Dopo l’affettuoso omaggio all’amico Lucio Dalla con “4 marzo 1943”, il pezzo estratto come secondo singolo dall’ennesimo album in concerto a firma Francesco De Gregori – “Sotto il vulcano”, doppio, inciso a Taormina nell’estate del 2016 e sul mercato dallo scorso 3 febbraio – non è uno qualsiasi. È, invece, un cardine, un “turning point” nella carriera del quasi sessantaseienne (candeline a brevissimo, il 4 aprile) artista romano; il successo di vaste proporzioni sarebbe giunto comunque, certo, ma la Storia dice che fu il 33 giri pubblicato nel gennaio del 1975, al quale proprio “Rimmel” diede il titolo, a consacrare De Gregori tra i big della musica nazionale. Prima di allora, infatti, l’unica (timida) presenza del cantautore fra i dischi più venduti era stata con il singolo “Alice”, e i precedenti LP (“Theorius Campus” del 1972, a quattro mani con Antonello Venditti; “Alice” del 1973; “Francesco De Gregori”, per tutti “La pecora”, del 1974) non avevano ottenuto riscontri di cassetta esaltanti. “Rimmel”, l’album, fu tutta un’altra faccenda: non salì fino in cima alla classifica (si fermò al terzo posto: “Musica e Dischi” e “Hit Parade Italia” concordano), ma stazionò nei Top 25 per oltre un anno, entrando in più di mezzo milione di case. Dunque, un vero plebiscito, benché non fulmineo: il decollo, complice un fortunato tour nei teatri, avvenne solo in primavera, a dispetto dei giudizi spesso sferzanti di una critica che rinfacciava al Nostro di aver perso la purezza – nelle logiche del periodo, i cantautori dovevano votare a sinistra ed essere schierati contro il “sistema”: a Milano, nell’aprile 1976, fu persino “processato” sul palco durante un’esibizione, interrotta da alcuni contestatori – rendendo la sua proposta più commerciale (l’accattivante “Buonanotte fiorellino”, che conclude la prima facciata, la principale pietra dello scandalo). Bizzarrie di quegli strani giorni, ma che la musica di De Gregori fosse (un po’) cambiata non era una bugia.
"Sì, come il trucco che usano le ragazze, quello per gli occhi", dichiarò Francesco in una citatissima intervista d’epoca a “Nuovo Sound”, "Rimmel nel senso di trucco, di qualcosa di artefatto, ma questo disco è per smascherarli, per metterli in evidenza. Almeno queste sono le intenzioni". Spontanea o “ragionata” che fosse, l’idea è anche quella di avere un linguaggio strumentale meno fragile e trasognato, più denso e persuasivo; insomma, più “Alice” che “Niente da capire”, per parlare in termini di 45 giri. Per la prima volta, De Gregori curò da sé arrangiamenti e produzione, e volle al suo fianco una backing band di quattro elementi (i Cyan) integrata da Renzo Zenobi alla chitarra classica. Ne derivò un lavoro più accessibile, più efficace a livello di immediatezza d’impatto, con nove canzoni destinate in buona parte al ruolo di classici: oltre a “Rimmel” e “Buonanotte fiorellino”, già menzionate, la “Pablo” cofirmata (per le musiche) con Lucio Dalla, “Le storie di ieri” (reincisa da Fabrizio De André, con qualche modifica, in “Volume VIII”, frutto di una collaborazione tra i due), “Piano bar” (che tanti ritengono dedicata a Venditti, ma l’autore ha sempre smentito) e “Quattro cani”… ma c’è qualcuno che non ha mai ascoltato pure “Pezzi di vetro”, “Il Signor Hood” (ispirata da Marco Pannella) e “Piccola mela”? Da segnalare, inoltre, la vena sostanzialmente meno ermetica dei testi, peraltro – con poche eccezioni – ancora non facilissimi da decifrare, almeno di primo acchito.
L’argomento di “Rimmel”, il brano, è l’amore, sotto forma di disamina a posteriori di un rapporto a due, lo stesso che aveva portato alla composizione di “Bene”. Le trame, con il marchio di un pianoforte “alla Venditti”, sono aggraziate e suggestive, ideali per un testo ricco di immagini di grande forza poetica: una bella lotta, quella per assegnare la palma dei versi più memorabili, fra l’incipit “E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure / e cancello il tuo nome dalla mia facciata / e confondo i miei alibi e le tue ragioni” e il ritornello “Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo / e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro”. Molto interessanti, poi, i riferimenti alle carte: quelle dello zingaro (autentico) che predisse a De Gregori – azzeccandoci – un futuro di successo e quindi “invadente”, i quattro assi “di un colore solo” e il “Come quando fuori pioveva” che “nasconde” i quattro semi (Cuori, Quadri, Fiori, Picche). Il nome di battesimo della ragazza, Patrizia, venne rivelato nel 1990 in un libro da Giorgio Lo Cascio, amico e sodale di Francesco al tempo della gavetta, alla pari di un curioso retroscena: fu lei, Patrizia, a lasciare il cantautore perché innamoratasi di Nini Salerno de I Gatti di Vicolo Miracoli. Che l’aneddoto sia o meno vero (di sicuro non è importante), l’umore del pezzo è “serenamente malinconico”, quasi distaccato, come se la vicenda non allegra non avesse coinvolto direttamente chi la canta. Una cosa molto “da De Gregori”, che sa coinvolgere senza bisogno di esternare in modo esplicito i sentimenti; ma in quel 1975, con neppure quaranta canzoni pubblicate, era più che legittimo pensare che l’approccio dipendesse dalla timidezza, dalla giovane età o dal pudore, e non fosse invece un preciso aspetto della sua cifra stilistica. In ogni caso, bentornata, dolceamara “Rimmel”.