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Generic Animal, oggi la musica è senza gabbie di genere: “Con ‘Presto’ abbatto le definizioni”

Il nuovo progetto di Generic Animal si chiama “Presto” ed è un esempio classico di cosa voglia dire, oggi, abbattimento dei generi. Con l’aiuto del produttore Fight Pausa, infatti, Luca Galizia ha costruito 12 tracce che usa stilemi di trap, rap, pop, jazz per creare qualcosa che ha un’enorme potenzialità.
A cura di Francesco Raiola
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Generic Animal (ph Domenico Nicoletti)
Generic Animal (ph Domenico Nicoletti)

"Presto", l'ultimo album del progetto Generic Animal – dietro il quale si cela Luca Galizia – sarebbe un ottimo esempio per comprendere cosa si intende per post. Post-hip hop, post-emo, post-qualcosa, ma durante l'intervista ci siamo detti che era meglio una non definizione che una gabbia in cui mettere queste dodici tracce. Un pugno di canzoni che sono un nuovo esordio per Generic Animal, che dentro ha unito un po' di passioni, dall'hip hop, per esempio, alla trap, una serie di fiati che rimandano al jazz, mettendoci un'attitudine indie nei testi, che non seguono la classica struttura pop. Non è un caso che con lui ci sia Carlo Luciano Porrini, in arte Fight Pausa, che sta dietro a uno dei progetti italiani più interessanti di questi ultimi tempi, ovvero 72-HOUR POST FIGHT. E come feat dichiarati un po' di scena lombarda come Massimo Pericolo (di cui Generic Animal aveva prodotto "Sabbie d'oro") e Nicolaj Serjotti, oltre a Franco126, il cui "Stanza singola" potrebbe entrare in una playlist che comprende sicuramente anche "Presto". "Presto" è una fotografia di quali sono le potenzialità di questo melting pot sonoro – che non cede mai allo svaccamento -, di quali strade può prendere. È un primo passo, si vede, un altro primo passo nella costruzione di qualcosa che può prendersi lo spazio di quello che una volta definivamo indie. Qualcosa, cioè, che può prendersi anche la libertà di sperimentare e indicare un percorso.

Generic Animal rappresenta proprio quella contemporaneità fatta di muri che cadono, a livello di gabbie musicali. Non guardare più ai generi, insomma, ma al confluire di una serie di cose in quello che possiamo definire… anzi non lo definiamo.

Mi fa piacere che dici ‘non lo definiamo', dare un nome preciso alle cose ormai è ridondante allo stesso modo del non darlo, sforzarsi per dover dare una definizione quando invece potresti goderti un disco e dire ‘ok ci sono un sacco di elementi che mi piacciono e vengono da tante forme diverse'. C'è quella volontà lì che abbiamo sempre avuto io e Carlo quando suonavamo insieme e siamo riusciti grazie al mio progetto a plasmarla in questa maniera qua.

C'è stato un bel cambiamento rispetto alla tua storia, quindi ti faccio la domanda più banale: come sei arrivato alla costruzione di questa identità?

In modo molto organico e naturale: all'inizio ragionavo sempre molto per compartimenti stagni, il primo disco nasceva dall'urgenza di dover scrivere le canzoni e partiva da provini fatti con dei testi di un'altra persona. Ti concentri sulla scrittura in senso un po' grossolano, non devi pensare al significato, perché ti piacciono e sei convinto dei testi che ti hanno mandato. Nel secondo disco mi sono concentrato sulla mia scrittura, in questo, invece, siccome sono riuscito ad ampliare la mia prospettiva su quello che so fare, che mi piace, su come scrivo, su come scelgo quello che scrivo, mi sono sentito – anche se è un disco pieno di cose e ha tante zone – più freestyle, mi sono sentito molto più libero. Anche grazie a Fight Pausa sono riuscito ad approcciarmi a me stesso in un'altra maniera. Ed è sempre particolare lavorare con un produttore, spero di continuare a lavorare con lui perché è sempre un'esperienza diversa anche ora che siamo amici. C'è molta differenza tra quando lavoro da solo su Garage Band e dopo essere stato in studio.

Tra l'altro la libertà di cui parlavi la si vede sia nella struttura delle canzoni: è come se fossi entrato in una stanza (che forse è la tua vita o la vita dell’io narrante) con una scopa e hai cominciato a spazzare, tutto sarà pulito, ma prima quanta polvere!

Parto dal famoso flusso di coscienza, è banale da dire ma parte da un innesco strano, casomai quel giorno lì hai qualcosa che ti stuzzica il cervello e cominci da due parole, "32 denti", poi scrivi una canzone e ti si apre un varco dentro. A mio modo cerco sempre di melodizzarlo e impacchettarlo un po' mentre lo sto facendo. Mi sento sempre molto libero nel farlo, magari la parte convenzionale avviene durante la produzione: nel senso che ho lavorato un po' di più alla struttura dei pezzi rispetto a quando ho cominciato a suonare con il progetto e a scrivere, perché sono uno abituato a buttare via le idee, a utilizzare le cose una volta in una canzone e non tornarci più. Invece in questo disco, nel polverone, si solleva tanta polvere ma poi si appoggia dove dovrebbe. Vedo "Presto" come una macroscultura piena di eccessi, di cose non spiegate al 100% che però delle volte riesce a diventare la scultura definita. Si parte da un blocco grosso per arrivare a una cosa precisa, io lo sento così. Mi sento che alla fine nonostante il marasma assoluto di parole ora mi è chiaro cosa mi è successo, anche se faccio ancora fatica a spiegarlo.

