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Francesca Michielin: “In Cani sciolti sono più incazzata, fare questo lavoro da donna è complicato”

Francesca Michielin è pronta a pubblicare Cani sciolti, il suo nuovo album, un lavoro curato completamente da lei che segna un’ulteriore passo avanti nel suo percorso di costruzione pop.
A cura di Francesco Raiola
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Talvolta dei numeri è bene diffidare, perché mostrano una realtà parziale, incompleta. I numeri, per esempio, dicono che sono poche le artiste che possono competere con i colleghi maschi, basta leggere la classifica FIMI del 2022 e scorrerla per trovare la prima donna oltre la trentesima posizione. La realtà, però, a differenza dei numeri, ci dice che il panorama italiano è pieno di artiste brave, competenti, interessanti, con la voglia di mettere mano in questa sostanza complessa che è la musica. Francesca Michielin è una di queste e "Cani sciolti", l'album che uscirà il 24 febbraio la conferma come una delle prossime gigantesse sulle cui spalle le giovani potranno poggiarsi, come dice lei stessa a Fanpage.it, ricordando come lei e molte colleghe della sua generazione si siano poggiate su quelle di Consoli, Elisa e Donà, tra le altre. Cani sciolti arriva dopo FEAT, sebbene come idea possiamo dire che è il prosieguo di "2640", anche per le tempistiche di scrittura. Ma soprattutto è un disco in cui si tocca con mano e si sente con le orecchie la consapevolezza che in questi anni ha portato Michielin a tracciare un percorso pop e di crescita evidente. Scritto, cantato, suonato e prodotto dalla cantautrice veneta che si prende tutto quello che è suo e mette faccia, mani e testa in quello che è il suo album migliore, che può guardare tranquillamente alla Targa Tenco, il premio italiano cantautorale più importante ma che da troppi anni, però, ha dimenticato le cantautrici, almeno per la Targa al miglior album.

"Scritto, cantato, suonato e prodotto da Francesca Michielin", partiamo da qui. Un manifesto aurorale e politico, soprattutto dopo un album intitolato FEAT, no?

C'era sicuramente questa volontà di tornare a me stessa. È un progetto che scrivo da tanto tempo, ho cominciato in parallelo a 2640, quindi ha sei anni di gestazione e per produrlo c'è voluto circa un anno, perché c'è stata una grandissima ricerca compositiva. È stato un approccio completamente diverso rispetto a Feat, è proprio un progetto completamente in antitesi, perché ho tirato fuori un sacco di cose estremamente personali e soprattutto sono partita dalla composizione: spesso quando si va in studio si parte da una base, da una reference o da un beat, mentre questo è un disco che parte da accordi, struttura, testo, molto cantautorale nel senso più antico del termine.

C’è molta libertà in quest’album, rottura di schemi, lotta contro le pigrizie mentali e culturali. Quanto è un’idea a priori e quanto frutto del tuo percorso?

Non sono una persona che fa le cose a tavolino e forse sbaglio, perché chi ha successo, in questo momento, lo fa. Però quella di scrivere un disco così è un'esigenza nata in maniera molto spontanea: dal 2015 al 2018 il panorama italiano ha avuto una sorta di momento di grande liberazione creativa, se penso all'It-Pop, al ritorno sulla scena di artisti che erano considerati "alternative", poi dal 2018 in poi c'è stata una sorta di ritorno a un certo modo di fare musica.

Ovvero?

Di grandi strizzati d'occhio e io stessa mi sono ritrovata spesso a chiedermi: come devo farla una canzone? Posso farla così o no? E a un certo punto ho fatto un sacco di cose molto sperimentali che mi sono piaciute, ma dall'altra parte, in un binario parallelo, stavo scrivendo questo disco come diavolo mi pareva! Mi dicevo: spero che la verità stia nelle canzoni fatte bene e non per come sono fatte.

Nonostante uno stile che hai costruito, nel tempo hai abituato chi ti ascolta a non sentirsi mai in zone di comfort, e lo sentiamo anche in quest'album.

Ogni volta che faccio un disco penso che nel successivo dovrò fare tutt'altro, e non so dirti perché ma è sempre stato così. Arrivo da un disco super prodotto, pieno di featuring, quindi sentivo il momento di tornare a fare un disco più in acustico e suonato dal vivo. Magari quello dopo sarà molto elettronico, ma sono stata sempre così nelle scelte, ogni volta che pubblico un album parte in me l'esigenza di alzare ancora di più l'asticella, a mio rischio e pericolo. Però secondo me, in ambito artistico, le scelte coraggiose non sono semplicemente manierismo, ma ha senso seguire questo istinto di provare a stupire e anche di disattendere il pubblico.

