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Gemitaiz su Qvc9: “Ho scelto il mixtape perché così non devo piacere a tutti”

Il rapper Gemitaiz ha pubblicato lo scorso 6 novembre il nono capitolo della saga QVC, una saga di mixtape in grado di influenzare negli anni la scena hip hop italiana. Rispetto al passato, nessuna produzione americana ma è lo stesso rapper ad aver prodotto i suoi brani, un’opzione futura anche per la sua carriera.
A cura di Vincenzo Nasto
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Gemitaiz (ph Luca Grottoli)
Gemitaiz (ph Luca Grottoli)

QVC è arrivato al nono capitolo e Gemitaiz non sembra aver voglia di fermarsi, tra i nuovi stimoli della produzione e una costante produzione autoriale che sta raggiungendo nuove vette. Dopo un anno di pausa, il rapper romano ha deciso durante la quarantena di dedicarsi anima e corpo a un progetto di 17 tracce, ma guai a chiamarlo disco: "Quando faccio un mixtape ho la testa libera, è una cosa che faccio perché amo questa musica, una dimostrazione di stile". Un progetto in cui, dopo la partecipazione al disco di Dani Faiv e all'Ep di Ensi, Gemitaiz ha prodotto anche le musiche, una novità rispetto al passato: "Spero di aver un futuro nella produzione, però devo ammettere che è difficile che mi produrrò un album tutto da solo". Dall'ostentazione al rapporto tra hip hop e misoginia, il rapper ha voluto anche disegnare una linea di delimitazione tra la sua musica e quello che cerca di rappresentare: "Non puoi essere fan mio e di Salvini, non puoi essere della Roma e della Lazio". QVC è tornato, Gemitaiz anche: 47 minuti di hip hop, una ventata d'aria fresca per la scena.

Rispetto alla produzione di un disco, cosa vuol dire produrre sia a livello di scrittura che musicalmente un mixtape? Ma soprattutto, arrivato al nono capitolo, com'è cambiata l'idea di mixtape per te?

Diciamo che negli anni è cambiato il concetto per gli altri, ma non per me. La differenza per me tra un mixtape e un album ufficiale sta nel mindset con cui produco musica. So che per produrre un album ho bisogno che la mia musica venga capita dal bambino di 13 anni come dal nonno di 65. Invece quando faccio un mixtape ho la testa libera, è una cosa che faccio perché amo questa musica, è una dimostrazione di stile.

Come pensi evolverà la tua scelta di produrre i beat, dopo quello per il disco di Dani Faiv e l'Ep di Ensi, oltre che per il tuo mixtape? In futuro potresti pensare di fare tutto da solo?

Spero di aver un futuro nella produzione, però devo ammettere che è difficile che mi produrrò un album tutto da solo. Mi mancherebbe troppo quella sintonia con il mio team, con l'opinione del mio dj Flavio. Sarebbe un disco monotematico e monosound e in tutto questo non sono neanche un musicista, perché non so suonare. Tutto ciò che faccio è suonare a orecchio. Però ho un obiettivo: vorrei imparare a suonare chitarra e piano. Per il resto ho imparato a produrre partendo da un sample e poi suono lì ad orecchio, poi vado in studio non avendo possibilità di masterizzare a casa. Diciamo che è lì che metto la ciliegina sul beat.

Credi sia cambiato qualcosa nella tua musica?

Cambiare non significa cambiare i gusti, ma cambiare l'attitudine e il mindset per fare la musica, e questo non è mai cambiato. La gente crede di conoscermi meglio di quanto mi conosca io, ma nessuno mi conosce come me.

Quando hai pensato di lavorare a un nuovo capitolo della saga QVC?

Ho incominciato a febbraio a scrivere le cose, ma tutto è partito dall'idea che quest'anno volevo farlo il mixtape. Poi tutto è iniziato quando ho trovato il sample dell'Intro, ho pensato che quello era il punto di partenza. Mi sono detto: questo mixtape parte da qui e mi sono messo subito a scrivere, soprattutto perché era la prima volta che scrivevo su un beat mio. Non c'è bisogno di dire che è la traccia più importante per me.

Come sono nate le collaborazioni di questo disco, ma soprattutto quando pensi alle collaborazioni in questo momento, a quale scena rap guardi con maggiore interesse?

Parto dall'idea che immagino persone che stiano bene su quel beat e che devo cercare sempre di chiamare artisti nuovi. Diciamo che è diventato molto difficile perché siamo arrivati al capitolo 9 della saga e ormai ho chiamato quasi tutti. I pezzi però sono tutti delle susine, come si dice a Roma. E ti dico anche che se qualcuno mi piace, che c'ha 15 o 50 anni, lo chiamo a collaborare. Non mi faccio condizionare se è della vecchia o della nuova scuola, se vengono da un'altra nazione o fanno un altro genere.

Uno dei punti di scontro su cui molti artisti hanno idee contrastanti è l'ostentazione del lusso, una pratica esasperata dalla nuova generazione di rapper.

