Al di là dei “featuring” con il Banco del Mutuo Soccorso, di cui era stato cofondatore assieme al fratello Vittorio, e di apparizioni più o meno sporadiche, Gianni Nocenzi non dava concrete notizie di sé da quasi un quarto di secolo. Per la precisione, dal 1993, quando la Virgin aveva marchiato quel “Soft Songs” dove la ricerca di strade musicali “colte” si legava a un’estrema godibilità, accresciuta dai contributi di ospiti famosi quali Ryuichi Sakamoto, Sarah Jane Morris e Andrea Parodi, allora nei Tazenda; l’album ne aveva seguito di un lustro un primo dal taglio elettronico/sperimentale, “Empusa” (Venture/Virgin), che aveva costituito un distacco netto dallo stile consolidato dell’artista, quello portato avanti con la sua storica band fino al 1985. Nella parabola “iniziale” del Banco, il suo ruolo è stato più rilevante di quanto di norma si dica (benché parecchi pezzi siano stati da lui firmati o cofirmati), e non è affatto casuale che i cultori del progressive ne parlino quasi con venerazione; una realtà, questa, sulla quale ha di sicuro pesato l’aura misteriosa e in qualche misura “misticheggiante” in cui il pianista e tastierista si è trovato avvolto a causa della scarsa circolazione di notizie. A volte l’assenza crea maggior scalpore della presenza, no?
Adesso, però, Gianni Nocenzi ha deciso che era arrivato il momento di ritornare, sulla scia dell’onda emotiva – forte, fortissima: non poteva essere altrimenti – delle scomparse ravvicinate degli ex sodali e amici Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, nonché dei gravi problemi fisici – adesso, per fortuna, superati – del fratello Vittorio. Ispiratore e “motivatore” dell’ormai inatteso “comeback”, il produttore di vari dischi del Banco, Luigi Mantovani: sua l’idea di un lavoro di solo pianoforte acustico (un magnifico Steinway Grand Piano), sua la “regia”, sua la pubblicazione per la GMEbooks, il cui motto “ars est celare artem” – non serve tradurre, no? – dice molto della filosofia di “Miniature”, uscito alla fine del giugno scorso. Sentimento e cura per “l’estetica”, quindi, assieme a impegno sul piano delle tecniche di incisione, allo scopo di garantire dosi extra di suggestioni; a patto, è ovvio, di utilizzare per l’ascolto apparecchi adeguati, invece di accontentarsi delle cuffiette o delle casse del computer. Il che, doveroso precisarlo, non implica necessariamente spese mostruose; purtroppo, l’Hi-Fi è oggetto di leggende prive di fondamento.
“Miniature” raccoglie solo sei brani, registrati in diretta al Forward Studio di Roma sotto gli sguardi presumibilmente rapiti di una piccola platea di persone vicine al musicista; il più breve dura 5:19 e il più lungo 7:42, ma più che gli aridi numeri preme sottolineare l’intensità e il pathos di composizioni ora di gusto classicheggiante/cameristico, ora pervase da un feeling “rock” – con tutte le virgolette del caso – che non può non rievocare certi passaggi del Banco, specie quello dei suoi giustamente mitici ’70. Non si pensi, però, a una sorta di dicotomia: in pratica, in ogni episodio convivono sia un’anima delicata e, se vogliamo, onirica, sia un approccio più energico e incalzante, ambedue al servizio di un generale lirismo che intriga e soggioga fin dal primo assaggio con la sua profondità e le sue dinamiche. Di sicuro qualcuno insinuerà di un tentativo di ritagliarsi uno spazio nella stessa area in cui si muovono, e con notevoli fortune mediatiche, colleghi come Einaudi o Allevi; non è così, ma se pure il clima favorevole agli ottantotto tasti dovesse regalare benefici in più a questo autore e strumentista tanto dotato quanto schivo, ne saremmo lieti. Magari, chissà?, potrebbero motivarlo ad abbandonare più spesso il suo eremo nei Castelli Romani per concedersi e concederci quel mix di autenticità, fantasia e bellezza che finora ha solo centellinato.