Anche in quest'album torna un po' questa tua idea di contrasto tra metropoli e natura, anche a livello di benessere. Come nasce, per esempio, un pezzo molto politico come "Padova può ucciderti più di Milano"?

Quello è un brano estremamente complesso, nasce da alcune letture, come "Cartongesso" di Francesco Maino, e "Libera nos a malo" di Luigi Meneghello anche lui scrittore veneto, infatti quel "Liberaci dal male" che canto nel pezzo è una citazione. La canzone è una riflessione su chi, come me, è nato in provincia, una provincia bellissima e complessa, che ama e al contempo crea disagio, è una critica al bigottismo di chi va in Chiesa, predica bene e poi razzola male, recita il Padre Nostro, fa il Presepe e poi urla "Tornino a casa loro" e chi è nato in provincia ha vissuto tutto questo. Alla fine, però, la canzone ha un risvolto positivo, perché dice "Resisto e resto qua", ovvero io non rinnegherò mai le mie radici, perché sono qualcosa che amo, in più non solo sono tornata a Bassano a vivere, ma sono tornata qui a fare il mio disco, l'ho registrato qui, sono qui a fare le prove, da qui partirà il tour, quindi è un luogo che amo, ma comunque dobbiamo prendere coscienza di tutto questo e impegnarci a rendere questo luogo un po' più inclusivo.

Questa cosa la specifichi in Piccola città, tra l'altro. È un omaggio a Guccini?

L'ho scritta con Vasco Brondi, è nata perché gli ho fatto ascoltare questo giro di accordi che modula tre volte e lui mi ha detto che era una cosa mega gucciniana, ma io purtroppo non ho una conoscenza enorme di Guccini, ho altri cantautori in repertorio. Vasco mi ha detto: "Scrivi una linea melodica e io scrivo il testo" e ci siamo trovati a fare questa cosa. E sì, anche in Piccola città c'è questa cosa qui, ovvero cosa sarà della nostra vita, per noi che rimarremo in questa grandi case e in queste piccole città, ed è anche proprio il legame che ho con questo luogo, che parte e poi ritorna costantemente.

È un album anche molto letterario, nella scrittura e nei riferimenti. Scrivere un libro ti ha spinto ancora di più verso questa direzione?

Devo dire che non so cosa è successo nella mia vita ma a un certo punto mi sono proprio sbloccata. Ho sempre avuto la fortuna di lavorare con grandissimi parolieri, da Roberto Casalino, passando per Fortunato Zampaglione fino a Calcutta, mentre arrivando dalla musica pura ho sempre fatto fatica, invece è come se a un certo punto si fosse sbloccato qualcosa in me e non è un caso che tanti testo di Cani sciolti li ho scritti mentre scrivevo il romanzo.

Hai lavorato tantissimo sulla musica, dalla produzione agli arrangiamenti d'archi, per esempio. Quanto è stato faticoso questo lavoro?

In realtà da quando sono piccola mi succede questa cosa, ovvero che scrivo un pezzo – è successo anche con Vulcano e quelli che ho seguito in prima persona – e mi parte l'arrangiamento già in testa: sono in auto, per esempio, e penso all'orchestrazione degli archi. Dove non arriva la mia competenza – ho studiato composizione, ma non so suonare un arco – canto la linea e la mando al musicista, è una cosa che mi è sempre venuta facile quella della produzione e dell'arrangiamento, mi viene istintivo immaginare gli arrangiamenti, è una delle poche cose che in questo processo mi viene velocemente.

Come è stato l'incontro con Carmen Consoli e in che modo quell'incontro ti ha portato a scrivere una canzone?

