A mio pur discutibilissimo parere, a piccole dosi il gossip può essere spassoso, ma ciò non toglie che nella sostanza rimanga una grande, maleodorante vasca di putridi liquami, e che in tanti amino sguazzarci dentro è naturalmente tutto un altro discorso. Non mi è dunque difficile comprendere perché un paio di giorni fa Francesco Baccini abbia espresso il suo disappunto per essere stato per l’ennesima volta tirato in ballo in relazione al suo rapporto personale con Dolcenera, invece che per i risultati ottenuti come musicista. A dir la verità, io di quella “love story” – a quanto sembra, nemmeno consumata – nulla sapevo, e se l’avevo saputo dieci anni fa (il tutto risale infatti al 2005), l’avevo proprio rimosso; ricordavo però la bestemmia, seguita al “due di picche” in diretta TV, che aveva provocato l’esclusione dell’artista dal ”reality” (virgolette d’obbligo) “Music Farm”, gag che mi aveva regalato genuina ilarità mista a raccapriccio. Che devo dirvi?, a me le levate di scudi per un “moccolo”, in una nazione che troppo spesso se ne infischia di nefandezze reali, sono sempre parse tragicomiche. Comunque, in sintesi: Baccini, benché un minimo piccato, ha ironicamente messo in chiaro che, secondo lui, associare il suo nome (quasi) solo a uno sciocco episodio della sua vita privata è decisamente grottesco, perché sul suo petto sono appuntate un bel po’ di medaglie. Non mi sentirei di escludere che la “denuncia” via Facebook, ovviamente ripresa e amplificata dai media, avesse il secondo (?) fine di far riaccendere qualche riflettore su una vicenda oggi certo più sommersa al confronto con i ’90, ma se anche fosse così… sono felice di abboccare all’amo. E ciò perché Francesco Baccini da Genova, cinquantacinquenne da due mesi e dodici giorni, quelle medaglie sul petto le ha davvero, ed è giusto ricordarlo.
Partiamo dall’ultima? La “Targa Tenco” conquistata nel 2012, categoria “interpreti” per “Baccini canta Tenco”, che fa il paio con quella assegnatagli per l’esordio “Cartoons”, AD 1989. I numerosi brani eseguiti in coppia con colleghi e non solo, fra i quali spiccano quelli con i monumenti Fabrizio De André (“Genova blues”, 1990) ed Enzo Jannacci (“Canzone in allegria”, 1996). I significativi successi di pubblico, come dimostrano le vittorie a popolari manifestazioni (“Un disco per l’estate”, “Festivalbar”), svariate hit (“Sotto questo sole”, assieme ai Ladri di biciclette, e “Le donne di Modena”, entrambe del 1990; “Qua qua quando”, 1991; “Giulio Andreotti”, 1992; “Ho voglia di innamorarmi”, 1993) e le ottime vendite degli album forse migliori della sua vasta produzione, il terzo “Nomi e cognomi” (1992) e il quarto “Nudo” (1993), senza dimenticare “Il pianoforte non è il mio forte” che li aveva preceduti nel 1990. E si potrebbe continuare con l’attività parallela – non assidua, peraltro – di attore teatrale e cinematografico. D’accordo, ci sono stati pure il summenzionato “Music Farm”, le collaborazioni con Povia e l’inno ufficiale del “Woodstock 5 Stelle”… ma, si sa, nessuno è perfetto.
Al di là dei semplici dati, in sé eloquenti ma per forza di cose freddi, ci sono valide ragioni per assegnare a Baccini un ruolo non secondario nella musica italiana degli ultimi venticinque anni, nonostante l’incostanza nel (pro)porsi e la sostanziale ripetitività della sua pur eclettica formula espressiva l’abbiano di sicuro penalizzato nel mantenere le invidiabili posizioni acquisite a inizio carriera. Nel suo corposo songbook è impossibile non rilevare il talento nel giocare – non facendosi problemi a ricorrere a luoghi comuni e citazioni esplicite – con più o meno ogni stile musicale, gli arrangiamenti estrosi e talvolta volutamente esagerati che stupiscono e divertono, l’approccio canoro istrionico e spesso beffardo che rimanda al cabaret. Al centro di tutto, però, ci sono i testi: pungenti fino al caustico, non privi di spunti surreali, qua e là a un passo dal “politicamente scorretto” (e meno male!), imprevedibili ed esuberanti ma non per questo poveri sul piano squisitamente poetico e in qualche caso persino commoventi. E i temi affrontati? C’è di tutto, dalle immancabili storie d’amore (ma spesso atipiche) all’autobiografia magari romanzata, dalla denuncia sociale ai più stravaganti quadretti di vita vissuta o immaginata. Pescando a memoria e in ordine sparso nello zibaldone, si estraggono gli adolescenti suicidi di “Mauro e Cinzia”, gli episodi (veri) di cronaca nera giovanile raccontati nella disturbante “Filma!” (ascoltatela, rammentando che nel 1996 Internet era agli albori), il toccante omaggio a Tim Burton di “Mani di forbice”, la critica senza peli sulla lingua al mezzo televisivo e ai suoi protagonisti di “Sono stufo di vedere quelle facce alla tivvù-ù-ù”, il profilattico de “Il mio nome è Ivo”, la macabra avventura parigina di “Piccolo idiota”; e, poi, l’intero “Nomi e cognomi”, dove scorrono frecciate a colleghi famosi (“Antonello Venditti”, “Adriano Celentano”) e la spiritosa autodedica “Francesco Baccini”, il pirotenico, esilarante cazzeggio con la politica sullo sfondo di “Giulio Andreotti” contrapposto all’ode a una figura controversa (“Renato Curcio”), la drammatica “Jack lo squartatore”, la tristissima “Margherita Baldacci”. C’è poi parecchio altro sempre in bilico fra canzone d’autore e pop, ma quanto già elencato basterebbe abbondantemente affinché Francesco Baccini godesse di più rispetto. Per quel che può valere, il mio ce l’ha. E non solo perché l’unica Dolcenera che conosca sul serio è quella dello splendido brano scritto da Fabrizio De André e Ivano Fossati e contenuto in “Anime salve”.