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Giorgio Poi torna dopo la pandemia: “Resta il ricordo di uno spavento, quindi un po’ di sollievo”

Giorgio Poi è tornato con un nuovo album, il terzo, “Gommapiuma”, che conferma il cantautore come uno dei migliori artisti della musica italiana.
A cura di Francesco Raiola
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Giorgio Poi (ph Giulia Bersani)
Giorgio Poi (ph Giulia Bersani)

Giorgio Poi può essere tranquillamente annoverato tra gli artisti italiani che hanno pubblicato alcuni tra gli album di cui sentiremo parlare negli anni a venire, che inseriremo in un futuro canone che descriverà questi pazzi anni che hanno visto la morte di quello strato che una volta definivamo indie e il ribaltamento delle etichette. L'artista romano resta un punto fermo, capace di plasmare canzoni che estraggono poesia dalla vita quotidiana, con una potenza ogni volta sorprendente. "Gommapiuma" è il terzo capitolo della sua carriera, uscito sempre per Bomba Dischi, venerdì 3 dicembre con il featuring di Elisa in "Bloody Mary" e un brano nato da un incontro-epifania con la fumettista Zuzu, autrice di "Giorni felici".

Come hai lavorato musicalmente a Gommapiuma?

Il processo musicalmente è stato quello di asciugare il più possibile. Per esempio, se c'è una chitarra acustica è una chitarra e una chitarra soltanto, di solito ne facevo due, se c'è una chitarra elettrica non ha più il chorus che fa quell'effetto di raddoppiare, ma è una chitarra elettrica, il basso è uno e non ha più l'effetto stereo, quindi è andato un poco a semplificarsi a livello sonoro. Questa cosa, però, non vale per gli archi, a esempio: in tutto l'album, infatti, c'è un quartetto d'archi, non volevo parti statiche che andassero a riempire quando ce ne fosse bisogno ma mi piaceva l'idea che all'interno ci fosse questo pad che entra, che si muovesse, avesse una vita propria, che non fosse statico. Ho tolto da una parte e aggiunto dall'altra.

Ancora una volta riesci a prendere elementi del quotidiano per farne arte, a dimostrazione che anche dalla passeggiata in un supermercato c'è materiale di scrittura: a livello testuale come hai lavorato?

La vita delle persone si nutre di queste cose, di questi momenti ed è fatta così, non sento l'esigenza di nascondere quella cosa, anzi, mi sento di utilizzarla e raccontare come io mi vivo quei momenti della mia vita.

Nella canzone con Elisa canti “C’è chi muore di noia e si allunga la vita, Per chi si annoia il tempo corre in salita”. La noia è un grande tema musicale e letterario perché è argomento di vita. È stata anche spinta per la scrittura di quest'album?

Quel pezzo lì è nato talmente all'inizio di quello che stava succedendo che non c'era tempo di annoiarsi, era più una riflessione generale sulla noia, ma perché è una cosa che ho sempre pensato, che i momenti più belli se ne vanno talmente rapidi… Se uno ha degli anni bellissimi, un periodo bellissimo, questo sembra volare, mentre quando uno ha una vita meno piena e ha tempo e modo di annoiarsi tutto sembra molto dilatato. Questa cosa qui la scopri probabilmente da bambino, mentre stai giocando, ti stai divertendo, quando un'ora va via rapidissima, mentre se ti annoi un'ora sembra non finire mai.

Quando hai pensato che stavi andando verso la direzione giusta? 

Finché non ho chiuso l'ultimo pezzo non ero sicuro di niente. La certezza di avere un disco ce l'hai solo quando lo chiudi, al massimo quando l'hai registrato e mixato ti dici che il disco è fatto.

C'è stato qualcosa – una serie di accordi, una canzone, un verso – che ti ha detto che l'album stava arrivando?

Forse nel momento in cui abbiamo registrato il quartetto d'archi, che è una cosa che non avevo mai fatto, non avevo neanche mai sentito i pezzi con il quartetto vero, in realtà, ma solo con quelli finti messi nel computer che però hanno un suono diverso, fatto quello ho capito che era ok. Oppure quando abbiamo fatto le batterie: ero in dubbio su quel suono perché a differenza degli altri dischi non l'ho suonata io ma ho coinvolto Francesco Aprili, che è un musicista bravissimo. Solo che era la prima volta che non c'ero io dietro la batteria, non sapevo se avrei perso più tempo a spiegare quello che volevo o a farlo, invece non è stato così, ma molto più semplice, anche perché è un batterista di gran lunga migliore di me.

Qual è stato l'ultimo pezzo che hai scritto?

In realtà è l'ultimo che ho finito e il primo che ho iniziato, che è l'ultimo pezzo del disco, "Moai".

Dove canti: "A chi vive in apnea, aspettando che passi anche quest'alta marea". Cosa resta quando passa l'alta marea?

Resta il ricordo di uno spavento, quindi forse un po' di sollievo. Quella frase lì l'ho scritta quando stava cominciando questo periodo lunghissimo e buio che abbiamo vissuto, però mi piaceva già immaginare la fine, quando sarebbe passata. Sono ottimista di fondo.

"Giorni felici" nasce dalla lettura del libro di Zuzu?

Nasce dal libro ma soprattutto stavo già scrivendo questa canzone, avevo già diversi elementi di questo pezzo, però non ne ero convinto perché non la stavo capendo fino in fondo, non riuscivo a capire testualmente dove stavo andando. Poi è venuto fuori questo incontro con Zuzu, mi ha raccontato il suo libro, me ne ha fatto leggere una parte e ho capito con lei che il pezzo che stavo scrivendo era quello, un pezzo sulla fuga, lo era già. E quando lei mi ha detto che il tema principale del libro era la fuga ho capito che era quello il pezzo.

Però è depurato dalla tanta rabbia che c'è nel libro.

Sì, anche perché non è esattamente la versione canzone del libro, ovviamente, ne richiama certi temi, principalmente quello dell'andare via, del cambiare, del fuggire. Poi la canzone si riferisce a esperienze mie personali e il libro alle sue, però parliamo della stessa cosa.

È un disco breve rispetto a quello che pare debbano essere gli standard di oggi: tu che posizione hai all'interno di questo mondo musicale in continuo movimento?

È un disco più o meno della stessa durata dei due precedenti, una durata che sembro prediligere, ma anche da ascoltatore perché se vai da un punto a un altro, fai una bella passeggiata, te l'ascolti, riesci a starci dentro in senso assoluto e a percorrere tutto l'arco emotivo descritto dal disco, questo mi piace. Il mondo è cambiato in questi anni, credo soprattutto che il circuito in cui io posso essere inserito, che è quello indipendente, fa anche molto affidamento sui concerti, sui club, sulla versione live della musica che ovviamente in questi anni non è esistita: il live di questi anni è stato televisivo rispetto a quello che c'era prima. Io mi auguro che si possa tornare a fare i concerti, che ci sia un nuovo filone che parta da questo cambiamento.

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