Se vi venisse in mente di cercare una puntata de “La Torre di Babele” sugli Offlaga Disco Pax, non perdete tempo: non la trovereste. All’epoca della pubblicazione del loro terzo e ultimo album, nel 2012, la rubrica ancora non esisteva, e quando due anni dopo l’avventura del trio di Reggio Emilia si concluse bruscamente, e in modo dannatamente amaro, non me la sentii di scrivere quello che sarebbe stato a tutti gli effetti un necrologio. Il tempo, però, passa, e anche se il dolore di chi è rimasto perdura, non mi pare sbagliato cogliere l’occasione per ricordare una band che nello scorso decennio costituì un autentico fenomeno dell’indie italico. Merito dell’album ‘Socialismo tascabile‘ (2005), fresco e brillante nel tracciare una via stilistica personale – poi seguita più o meno fedelmente nei successivi ‘Bachelite‘ (2008) e ‘Gioco di società‘ (2012) – dove basi filo-wave all’insegna del minimalismo sostengono testi declamati che ruotano attorno al tema del comunismo, reale o romanzato; a grandi linee, dei CCCP Fedeli alla linea con lo spleen al posto dell’incazzatura punk. Non sapremo mai se e quanto la vicenda sarebbe potuta durare senza seri cali di ispirazione e tensione, perché a interromperla per sempre è arrivata la prematura scomparsa di Enrico Fontanelli, il tastierista (e bassista) che con il chitarrista/bassista Daniele Carretti e il frontman Max Collini costituiva un inscindibile tutt’uno. Inscindibile, appunto. Senza Enrico, sic et simpliciter, non si poteva continuare e non lo si è fatto. Triste, ma giusto.
L’11 marzo scorso ha visto la luce l’esordio discografico ufficiale, dopo un EP “live” dalla diffusione semicarbonara e varie decine di concerti, del duo Spartiti, il progetto di Max Collini e Jukka Reverberi, chitarrista dei Giardini di Mirò. Pubblicato dalla Woodworm – in ricco CD-libro o doppio LP, oltre che in digitale – e corredato di una copertina in sintonia con il titolo, ‘Austerità' allinea nove episodi dalle suggestioni forti, tanto nelle aggraziate musiche di sapore post-rock scritte/eseguite da Reverberi, quanto nelle “storie declamate” per due terzi composte da Collini (in un caso, a quattro mani con Arturo Bertoldi) e per il resto opera di Paolo Nori, Simone Lenzi e Simona Vinci. Si tratta, insomma, di un album narrativo e letterario, dove le parole sono evidentemente al centro ma dove le trame strumentali – nel complesso meno ritmiche e più da colonna sonora rispetto agli Offlaga Disco Pax – hanno comunque un ruolo rilevante. Certo, la voce di Collini è davvero troppo caratteristica, nella timbrica e nell’approccio recitativo inusuale, per non trasmettere l’immagine di una versione riveduta e corretta – e magari più orientata verso lo stile dei Massimo Volume – del vecchio ensemble, ma a un’analisi un minimo attenta non è difficile accorgersi che le divergenze pareggiano almeno le affinità.
Impossibile che gli Spartiti non facciano subito breccia nel cuore di chiunque abbia finora apprezzato la poetica fra il reale e il surreale di Max Collini, i suoi efficacissimi intrecci lessicali, la sua pungente ironia, la sua bravura nel dosare intensità e leggerezza; idem per quanto riguarda le misurate ma autorevoli architetture di corde e campioni edificate con la consueta classe da Jukka Reverberi. Facile perdersi in questi racconti di vita avvolgenti e ipnotici, nei quali si muovono personaggi ben più “normali” di quanto si potrebbe pensare non avendo mai frequentato determinati giri. Il singolo “Sendero luminoso”, ad esempio, è una geniale parodia – un po’ scherzo e un po’ scherno – del gergo dei collettivi di Sinistra, ma il resto della scaletta non lesina davvero in momenti capaci di lasciare il segno. Spicca “Vera”, che per tredici minuti inchioda alle casse acustiche (o alle cuffiette) con una mini-epopea studentesca che sembra uscita dalle pagine del glorioso “Frigidaire” anni ’80, ma c’è di che rimanere impressionati anche quando umorismo e politica vengono accantonati a favore di altri temi e umori: inarrivabili, in tal senso, l’autobiografica, struggente title track e la meno esplicita ma altrettanto commovente “Bagliore”, la cui lunga coda sottolinea con discrezione lo sconcerto per il dramma descritto dal testo. Non sono “canzoni”, quelle proposte dagli Spartiti, ma sanno catturare l’attenzione in modo più autentico e duraturo di tanto pop convenzionale, indie e non, che illumina per un attimo e finisce subito dimenticato.