siberia” dei Diaframma (1984), “Desaparecido” dei Litfiba (1985) e, in misura minore, “Bandiera” dei Moda (1986). La label avrebbe concluso la sua attività alla fine del decennio, in parallelo alla scelta di Pirelli di seguire come manager e produttore i Litfiba, lanciatissimi verso il successo dopo l‘accordo con la CGD; sempre negli anni ‘90 ci sarebbe stato un tentativo di ritorno allo scouting come IRA DC, ovvero “Da Capo”, purtroppo effimero e poco fruttoso.
“Catalogue Issue” non è mai stato ristampato in CD e la cosa sorprende, considerato che tre quarti dei suoi brani – fanno eccezione quelli dei Diaframma – non sono stati recuperati altrove. Nel circuito collezionistico, il 33 giri cambia di mano per cifre attorno agli ottanta euro: tanti in assoluto, ma neppure troppi per quello che rimane, a tutti gli effetti, un autentico pezzo di storia.