Festival di Sanremo 2016: l’errore di cercare la rivoluzione guardando Conti
Forse stiamo sbagliando tutto, forse state sbagliando tutto. Lo facciamo sempre, ci diciamo continuamente di non commettere lo stesso errore e puntualmente ci caschiamo come pivelli al loro primo Festival di Sanremo. Cancelliamo quello che è successo negli ultimi decenni e puntualmente speriamo che quest'anno possa essere diverso, speriamo di vedere qualcosa che non siano le solite canzoni sull'amore, che variano tra lo sdolcinato o il wannabe qualcosa (folk, alternativo, EDM), le interviste con domande molto generiche, speriamo di vedere affrontati temi che ci stanno a cuore, come faremmo noi (in teoria) se fossimo su quel palco. E ogni volta sbagliamo. Siamo minoranza e questa cosa non ci piace, non riusciamo a farcene capaci. Vogliamo Glastonbury, ma non abbiamo la voglia di muoverci da casa e viriamo sulla Liguria.
Sanremo è quello che è e lo è da tempo, se cerchiamo di approcciarlo (musicalmente) con le strutture che utilizziamo quotidianamente tra noi, ovvero persone che non fruiscono la musica unicamente tramite la radio, ma fanno ricerca, ci perdono la testa, sentono il piacere della scoperta e amano cogliere i cambiamenti (in bene o in male) nelle evoluzioni dei vari artisti, facciamo un errore che va anche oltre lo snobismo. Insomma Irene Fornaciari non è M.I.A. e Clementino, di certo, non è Kendrik Lamar – e ho preso due artisti che hanno una propria dignità -, ma in Italia un Sanremo con M.I.A e Lamar lo vedrebbero in 2 e non 12 milioni. Sanremo è tv, è ‘show' e a volte più, altre volte meno, è lo specchio di un'Italia fondamentalmente conservatrice che pur volendosi mostrare aperta con il figlio progressista, è sempre là a dire ‘Però ho tanti amici omosessuali'.
Ci entusiasmiamo per i nastri arcobaleno, ma prendiamo in giro Patty Pravo, vogliamo che Conti, sui diritti civili, faccia una tirata à la Grillo (quello degli anni '80, che faceva il comico) contro Craxi (che gli costò la Rai per un bel po'), ma fingiamo di non essere sulla tv pubblica. Conti non prende posizione – non lo fa dicendo un ‘Bravo!' bello forte quando Ramazzotti dice che ‘la famiglia è fondamentale, qualunque essa sia' – e forse ha ragione lui; ne ha certamente più di chi scrive Family Day sul Pirellone. Anche se non ci piace. Perché Sanremo è Sanremo, è una tv che parla a un pubblico più variegato del solito quando c'è il Festival, ma di cui lo zoccolo duro è quello che vede Don Matteo. Il Festival è più ‘ammore' che Elio e le Storie Tese, che ci piacciono benché molti li guardano sempre come i cugini un po' pazzerelli che tanto ci fanno divertire. Sono quelli che ci mettono a posto con la coscienza, come il rap, che comunque si normalizza aderendo ad alcuni stereotipi dell'Ariston.
Cerchiamo altro, ma lo cerchiamo a Sanremo e non capisco. Forse stiamo sbagliando tutto. Ma ditelo a Conti che sta sbagliando. E a quei 12 milioni.