Uno dei sentimenti che hanno accompagnato questo disco è quello positivo della disillusione: io ho cominciato a fare questo lavoro quando ero molto giovane, con un sacco di speranze e aspettative che ho anche superato ed è diventato meglio di quanto immaginassi. Tante persone chiedono se questo disco sia simile a 2640 – di fatto è il vero disco precedente a quello, perché FEAT. era un progetto troppo eterogeneo – e io dico sempre che in realtà è molto simile, solo che adesso sono molto più consapevole e più incazzata e disillusa perché fare questo lavoro da donne, in questo paese, è estremamente complicato. L'incontro con Carmen Consoli è stato una ventata di aria fresca, mi ha detto che non bisogna avere paura della propria cifra stilistica, ma deve essere una cosa da difendere sempre, anche se i tempi richiedono altro. Bisogna sempre ascoltare tutto, qual è la corrente, la wave, però non bisogna mai fermarsi e dire "non vado più di moda", perché chi fa musica non deve fare moda, deve tracciare un percorso e questo percorso è fatto anche di scelte coraggiose come magari questo disco sarà per molti.

È cambiato qualcosa nell'essere cantautrici in questo mondo?

Sì, secondo me la parola giusta è consapevolezza. Faccio un esempio banale, fino a un paio di anni fa se ci fosse stata una cinquina maschile al festival tutti avrebbero detto ok, invece quest'anno questa mancanza femminile l'ha sottolineata anche il vincitore, quindi secondo me qualcosa sta cambiando.

Guardavo il palmares del Tenco negli ultimi 40 anni e l'unica vincitrice donna come album dell'anno è proprio Carmen Consoli nel 2010…

Speriamo che qualcosa cambi. Io e le mie colleghe camminiamo sulle spalle di gigantesse come Carmen, Elisa, come Cristina Donà che viene citata poco ma che io adoro, e credo che io, Levante, Margherita Vicario e tante altre stiamo cercando nel nostro piccolo di aiutare altre giovani cantautrici a sognare e speriamo che tra 10 anni saranno loro a spaccare tutto.

Mi sembra che in questi ultimi anni proprio voi, cantanti e cantautrici della vostra generazione, abbiate creato un legame fortissimo, che rispecchia un po' un movimento femminista che ha ricominciato a prendersi uno spazio anche nel discorso pubblico. Cosa è successo?

Penso che siccome c'è sempre stato poco spazio per le donne, le donne stesse sono state involontariamente educate a pensare di dover sgomitare perché quel posto se non lo prendi tu lo prende un'altra. Invece non funziona così, non è che se Elodie è prima in radio e io sono quinta, lei mi sta togliendo un posto, non si deve ragionare così, mentre tanti discografici inculcano questo pensiero nelle artiste e succede anche ad alcuni fandom, che spesso sono frustrati nel vedere che X è lì e Y è là, ma non è che una è lì perché sta spodestando l'altra. È questo che deve cambiare nelle nostre teste, non esiste una quota femminile su dieci maschili.

A proposito di Un bosco, com'è stato riguardarti, più piccola, per cantarti?

Era una Francesca mega insicura, avevo paura anche della mia ombra, ma penso che sia cambiato tanto. Alla fine sono sempre stata molto fan del dire che è il tempo a fare il suo corso, adesso ho alcune risposte e vado avanti con quella fragilità, ma penso che comunque di strada ne ho fatta. Alla fine, però, non penso di essere così diversa caratterialmente.

"Quello che ancora non c’è" è la prima canzone che hai scritto per l'album, in che modo ha dato il la al resto del lavoro?

È nato contemporaneamente a brani come "Bolivia" e "Scusa se non ho gli occhi azzurri", quindi era la fine 2016, avevo 21 anni e ed è abbastanza eloquente quello che dice: "Quello che ancora non c'è arriverà da sé" ed è una sorta di manifesto di tutti i ventenni, un po' come cantano i Coma_Cose in "Mancarsi": "Che schifo avere 20 anni" e poi però a trent'anni sei un attimo con le spalle più larghe. È il racconto di quella cosa là, in più stavo passando un periodo difficile, era appena morta mia nonna e io ricordo il senso di colpa, perché ero partita per il tour e non avevo neanche potuto elaborare il lutto di questa cosa. Ricordo di aver scritto questa cosa nata così, sai, quelle le canzoni che nascono appena poggi le dita sul pianoforte e via. Infatti nel disco l'ho lasciata come demo, come l'avevo suonata e come l'avevo cantata, tante canzoni di questo disco sono un'unica take di voce e questa è una di quelle.

Hai abituato i tuoi fan a tantissimi format live, ami stare sul palco e si capisce, questa volta come ci hai lavorato? Tra l'altro partirai prima dell'uscita dell'album.