Per quanto riguarda l'ostentazione, è giusto farlo, è nella nostra natura, facciamo i rapper. Dall'altra parte c'è anche l'obbligo di non diventare ridicoli, dire magari che c'hai un orologio al polso è figo, ma solo se lo dici una volta, magari fai anche una punchline figa, ma poi basta. Non siamo in America, non sei Future, non sei Kodak Black, non sei stato in prigione.

Un altro tema polarizzante nella scena hip hop è la misoginia. È qualcosa frutto del genere o ci sono motivi per cui in Italia questo atteggiamento si dirada anche nell'arte, come nella musica?

Sicuramente è un problema che persiste da tanto, nel rap quello che succede in determinati posti non può essere ricollegato alla nostra cultura. Per esempio l'utilizzo della parola "bitch" in America. In Italia non puoi tradurlo in troia. Bitch ha assunto una valenza negli Stati Uniti nel tempo, che ha capovolto il significato della parola stessa. Adesso le donne si fanno chiamare "bad bitch" per dire che sei una tosta, una con uno step in più. La parola è dispregiativa nel suo significato iniziale, ma poi diventa altro, infatti ci sono cose che in italiano non puoi tradurre. Il fatto di utilizzare il termine "puttana" durante i brani, soprattutto non facendo assumere alla stessa un significato preciso e coordinato, alla lunga ti porta dei problemi. Proprio per questo motivo, per anni si è affibbiato al rap il problema della misoginia, qualcosa che bisogna superare in un certo senso. La musica è arte, quindi non ci deve essere una barriera, ma c'è un limite che è la decenza.

QVC9, oltre a essere un album molto curato a livello sonoro, ha anche una visualizzazione tutta nuova. Come hai scelto i lavori per la copertina, e cosa significa adesso lavorare tra immagini e suoni per un'artista?

Ho visto dei lavori di questa pittrice su Instagram, Oh de Laval, e li ho trovati stupendi. Le ho scritto nei messaggi privati di Instagram: Se ti chiedessi di fare una copertina del disco, tu accetteresti? Lei mi ha risposto di sì, e le ho mandato alcune tracce anche se non capisce nulla di italiano. Le ho spiegato un po' il concept dell'album, e le ho lasciato carta bianca. L'unica premessa è che ci fossi io nella copertina, ma le ho detto di fare come me pare. Quando mi ha consegnato la copertina, era già pronta. Le ho chiesto solo di cambiare una piccolissima cosa che non vi dico qual è, ma era già pronta.

Qual è la percezione in Italia del rapper? Come credi sia cambiata grazie alla sovraesposizione degli ultimi anni?

Ti faccio un esempio. Se le persone vedono una mia foto e gli dici che faccio il rapper, l'80% della gente mi reputa l'esatto contrario della persona che sono. Questo è un sentimento che viene rappresentato da personaggi come Salvini, o persone che non hanno un minimo rapporto di empatia con l'arte. Gente che non saprebbe distinguere lo scarabocchio di un bambino da un dipinto di Magritte.

E invece i tuoi fan?

Ho una voce piuttosto grossa e la posso far sentire, cerco di direzionare le persone verso dei buoni contenuti. Poi se ho fan razzisti, significa che non stanno bene, che non hanno capito niente della mia musica. Non puoi essere fan mio e di Salvini, non puoi essere della Roma e della Lazio.

Ci sono tanti esempi ultimamente di grandi produzioni come "Tenet" di Christopher Nolan con la colonna sonora di Travis Scott, che guardano al mondo dell'hip hop. Che rapporto hai con il cinema, ma soprattutto faresti un film?

Certo che farei un film! Io guardo circa 40 film a settimana, solo ieri ne ho guardati sette, diciamo che sono ossessivo compulsivo con i film. Finalmente dopo l'album posso dedicarmi al cinema e ti dico che mi piacerebbe anche recitare.

Te l'hanno mai chiesto?

Cosimo Alemà in passato mi ha chiesto di partecipare al film Zeta, ma gli dissi di no. Guardo sempre cose drammatiche e documentari, diciamo che ho il gusto del macabro.

Le aspettative per tornare a suonare dal vivo sembrano sempre più scoraggianti, ma soprattutto i lavoratori dello spettacolo chiedono sempre più garanzie per un futuro incerto. Come credi siano stati tutelati?

Siamo un paese che gestisce le emergenze nelle maniere peggiori, ci hanno rimesso sempre le persone normali. Non credo sia stato dato il giusto aiuto alle persone che lavorano nello spettacolo, non a noi artisti, ma a tutto il team che sta dietro uno spettacolo. Il mio direttore di produzione non tornava mai a casa, adesso si ritrova senza fare niente a casa. La reazione a catena dello stop è enorme.

Artisti da tenere d'occhio?

Mi piacciono Geolier e Speranza, mi vengono in mente loro. Aspetto il disco di Sfera e a Roma presto arriverà un disco di Venerus. Lui è la cosa più bella che sia successa alla musica italiana negli ultimi anni. Presto esploderà, deve scoppiare. Non può rimanere così, deve diventare un gigante, lo spero.

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