Quando scrivi cose come "Che è una fotocopia plastificata e mal falsificata", il lavoro di allitterazione è spontaneo o di scalpello, come dicevi prima?

No, quello è abbastanza spontaneo, poi banalmente a volte torni dietro e vedi che c'è una parola in più, ma solitamente le parole sono sempre quelle che devono essere. Forse in alcuni pezzi ci sono cose più ridondanti, penso a "700", in realtà bastava scrivere "Sono una testa di cazzo, ho perso 700 euro in un momento di distrazione", invece io ci ho ricamato su un concetto, piangendo e ridendoci sopra. Però effettivamente ci sono momenti in cui lo faccio e quando lo faccio me ne accorgo: lo faccio in momenti più di risalto, quando ho bisogno di una chiusura.

Il tema del ricordo dà un senso di nostalgia a tutto il lavoro, è una cosa che caratterizza un po’ una generazione…

Secondo me è la necessità di sentirsi ancora piccoli, delle volte, di sentirsi ancora coccolato dal passato che magari è superficialmente sereno, rispetto ad altri periodi della vita. Poi c'è anche il fantasticare sul come sarei stato se fossi nato prima, se tutta la passione che ho ora, nella vita, fosse accaduto 20 anni prima. Questa è la malinconia, ma la vedo sempre con un'accezione positiva, essere malinconici, romantici, è una cosa dolce, non negativa. Alcuni giorni ti appesantisce ma magari il giorno dopo ti ha dato la scossa giusta per ricordarti chi sei e cosa vuoi essere, cosa vuoi fare, cosa ti rimane.

Tu cosa racconterai tra 20 anni dei tuoi ricordi?

Sicuramente che 20 anni prima ho perso ai capelli e ho scelto di essere per sempre così, questa è una cosa. Sicuramente che a un certo punto, rispetto a tutta la mia adolescenza, in cui non ho mai veramente scelto cosa fare, ho scelto che la musica effettivamente era l'unica cosa che avevo in mente; poi magari tra 20 anni farò un lavoro ordinario, però sicuramente c'è stato un 2017 che è stato l'anno che so e saprò di avere un progetto mio e basta. Di ricordi malinconici e storici… ahimè non ho i Nirvana, lo sognerei.

Però avrai un ricordo simile, legato a concerti, musica?

Beh, sì, ma sono più ricordi adolescenziali, però ci sono ancora cose che mi stupiscono, anche più vicina e a me, tipo vedere gli amici che suonano e raggiungono degli obiettivi incredibili. Mi sorprende, solo che è meno eclatante perché è molto più vicina a me, sei già in un circolo di cose. Mi sorprendo molto più viaggiando che ascoltando la musica.

Che ritorno hai avuto con Sabbie d'oro e col rapporto con Massimo Pericolo?

È stato abbastanza sorprendente, perché è un pezzo di cui ho scritto il ritornello, con un testo di Vane (il nome di Massimo Pericolo è Alessandro Vanetti, ndr), ma prima ancora di cominciare il progetto Generic Animal. È rimasto nell'aria per tanto tempo e mai mi sarei aspettato che sarebbe diventato un pezzo di un disco così importante, in un anno così importante. Certo, ci ho sempre sperato: tutti abbiamo sempre voluto bene a Vane, tutti gli abbiamo augurato il meglio, poi pian piano ognuno ha preso la sua strada, lui ha trovato diverse fortune e in una compagnia di persone che fanno tutte musica. È bellissimo vedere che tutti riescono a crescere, in un modo o nell'altro, anche se uno poi non sceglie di fare quello di lavoro, però di sicuro è stata una sorpresa.

Oltre a Vane, anche Nicolaj Serjotti è delle tue parti, giusto? 

Sì, è un amico più recente ma sempre di quella zona, ci conosciamo da un po' di tempo. In realtà è una persona conosciuta più in una situazione di compagnia, amicizia, un po' come successo con Vane, solo qualche tempo prima. Poi ti dici che è un rapper incredibile, ti piace, ha una visione affine alla tua. È molto bello quando succede questa cosa, è molto salutare per i progetti, quando sono circondati dall'amicizia e questo modo di creare naturale.

C'è molto parlare attorno a questo progetto. Che aspettative hai?

Per fortuna sono cresciuto in maniera graduale, ho fatto anche diverse cose nel frattempo, come far uscire il secondo disco, fare quello che volevo e sto continuando a farlo. Lavoro con persone che credono sempre di più nel progetto, e sono contenti del contenuto, quindi ho aspettative alte. Sono un tipo ansioso, non vedo l'ora di cominciare tutto, però cerco di essere sincero con me stesso: ho aspettative più alte ma anche molte più armi per difendermi, per fare quello che mi piace, quindi cerco di essere più fiducioso di quello che sono stato. Vedo anche tanti nuovi fan che mi capiscono e mi vogliono bene.

Ora sei fermo in attesa dell'uscita o fai lavori di produzione?

Io sono di quelli che quando lo chiami corrono. L'ultima cosa fatta è il pezzo per Elodie ("In fondo non c'è" tratto da "This is Elodie"), ma quando ho tempo cerco di occuparlo per fare cose che mi piace fare, anche se in queste settimane un po' cerco di lottare l'ansia. Poi provo, c'è la promo, cose belle però obbligatorie. Cerco di tenere la produzione in parallelo, però sto già scrivendo il disco nuovo, perché non voglio fermarmi, quando mi fermo è difficile ripartire.

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