Sì, ho fatto questa cosa alla Vampire Weekend, partire prima del disco, che è una cosa che in Italia non si fa e adesso capisco il perché (ride, ndr). Però è bello portare dal vivo dei brani di questo disco che è tutto suonato. Volevo suonare le canzoni, per la prima volta, nella loro versione primordiale, come sono state composte, quindi saranno simili alle originali ma anche un po' calorose, e con me c'è una band molto bella, siamo in cinque, tutti polistrumentisti, quindi sarà bello da vedere anche come dinamica, sul palco ci sarà questo video racconto costante del mio percorso. Si chiama Michielin10 perché 10 è il numero dei bomber e quindi tutta la scaletta sarà suddivisa come se fosse una partita di calcio, quindi ci sarà l'inno il primo e il secondo tempo, ci saranno i supplementari e i rigori e sarà tutto legato a questa struttura.

Sei musicista, cantautrice, scrittrice, presentatrice, fai podcast: cosa vuol dire essere un'artista a 360 gradi, oggi?

Ancora adesso l'artista che tante cose non è vista benissimo, però la risposta la prendiamo dagli artisti del passato, penso a Bowie, che faceva di tutto. Se dovessi risponderti su cosa è essere artisti oggi ti direi che è Gianluca Grignani che a Domenica In canta in playback senza il microfono. Mia madre lo guardava e mi ha detto: "Vedi, questo è essere artista!" e quando le ho chiesto il perché mi ha risposto: "Perché lui sta sentendo così quello che sta cantando" e io ho pensato che aveva ragione, era semplicemente lui, è stato un grandissimo insegnamento vederlo al festival.

Canti: "Io non voglio compiacervi, voglio infliggervi i miei versi. Dove sono gli artisti? Vedo solo populisti”. È interessante l'uso del verbo "infliggervi".

È il concetto di prima per cui fare l'artista è anche disattendere il pubblico, è quello che ha fatto Grignani, non un playback finto, ma spudorato. Quando dico "Dove sono gli artisti? Vedo solo populisti" intendo che noi non dobbiamo compiacere sempre e fare i furbi e strizzare l'occhio, ma anche rompere il cazzo, perché è giusto così.

Francesca Michielin partirà mercoledì  22 febbraio col suo tour Bonsoir Michielin10 a teatro:

  • Mercoledì 22 febbraio 2023 || DATA ZERO Bassano del Grappa (VI) @ Teatro Remondini – SOLD OUT
  • Giovedì 23 febbraio 2023 || DATA ZERO Bassano del Grappa (VI) @ Teatro Remondini – SOLD OUT
  • Sabato 25 febbraio 2023 || Pordenone @ Auditorium Concordia – SOLD OUT
  • Domenica 26 febbraio 2023 || Trento @ Auditorium Santa Chiara – SOLD OUT
  • Mercoledì 1 marzo 2023 || Roma @ Sala Petrassi – Auditorium Parco della Musica – SOLD OUT
  • Giovedì 2 marzo 2023 || Roma @ Sala Petrassi – Auditorium Parco della Musica
  • Sabato 4 marzo 2023 || Cagliari @ Teatro Doglio
  • Martedì 7 marzo 2023 || Firenze @ Teatro Puccini – SOLD OUT
  • Mercoledì 8 marzo 2023 || Livorno @ Teatro Goldoni
  • Sabato 11 marzo 2023 || Fermo @ Teatro Dell’Aquila
  • Sabato 18 marzo 2023 || Mantova @ Teatro Sociale – SOLD OUT
  • Lunedì 20 marzo 2023 || Milano @ Teatro Lirico “Giorgio Gaber” – SOLD OUT
  • Martedì 21 marzo 2023 || Milano @ Teatro Lirico “Giorgio Gaber” – SOLD OUT
  • Giovedì 23 marzo 2023 || Torino @ Teatro Colosseo
  • Giovedì 30 marzo 2023 || Lecce @ Teatro Politeama Greco
  • Martedì 4 aprile 2023 || Ferrara @ Teatro Nuovo
  • Mercoledì 5 aprile 2023 || Bologna @ Teatro Celebrazioni – SOLD OUT
  • Giovedì 13 aprile 2023 || Palermo @ Teatro Al Massimo
  • Venerdì 14 aprile 2023 || Catania @ Teatro Ambasciatori
  • Martedì 18 aprile 2023 || Padova @ Teatro Verdi
  • Sabato 22 aprile 2022 || Napoli @ Teatro Bellini
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