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Francesca Michielin parla di Cheyenne: “In un mondo in cui si urla, ho lavorato per sottrazione”

Francesca Michielin è tornata a vestire i panni dell’interprete per “Cheyenne”, il suo ultimo singolo che lancia l’album che uscirà nel 2020. La cantante ha scelto di affidarsi a un pezzo scritto da Mahmood, Raina e Simonetta “perché rappresenta in maniera sintetica quello che io sto vivendo e ho vissuto”.
A cura di Francesco Raiola
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Francesca Michielin è tornata a vestire i panni dell'interprete per "Cheyenne", il suo ultimo singolo che lancia l'album che uscirà nel 2020. La cantante ha scelto di affidarsi a un pezzo scritto da Mahmood, Raina e Simonetta "perché rappresenta in maniera sintetica quello che io sto vivendo e ho vissuto", come racconta a Fanpage.it. Brano che si avvale della collaborazione fondamentale di Charlie Charles, che l'ha vestita di un suono a cui hanno lavorato per sottrazione. "Cheyenne" anticipa un album che avrà nel dualismo urban-natura una delle sue componenti principali.

Parliamo di Cheyenne, brano non scritto da te ma che sembra parlare di te, giusto?

Per ripartire con questo nuovo progetto ho scelto questo brano scritto da Mahmood, Raina e Simonetta perché rappresenta in maniera sintetica quello che io sto vivendo e ho vissuto, questo passaggio dall'età adolescenziale, anche post-liceale, all'età adulta, che coincide con il passaggio della città natale, che è Bassano del Grappa, a Milano. Quindi da una realtà piccolina, più provinciale, più immersa nella natura a una realtà più urban, caotica, in cui c'è un sacco di casino.

Come declinerai questo dualismo tra urban e natura nell'album?

Tutte le canzoni hanno dentro questa dualità, in alcune c'è più dinamica, in altre c'è solo l'elemento naturale, adesso non posso dirvi troppo, comunque la dualità è un po' tutto, e quasi anche quella un concetto del progetto.

Come hai fatto sì che ci fosse equilibrio tra te e Charlie Charles?

In un'epoca in cui c'è un'iperproduzione, un'iperstrutturazione, è tutto sovrastrutturato e anche le voci, a livello storico, sono tutte voci presenti, che urlano, che devono far sentire la propria presenza. Tentare di svuotare le canzoni è molto difficile e quindi ho chiamato Charlie, perché secondo me nell'urban ha già fatto ampiamente questo tipo di processo che in realtà nel pop si fa ancora poco e visto che questa canzone è dichiaratamente pop, molto pop oserei dire, avevo bisogno di una lettura più fresca proprio del suono.

Come avete strutturato Cheyenne, quindi?

In realtà la canzone aveva già una pre produzione, perché solitamente quando gli autori mandano un brano, un provino, c'è già una pre produzione per dare un'idea del suono che io in realtà ho cercato un po' di svuotare. Con Charlie ho attuato un processo di sottrazione. Abbiamo mandato il brano, lui è rimasto entusiasta anche perché secondo me è anche molto diverso da quello che lui normalmente fa: l'ha colpito ed emozionato, come ha emozionato molte persone che lavorano con me e anche me stessa, proprio perché è una canzone molto pura, ha un testo che è un fiume in piena e ti racconta benissimo tutto quello che deve dire.

Come è stato rivestire i panni dell'interprete, tu che solitamente canti ciò che scrivi?

Negli ultimi due anni ho fatto l'interprete solo un paio di volte, una volta con un brano di Calcutta, "Tropicale" e con uno di Tommaso Paradiso cin "E se c'era". Perché succeda questo, spesso dev'esserci un processo più o meno laborioso per cui un autore mi conosce e sa che cosa voglio dire. Ho fatto tanta fatica, non tanto da un punto di vista d'interpretazione, più che altro da un punto di vista vocale, perché è una canzone molto difficile, ha una linea melodica molto complessa da gestire, però al contempo sono contenta perché credo che dopo tanti anni venga fuori il mio timbro vocale in tutte le sue sfaccettature.

Come vedi questo momento storico della musica italiana?

Io credo che la trap, un po' come tutti i generi musicali che hanno attraversato dei periodi in maniera molto caratterizzante, siano destinati ad evolversi e trasformarsi. Ad esempio, sono già state fatte delle sperimentazioni nel pop a livello di metrica, di linguaggio testuale, di suoni, quindi io credo che la destinazione della musica in questo momento è quella di contaminarsi, perché tutte le epoche subiscono un processo di sintesi, nessun genere secondo me completamente muore.

È ancora il basso lo strumento che ti stimola di più?

Sì, credo che questo progetto avrà delle linee di basso molto belle, anche perché mi sono affidata anche a dei musicisti molto fighi per farle. Devo dire che l'approccio strumentale mi piace molto, tanto quanto quello più digitale, elettronico, credo che la commistione di questi due mondi sia vincente, soprattutto in questo momento storico.

Cosa puoi dirmi del concerto al Carroponte?

Il tentativo di questo nuovo progetto, dal punto di vista live, è che sia nuovo e quindi quello che posso dire di Carroponte è che l'obiettivo sarà quello di creare una festa, una data unica che non si ripeterà mai più.

Qual è la situazione che preferisci per suonare live?

Devo dire che non ho un set preferito, potrei dire che il piano e voce è tendenzialmente uno dei set che mi piace di più, ma mi piace anche quando ho delle formazioni più acoustic rock, quindi con la band posso esprimere al 300% tutta la loro potenzialità.

Da dove sei partita per lavorare a questo nuovo progetto?

Ho preso spunto da due aspetti che nel progetto precedente mi hanno fatto stare molto bene. L'approccio alla scrittura che ho avuto in "Comunicare" e "Due galassie" che è molto fluido, non dico rap, perché non voglio offendere gli addetti ai lavori del rap, però c'è un approccio un po' meno melodico, e sicuramente dal tour ho preso ispirazione da "Monster" che è stata questa cover di Kanye West che abbiamo riadattato in una veste nuova e che è stata di grande ispirazione da un punto di vista di attitudine per questo progetto.

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